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venerdì 15 settembre 2017

Cosa guardiamo stasera? Quando il troppo è limitante


Che cosa ci guardiamo stasera? Dietro questa domanda si può celare la più grande insidia e la più grande perdita di tempo di sempre. Eppure ci capita quasi ogni giorno. Il problema non è che abbiamo poca scelta, ma il contrario, ne abbiamo ormai troppa.
Sarà capitato a tutti voi almeno un paio di sere di potervi rilassare davanti alla tv (o al pc) e di scegliere di vedere un bel film o una serie tv. Una volta andava così, si accendeva la tv, si faceva un giro dei canali e si decideva in base a quello che era il menu. La scelta era limitata, o si guardava quello, o si spegneva, semplice. Se si voleva vedere un film, si optava per il canale che quella sera aveva scelto di accontentare i cinefili, se invece si preferiva un programma di varietà, su quello in Italia siamo campioni del mondo.

domenica 12 aprile 2015

L'importanza di Tarantino


Mi piace pensare alla Cultura come a un album di figurine. Si parte con tutte le pagine vuote e si inizia piano piano a coprire tutti gli spazi bianchi, partendo da argomenti che ci piacciono o ci interessano o cadono sotto i nostri occhi. Pensiamo al cinema, immaginiamo una ipotetica pagina/sezione/album con le figurine del cinema. Abbiamo appena visto un film francese della Nouvelle Vague, uno di Truffaut. A questo punto cercheremo di completare -se ci è piaciuto, chiaramente- la sezione Nouvelle Vague con tante altre figurine, muovendoci orizzontalmente, ovvero proseguendo con i film di Truffaut, o verticalmente, quindi passando a registi dello stesso genere o periodo (Godard, Chabrol), o diagonalmente, scegliendo di vedere un documentario su quel film, un remake, una pellicola che tratta la stessa tematica o una che non c'entra assolutamente nulla, ma che ha in comune la città in cui è stata girata o uno degli attori. Per non parlare della lettura di un libro o dell'ascolto di un disco. Ognuno traccia e percorre il percorso che preferisce.

venerdì 9 agosto 2013

Tra lirica e imitazioni di gatto Silvestro, la conversazione con Christopher Lee - Locarno66

Neanche la pioggia può fermare uno come sir Christopher Lee. Oltre 200 film all'attivo in cui è stato di volta in volta, il re dell'horror (anche se lui non ama questa definizione), uno dei cattivi più memorabili della saga di James Bond, Scaramanga, l'uomo dalla pistola d'oro, il conte Dooku di Star Wars e Saruman de Il signore degli anelli, due delle saghe più amate del nuovo millennio, Fu Manchu, Mohammed Ali Jinnah, Rochefort, Dracula e questi non sono solo che alcuni dei suoi ruoli più celebri, all'interno di una carriera iniziata ben 67 anni fa.
E se questo non dovesse bastare, è stato uno degli ospiti di maggiore successo nella storia del Saturday Night Live, ha prestato la sua voce a molti videogiochi e si è persino buttato nella lirica per rinascere oggi come cantante heavy metal con due dischi all'attivo.
"Sorprendere sempre il proprio pubblico" così ha detto oggi ad un pubblico divertito e appunto sorpreso dalla mille facce di un artista eterno. Nell'intervista "condotta" da Emmnauel Burdeau senza una struttura precisa (o meglio, c'era ma è saltata presto davanti agli aneddoti di sir Lee), l'attore inglese si è lasciato andare ai ricordi più spassionati legati ai suoi film e ai suoi colleghi. 
Come Peter Cushing, con cui ha lavorato in decine di film, attore e persona formidabile, "sapeva prepararsi la pipa, leggere il giornale, recitare e bere il te nello stesso momento, senza nessuna difficoltà" ricorda Lee "ma aveva anche un piccolo difetto. Pronunciava le T in modo molto marcato. Io lo prendevo spesso in giro ma lui non se ne accorgeva mai". Un'amicizia durata decenni e coronata da tanti scherzetti come quando Lee chiamava spesso Cushing al telefono imitando di volta in volta diversi personaggi dei cartoons, da Silvestro a Yosemite Sam (riproposti al momento e ancora molto somiglianti).

giovedì 8 agosto 2013

Omaggio a Jacqueline Veuve - Locarno66

Appellation Suisse presentato da Swisscom.

