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venerdì 13 dicembre 2013

That 70's Show: #1 Friedkin e Star Wars

Inauguro oggi una nuova rubrica dedicata ai favolosi anni 70, ovvero il decennio dei primi passi di grandi contemporanei come Spielberg, Coppola, Lucas, Scorsese, Allen, Schrader, dei Guerre Stellari, della trilogia de Il Padrino, della disco music, de L'esorcista, della carica degli italoamericani, De Niro, Pacino, Travolta e di molto altro ancora. Pensate a un'ipotetica lista dei vostri 10 film preferiti, scommetto che ce n'è dentro almeno uno con la data che inizia per 197. 
Spero vi faccia piacere ascoltare qualche racconto strampalato di quell'epoca, qualche retroscena poco conosciuto, qualche approfondimento di saghe che amate alla follia. Un imbecille una volta disse "è tutta roba che si trova già su internet o sui libri". Vero, ma non vale per qualsiasi cosa? Detto questo, Il bianco e il nero non finisce nel dimenticatoio, tornerà.
Inizierò con lo strano rapporto tra uno dei più grandi e discussi registi del decennio e una saga da milioni di dollari.
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15 aprile 1977*.
William Friedkin inserì la chiave nella serratura del suo appartamento e girò stancamente la mano verso destra. Erano circa le cinque e un quarto del pomeriggio ed era sfinito, sporco e affamato. Era la prima volta che rimetteva piede nel suo appartamento a Manhattan dopo mesi e mesi. Varcò la soglia con la poca energia rimasta, come un maratoneta all'ultimo sprint per tagliare il nastro del traguardo. Tutto sembrava in ordine, illuminato dalla luce ancora accesa del tardo pomeriggio newyorkese. Mollò per terra le sue valigie e si levò gli scarponi tutti incastonati di fango messicano, per un attimo si dispiacque di aver insudiciato il luminoso parquet, ma subito dopo, guardando quel fango, gli venne un fremito di rabbia. "Al diavolo!" esclamò al alta voce. Tutto quello che aveva in mente in quel momento era una bella doccia calda di minimo 45 minuti e una pizza ai peperoni da farsi portare dalla pizzeria all'angolo. Nient'altro.
Era appena sceso da un aereo di terz'ordine che lo aveva riportato a casa dall'amena regione di Tuxtepec, nel Messico centrale. Un trabiccolo ante guerra che solo grazie alle preghiere dei locali poteva ancora permettersi di volare. Non c'era altro tuttavia e Hurricane Billy, come la troupe soleva chiamarlo alle sue spalle negli ultimi giorni di riprese, avrebbe sfidato volentieri la morte e le leggi della fisica pur di andarsene.
Il Messico era solamente l'ultimissima tappa di un tour mondiale da vero globetrotter.

martedì 18 giugno 2013

Il diavolo è tornato, al cinema.
Speciale 40esimo anniversario de L'esorcista (1973-2013)

L'Esorcista, il capolavoro horror di William Friedkin, domani 19 giugno, compirà 40 anni - in Italia, uscito il 4 ottobre 1974, trentotto e spiccioli. 

Per festeggiare il compleanno di questo filmazzo, capace ancora oggi di spaventare, inquietare e far star male, ecco 40 e dico 40 curiosità, che molto probabilmente non sapete e che vi renderanno la visione al cinema (o a casa) molto più piacevole e intrigante. Godetevele sono senza spoiler.

40- Inizio regalandovi un sunto della recensione negativa che fece Elio Maraone (un super cagacazzi), critico cinematografico per il quotidiano L'Avvenire il 24 settembre 1974, il giorno dopo la prima per i soli giornalisti. Come certamente saprete L'Avvenire è un giornale che adora i film con il diavolo.
"Il regista sembra aver imboccato, dopo un buon inizio, la lucrosa strada dei "supercolossal", Mai però si era prestato a un'opera così schiava del mercato e destituita di senso. A meno che il film non sia una metafora dell'America del Watergate e del cattivo Nixon da esorcizzare [...] ma il finale è troppo ambiguo per una simile interpretazione. Sembra che il regista voglia dire più volte che se facciamo errori la colpa non è nostra ma del diavolo. Punta tutto su effettacci come vomito verde e occhi che strabuzzano o comunque su un turpiloquio di bestemmie, elementi lontani dall'obbiettivo ricercato da molti horror". E meno male!

