Inauguro oggi una nuova rubrica dedicata ai favolosi anni 70, ovvero il decennio dei primi passi di grandi contemporanei come Spielberg, Coppola, Lucas, Scorsese, Allen, Schrader, dei Guerre Stellari, della trilogia de Il Padrino, della disco music, de L'esorcista, della carica degli italoamericani, De Niro, Pacino, Travolta e di molto altro ancora. Pensate a un'ipotetica lista dei vostri 10 film preferiti, scommetto che ce n'è dentro almeno uno con la data che inizia per 197.
Spero vi faccia piacere ascoltare qualche racconto strampalato di quell'epoca, qualche retroscena poco conosciuto, qualche approfondimento di saghe che amate alla follia. Un imbecille una volta disse "è tutta roba che si trova già su internet o sui libri". Vero, ma non vale per qualsiasi cosa? Detto questo, Il bianco e il nero non finisce nel dimenticatoio, tornerà.
Inizierò con lo strano rapporto tra uno dei più grandi e discussi registi del decennio e una saga da milioni di dollari.
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William Friedkin inserì la chiave nella serratura del suo appartamento e girò stancamente la mano verso destra. Erano circa le cinque e un quarto del pomeriggio ed era sfinito, sporco e affamato. Era la prima volta che rimetteva piede nel suo appartamento a Manhattan dopo mesi e mesi. Varcò la soglia con la poca energia rimasta, come un maratoneta all'ultimo sprint per tagliare il nastro del traguardo. Tutto sembrava in ordine, illuminato dalla luce ancora accesa del tardo pomeriggio newyorkese. Mollò per terra le sue valigie e si levò gli scarponi tutti incastonati di fango messicano, per un attimo si dispiacque di aver insudiciato il luminoso parquet, ma subito dopo, guardando quel fango, gli venne un fremito di rabbia. "Al diavolo!" esclamò al alta voce. Tutto quello che aveva in mente in quel momento era una bella doccia calda di minimo 45 minuti e una pizza ai peperoni da farsi portare dalla pizzeria all'angolo. Nient'altro.
Era appena sceso da un aereo di terz'ordine che lo aveva riportato a casa dall'amena regione di Tuxtepec, nel Messico centrale. Un trabiccolo ante guerra che solo grazie alle preghiere dei locali poteva ancora permettersi di volare. Non c'era altro tuttavia e Hurricane Billy, come la troupe soleva chiamarlo alle sue spalle negli ultimi giorni di riprese, avrebbe sfidato volentieri la morte e le leggi della fisica pur di andarsene.
Il Messico era solamente l'ultimissima tappa di un tour mondiale da vero globetrotter.