Il Festival di Locarno ha dedicato il pomeriggio di oggi al ricordo di Jacqueline Veuve, prolifica documentarista svizzera scomparsa all'età di 83 anni lo scorso aprile. Alla presenza del marito e del suo capo operatore Hugues Ryffel sono stati proiettai due suoi lavori: il cortometraggio Les Frere Bapst, charretiers (I fratelli Bapst, carrettieri) e il mediometraggio La Petite Dame du Capitole, rispettivamente del 1989 e del 2005.
Il primo raccconta una tipica giornata di lavoro invernale dei fratelli Bapst, Romain, Maurice e Jacques, nella loro casa di La Roche, nel canton Friborgo. Durnate i mesi freddi tagliano la legna e la trasportano a valle sulla loro slitta trainata da cavalli.
Il lavoro certosino, gli sforzi fisici immani dei fratelli e dei loro splendidi animali, il clima ingeneroso, rendono ogni spedizione un'avventura ma anche un'occasione per scherzarci sopra. Le riprese, come ha raccontato Ryffel, sono state condotte da lui personalmente con ampia libertà, mentre la Veuve si trovava a valle pronta per montarle nel miglior modo. La voce fuori campo (un classico di Veuve) di uno dei fratelli, racconta e descrive ogni passaggio del complesso processo.

martedì 18 giugno 2013

Il diavolo è tornato, al cinema.
Speciale 40esimo anniversario de L'esorcista (1973-2013)

L'Esorcista, il capolavoro horror di William Friedkin, domani 19 giugno, compirà 40 anni - in Italia, uscito il 4 ottobre 1974, trentotto e spiccioli. 

Per festeggiare il compleanno di questo filmazzo, capace ancora oggi di spaventare, inquietare e far star male, ecco 40 e dico 40 curiosità, che molto probabilmente non sapete e che vi renderanno la visione al cinema (o a casa) molto più piacevole e intrigante. Godetevele sono senza spoiler.

40- Inizio regalandovi un sunto della recensione negativa che fece Elio Maraone (un super cagacazzi), critico cinematografico per il quotidiano L'Avvenire il 24 settembre 1974, il giorno dopo la prima per i soli giornalisti. Come certamente saprete L'Avvenire è un giornale che adora i film con il diavolo.
"Il regista sembra aver imboccato, dopo un buon inizio, la lucrosa strada dei "supercolossal", Mai però si era prestato a un'opera così schiava del mercato e destituita di senso. A meno che il film non sia una metafora dell'America del Watergate e del cattivo Nixon da esorcizzare [...] ma il finale è troppo ambiguo per una simile interpretazione. Sembra che il regista voglia dire più volte che se facciamo errori la colpa non è nostra ma del diavolo. Punta tutto su effettacci come vomito verde e occhi che strabuzzano o comunque su un turpiloquio di bestemmie, elementi lontani dall'obbiettivo ricercato da molti horror". E meno male!

39- Ellen Burstyn accettò di prendere parte al film a condizione che venisse tolta la linea di dialogo del suo personaggio "Io credo nel diavolo!". I produttori acconsentirono.

38- John Boorman avrebbe dovuto dirigere il film ma rifiutò perchè lo riteneva troppo crudele nei confronti dei bambini. Diresse però L'esorcista II - L'eretico. Ah i soldi e il successo....

37- Audrey Hepburn sarebbe dovuta essere Chris MacNeal, la mamma di Regan. Era la prima scelta di Friedkin e i produttori erano pienamente d'accordo, ma Audrey aveva una sola condizione, che il film si girasse a Roma. Anche Jane Fonda e Shirley MacLaine (il personaggio di Chris era basato su di lei) vennero provinate. Anne Bancroft invece rifiutò perchè nel primo mese di gravidanza.

36- Mercedes McCambridge è la voce del demone che possiede Regan. Prima fece causa alla Warner Bros per averla messa nei crediti, poi cambiò idea. Non voleva essere menzionata perchè la Blair era candidata all'Oscar e sapere che non era lei a fare la voce del demone avrebbe cancellato le sue chances di vincere, e fu così infatti.