39- Ellen Burstyn accettò di prendere parte al film a condizione che venisse tolta la linea di dialogo del suo personaggio "Io credo nel diavolo!". I produttori acconsentirono.

38- John Boorman avrebbe dovuto dirigere il film ma rifiutò perchè lo riteneva troppo crudele nei confronti dei bambini. Diresse però L'esorcista II - L'eretico. Ah i soldi e il successo....

37- Audrey Hepburn sarebbe dovuta essere Chris MacNeal, la mamma di Regan. Era la prima scelta di Friedkin e i produttori erano pienamente d'accordo, ma Audrey aveva una sola condizione, che il film si girasse a Roma. Anche Jane Fonda e Shirley MacLaine (il personaggio di Chris era basato su di lei) vennero provinate. Anne Bancroft invece rifiutò perchè nel primo mese di gravidanza.

36- Mercedes McCambridge è la voce del demone che possiede Regan. Prima fece causa alla Warner Bros per averla messa nei crediti, poi cambiò idea. Non voleva essere menzionata perchè la Blair era candidata all'Oscar e sapere che non era lei a fare la voce del demone avrebbe cancellato le sue chances di vincere, e fu così infatti.

35- La versione che vedrete al cinema e che trovate ora in DVD e Blu Ray è diversa da quella originale del 1973. Oggi siamo molto fortunati e possiamo goderci la Extended version o Director's Cut che dir si voglia, contenente la famosa camminata del ragno di Regan sulle scale e alcuni frammenti, inserti, nella pellicola che mostrano, fra le altre cose, il volto del demone. Con altre scene estese o tagliate, si raggiungono 10 minuti circa extra.

giovedì 25 ottobre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #15


L'incipit del commento su On the Road è esilarante, ve la butto lì così, diretta, perché sono quasi morto dalle risate riascoltandolo. Episodio 15 del podcast più mega ultra super del web, 5 film 5 di cui se ne salva uno, quello in copertina.
Si avvicina Halloween e stiamo preparando un episodio speciale dedicato al cinema horror, stay tuned.


Nel 15° episodio di Filmbuster(d)s:

[00:04:45]Total Recall
[00:15:00]Killer joe
[00:32:15]Taken 2
[00:45:00]Paranorman
[00:52:00]On the Road




Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

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Oppure ascoltate il podcast mediante il player Podtrac:

