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giovedì 23 gennaio 2014

That 70's Show: #3 JR & Jesus

Hey, won't you come on with me from Jerusalem
And walking to Emmaus on that dusty road?
The travelling gets harder and with each rebuff
Some turn back because they've had enough
But Jesus told you it was gonna be rough
To walk upon His Gospel Road

Gli anni 70 sono inevitabilmente figli degli anni 60, è una banalità ma è anche come tutte le banalità, la verità. E ancora più che degli anni 60 sono figli di quella incredibile e dirompente rivoluziona culturale-sessuale-sociale che fu il mitico 1968. Una volta rotti gli argini, non c'è ritorno. 
Fu un decennio di grande libertà, di rivendicazioni sociali, gli anni del culmine e della conclusione del conflitto in Vietnam, prima ed unica grande sconfitta degli USA, del femminismo, del punk e della disco music, delle droghe sempre più in voga, sempre più "sdoganate". Ma oltre a questo c'era anche dell'altro.
L'America non è New York (e la costa atlantica) e Los Angeles (e la costa pacifica), l'America è quella landa desolata e bigotta che sta tra queste due grandi città, per citare Ned Flanders. No l'America in realtà è l'unione di queste due anime, e per una volta, andremo proprio in quella landa a scoprire gli anni 70, diversissimi, di una persona che aveva toccato il fondo, che aveva vissuto ai limiti prima che tutti gli altri ci arrivassero e che ha visto la luce quando tutti si allontanavano da essa.
When Johnny Cash found Jesus.

giovedì 19 dicembre 2013

That 70's Show: #2 Paul Schrader "Travis Bickle sono io"

Mia madre una volta mi prese la mano e me la infilzò con uno spillo "Lo senti questo male, lo senti lo spillo nel pollice? L'inferno è così, solo senza fine". Paul Schrader.

Quando Paul Schrader scrisse Taxi Driver non aveva toccato il fondo, stava direttamente scavando. Non parlava da settimane con anima viva, viveva per strada e girava armato. La sua vita era finita in pezzi e per tirarsi fuori da questa crisi, come personale terapia, iniziò a scrivere. In una settimana creò Travis Bickle, praticamente se stesso, un personaggio solitario, malato, violento ed insieme ritornarono in superficie.
Questo è un riassunto di quei giorni.

25 maggio 1976, Cannes.

venerdì 13 dicembre 2013

That 70's Show: #1 Friedkin e Star Wars

Inauguro oggi una nuova rubrica dedicata ai favolosi anni 70, ovvero il decennio dei primi passi di grandi contemporanei come Spielberg, Coppola, Lucas, Scorsese, Allen, Schrader, dei Guerre Stellari, della trilogia de Il Padrino, della disco music, de L'esorcista, della carica degli italoamericani, De Niro, Pacino, Travolta e di molto altro ancora. Pensate a un'ipotetica lista dei vostri 10 film preferiti, scommetto che ce n'è dentro almeno uno con la data che inizia per 197. 
Spero vi faccia piacere ascoltare qualche racconto strampalato di quell'epoca, qualche retroscena poco conosciuto, qualche approfondimento di saghe che amate alla follia. Un imbecille una volta disse "è tutta roba che si trova già su internet o sui libri". Vero, ma non vale per qualsiasi cosa? Detto questo, Il bianco e il nero non finisce nel dimenticatoio, tornerà.
Inizierò con lo strano rapporto tra uno dei più grandi e discussi registi del decennio e una saga da milioni di dollari.
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15 aprile 1977*.
William Friedkin inserì la chiave nella serratura del suo appartamento e girò stancamente la mano verso destra. Erano circa le cinque e un quarto del pomeriggio ed era sfinito, sporco e affamato. Era la prima volta che rimetteva piede nel suo appartamento a Manhattan dopo mesi e mesi. Varcò la soglia con la poca energia rimasta, come un maratoneta all'ultimo sprint per tagliare il nastro del traguardo. Tutto sembrava in ordine, illuminato dalla luce ancora accesa del tardo pomeriggio newyorkese. Mollò per terra le sue valigie e si levò gli scarponi tutti incastonati di fango messicano, per un attimo si dispiacque di aver insudiciato il luminoso parquet, ma subito dopo, guardando quel fango, gli venne un fremito di rabbia. "Al diavolo!" esclamò al alta voce. Tutto quello che aveva in mente in quel momento era una bella doccia calda di minimo 45 minuti e una pizza ai peperoni da farsi portare dalla pizzeria all'angolo. Nient'altro.
Era appena sceso da un aereo di terz'ordine che lo aveva riportato a casa dall'amena regione di Tuxtepec, nel Messico centrale. Un trabiccolo ante guerra che solo grazie alle preghiere dei locali poteva ancora permettersi di volare. Non c'era altro tuttavia e Hurricane Billy, come la troupe soleva chiamarlo alle sue spalle negli ultimi giorni di riprese, avrebbe sfidato volentieri la morte e le leggi della fisica pur di andarsene.
Il Messico era solamente l'ultimissima tappa di un tour mondiale da vero globetrotter.