35- La versione che vedrete al cinema e che trovate ora in DVD e Blu Ray è diversa da quella originale del 1973. Oggi siamo molto fortunati e possiamo goderci la Extended version o Director's Cut che dir si voglia, contenente la famosa camminata del ragno di Regan sulle scale e alcuni frammenti, inserti, nella pellicola che mostrano, fra le altre cose, il volto del demone. Con altre scene estese o tagliate, si raggiungono 10 minuti circa extra.

lunedì 15 ottobre 2012

Il bianco e il nero #18: New York al cinema.

Capitolo primo. "Adorava New York. La idolatrava smisuratamente..." No, è meglio "la mitizzava smisuratamente", ecco. "Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin". Manhattan, Woody Allen.

E viceversa, il cinema a New York. 
Quante storie sono state ambientate nella città che non dorme mai? Quanti dei vostri film preferiti? Quante lettere d'amore ha ricevuto questa città? Quanti grandissimi registi/attori/artisti/sceneggiatori ci sono nati? O quanti ci sono passati, ci hanno abitato per un periodo, si sono innamorati, l'hanno odiata forse? 
Io amo New York. Un amore viscerale sorto in me fin dalla tenera età. Non so da cosa o come sia nato questo rapporto, ma da che ho ricordo, io l'ho sempre avuta nel cuore. Poi è venuto il cinema, che da buon amico e consigliere me l'ha mostrata, nei suoi lati più nascosti e quelli più celebri, me l'ha fatta conoscere meglio e amare ancora di più.
Ho visitato New York più di una volta e a breve ci ritornerò (è una malattia che indebita parecchio sigh) e ogni volta ci vado armato di cartina e lista di luoghi/scene di film. Siccome altrove ha ottenuto un discreto successo questa mia lista, ho deciso di proporre anche qui un tour virtuale e in celluloide (avrei voluto fossero tutti in buon b/n ma per una volta farò un eccezione e inserirò di tutto) dei luoghi più celebri, e non, della più bella città del mondo. Vi direi di allacciarvi le cinture ma qui si cammina, altro che, qui si fanno fuori le suole delle scarpe.

D'accordo, fingiamo di essere appena arrivati, siamo al JFK, l'aeroporto di punta di New York (si niente La Guardia e per carità niente Newark (New Jersey) odiato persino dall'appena citato ex sindaco). Mentre aspettiamo che arrivino i bagagli diamoci uno sguardo attorno. Molto probabilmente direte "Ah! Ma qui è dove hanno girato The Terminal!". No, mi dispiace darvi la prima delusione. Gli esterni furono girati in Quebec e gli interni a Dallas in uno studio gigantesco dove è stato ricostruito fedelmente una parte dell'enorme aeroporto dislocato in più terminal. Nemmeno l'inizio di Mamma ho riperso l'aereo non fu girato propriamente qui. In una scena, per giunta, si vede l'Empire State Building fin troppo da vicino e considerato che è circa a 20 km di distanza, fate voi i conti.
Ah bè, bel giro, due film e entrambi girati altrove. Non preoccupatevi, se vi girate verso l'area che porta ai taxi e all'Air Train (un treno che porta alla metropolitana) calcherete i passi di Bette Midler in Affari d'oro e di Roger Moore AKA James Bond in Vivi e lascia morire (puah!).
D'accordo, meglio prendere qualche metropolitana (linea J) e arrivare in centro. Ovviamente come prima tappa è d'obbligo Times Square, se è la vostra prima volta. Lasciatevi inondare dalle mille luci dei cartelloni pubblicitari e poi concentratevi su alcune parti, non in alto, ma a livello stradale. Se guardate verso la scalinata rossa, tutta illuminata, proprio in centro, davanti troverete la statua del cappellano Francis P. Duffy. Ecco proprio qui davanti vi dovreste ricordare della scena di Piombo rovente, dove di mattina presto si vede camminare uno stanco Burt Lancaster.
Ci scommetto che avrete notato quello strano uomo nudo, svestito da cowboy che suona la chitarra e fa foto con le ragazzine e le signore tarchiate. Impossibile non pensare quindi a Un uomo da marciapiede. Proprio in questa zona, il neo arrivato cowboy texano Jon Voight, trova il suo alloggio, all'hotel Claridge, tra la Broadway e la East 44th Street, quel palazzone che rimane a destra della statua vista in precedenza.

lunedì 10 settembre 2012

The Bourne Legacy di Tony Gilroy


Nelle sale dal 7 settembre.