venerdì 19 ottobre 2012

Killer Joe di William Friedkin

Nelle sale dall'11 ottobre

Dopo una pausa di sei anni dall'ultimo film, il regista di colonne portanti del cinema americano come L'esorcista, Il braccio violento della legge e Vivere o morire a Los Angeles torna dietro la macchina da presa alla bellezza di 77 anni per dirigere l'adattamento di una pièce teatrale di Tracy Letts, che interviene direttamente nelle vesti di sceneggiatrice come era già successo per Bugs.
Gli Smith sono una famiglia modello del torrido Texas, Chris (Emile Hirsch), il figlio più grande, dopo essersi rovinato con un allevamento di conigli è diventato un piccolo spacciatore di droga e vive ancora con una madre che detesta. Il padre Ansel (Thomas Haden Church) si è risposato con Sharla (Gina Gershon) che però lo tradisce con un altro uomo, con loro vive Dottie (la junonica Juno Temple) la sorella più piccola di Chris, una ragazzina terribilmente ingenua e tontolona che soffre di una strana forma di sonnambulismo. A smuovere queste acque stagnanti e puzzolenti è proprio la madre di Chris, che un giorno decide di vendere tutta la droga del figlio per dare una restauratina alla sua vecchia auto. Chris rimane quindi in balia degli strozzini, ma qualcuno gli da un'idea, assumere un killer professionista per eliminare la madre e intascare i soldi dell'assicurazione sulla vita. Così, d'accordo con il resto della famiglia, assume il glaciale “Killer” Joe Cooper (Matthew McConaughey), che accetta il lavoro ad una sola condizione, finché gli Smith non potranno permettersi di pagarlo lui terrà con se la giovane e innocente Dottie, e gli Smith accettano...
Dopo aver bazzicato per anni il genere poliziesco Friedkin decide di analizzare l'altra faccia della medaglia con un incursione molto personale nel noir (qualcuno ha giustamente pensato a Double Indemnity) e soprattutto nel pulp, e in effetti la struttura di Killer Joe da questo punto di vista non potrebbe essere più classica, c'è il malloppo, l'assicurazione, l'intrigo familiare e il killer spietato che si lascia sedurre da una femme fatale piuttosto anomala. Quello che c'è di nuovo, o perlomeno di diverso, è la forma e il modo con cui questa storia classica viene raccontata, prima di tutto nei personaggi, un disgustoso quanto delizioso concentrato di tutte le peggiori qualità che i protagonisti di un racconto noir contemporaneo potrebbero avere, un inno al patetismo e alla mediocrità. Ed è appunto disgusto quello che si arriva a provare nei confronti degli Smith, che fin dalla prima scena in cui compaiono tutti insieme non fanno altro che imprecare, minacciare, insultare e pugnalare alle spalle. Chris tanto per cominciare, che si indebita nel più idiota dei modi e poi non si fa scrupoli a vendersi la sorella per far assassinare la madre. Subito dopo viene il padre, l'incarnazione del patetico, un manichino impassibile che accetta di buon grado ogni forma di prepotenza.
Nemmeno la purissima Dottie sembra salvarsi, forse perché pura in realtà non lo è stata mai, o forse perché è proprio l'incontro con Joe a corromperla definitivamente dopo che aveva resistito tanto a lungo in un nucleo familiare così profondamente nocivo. Paradossalmente invece è proprio Killer Joe a uscirne meglio, certo svolge un lavoro deprecabile e ha un rapporto poco sano con la sessualità, ma al contrario degli altri è dotato di una sua morale e di un personalissimo concetto di giustizia, persino il suo morboso rapporto con Dottie può essere letto come il desiderio di normalità e purezza, il tentativo di creare un nucleo familiare “sano”.
E la forza di Killer Joe sta proprio qui, nel riversarci in faccia tutto questo lerciume in una prima parte che procede senza troppi scossoni come nel più classico dei thriller, nell'accumulare tensioni che finalmente esplodono nel più grottesco e imprevedibile dei modi, soprattutto grazie ad una sceneggiatura fantastica che improvvisamente rompe la routine e la staticità che si erano create, sorprendendoci esattamente come accade a Chris, che rimane a bocca aperta davanti a un bagagliaio aperto su una realtà che fino a quel momento sembrava più distante e irreale che mai. E poi c'è quel finale, quegli ultimi minuti di delirio totale dove tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento viene ulteriormente esasperato (chissà se sghignazzerete come me quando capirete il perché di quella locandina...), in un tutti contro tutti dove ognuno dei personaggi riesce veramente a tirare fuori il peggio di se. Una sequenza tragicomica che passa dal disturbante all'esilarante nel giro di poche inquadrature, e mi ha lasciato così, senza parole e con una bella risata un po' colpevole, come non mi capitava da un sacco di tempo.
Matthew McConaughey è pazzesco, leggendo le ottime recensioni post Mostra del Cinema di Venezia temevo che i vari critici e spettatori si fossero fatti prendere dall'entusiasmo, come capita spesso quando un attore generalmente poco apprezzato esce dal suo solito ruolo e si lancia in qualcosa di più impegnativo, invece le lodi sono tutte meritate, anche solo per il fantastico accento da texano e quello “sguardo che fa male”, dovrebbero fargli fare solo questo. Altrettanto grandioso il resto del cast, anche se a spiccare sono senza dubbio lo spassosissimo Thomas Haden Church e la provocante Juno Temple (non avrei mai pensato che un'attrice inglese potesse tirare fuori un accento del sud così naturale).
Un peccato e una vergogna che un film di questa portata sia arrivato solo in una manciata di sale.