Treadstone e Blackbriar. Due operazioni top secret della difesa del governo statunitense che Jason Bourne si diverte a rendere pubbliche durante l'ultimo film della trilogia con protagonista Matt Damon, The Bourne Ultimatum. A farne le spese non sono solo le alte sfere della CIA: Eric Byer (Edward Norton), supervisore delle operazioni clandestine dell'agenzia d'intelligence, scopre infatti su internet un video potenzialmente compromettente dove appaiono insieme i capi ricercatore di Treadstone e di Outcome, un altro programma top secret che prevede l'impiego di agenti dalle capacità intellettive e fisiche incrementate grazie all'assunzione di speciali pillole.
Al fine di non rivelare i risultati scientifici ottenuti da Outcome, Byer decide di eliminare il programma dalla radice, assassinando i ricercatori e gli agenti coinvolti, tra cui Aaron Cross (Jeremy Renner) che, sebbene sia a corto di pillole, non sembra avere alcuna intenzione di soccombere e, anzi, rintraccia uno degli scienziati del progetto, l'unico sopravvissuto, la dottoressa Marta Shearing (Rachel Weisz) al fine di trovare un metodo per rendere permanenti i miglioramenti indotti dal'abuso di farmaci.
Spin-off di una delle saghe action hollywoodiane più remunerative del recente passato, The Bourne Legacy deve fare i conti con un'eredità più pesante di quella meramente economica: si tratta infatti di pellicole che hanno riscosso un successo di pubblico e critica più unico che raro per film di genere; in special modo l'ultimo episodio, diretto da Paul Greengrass, ha totalizzato una percentuale di recensioni positive impressionante (94% su rottentomatoes.com) e ha fatto man bassa di premi oscar tecnici (montaggio, montaggio sonoro e missaggio sonoro) all'80esima cerimonia degli Academy Award.
Per quanto in sede di recensione ritengo debba esser prassi giudicare un film per quello che è, senza farsi condizionare da un paragone con eventuali prequel et similia, penso che durante la visione il confronto sia un meccanismo mentale inevitabile, quindi tanto vale togliersi subito il dente e buttar giù due righe al riguardo.
Come immagino sappiate, Paul Greengrass e Matt Damon hanno detto no a un sequel di The Bourne Ultimatum: consapevoli del fatto che una storia di Jason Bourne senza le due personalità di cui sopra non avrebbe avuto senso di esistere, i produttori Frank Marshall e Patrick Crowley hanno affidato a Tony Gilroy, sceneggiatore della saga originale, il compito di scrivere una sceneggiatura, per la prima volta non tratta da un romanzo di Robert Ludlum, su una storia ambientata nel mondo di Bourne e di dirigerla. Le differenze d'approccio appaiono evidenti, The Bourne Legacy è esattamente la reinterpretazione che ci si aspetterebbe dal regista di Micheal Clayton: innanzitutto ha probabilmente più linee di dialogo di tutti e tre i prequel messi insieme, ma non per questo il ritmo viene meno. Certo, è necessario che vi togliate dalla testa il giro in giostra firmato Greengrass, tutto inseguimenti telecamera a mano e vertiginose evoluzioni da freerunner; Gilroy, consapevole dell'errore che avrebbe commesso scimmiottando il collega, costruisce comunque un thriller teso e avvincente, ben scritto, che si svolge più nelle camere del potere che non sulla strada alle calcagna del ricercato.
In ogni caso, i tratti distintivi della saga non vengono mai meno: tante location varie e suggestive (notevole il “prologo” ad alta quota), diversi momenti di genuina suspence e un attore protagonista, contro le previsioni avverse, con il phisique du role e una notevolissima presenza scenica, credibile quando mena le mani a velocità supersonica quanto nel sottolineare, con una buona performance, la diversa prospettiva sull'invincibilità dei super-agenti offerta dal film.
L'idea della dipendenza da farmaci è infatti decisamente riuscita e legata a doppio filo con il leit motiv della pellicola, ma più in generale della saga, ovvero il controllo psicologico e tecnologico che di fatto violano ogni velleità di privacy.
Tutto ciò che non funziona sta nel quarto d'ora finale, per un paio di motivi: innanzitutto appare evidente che Gilroy non si trovi a suo agio a dirigere lunghe scene d'azione, specie quando gli vengono imposte, e si vede,  il montaggio è confusionario e spesso non si capisce cosa succeda su schermo; la sensazione è che questa sequenza di chiusura sia stata appiccicata in malo modo alla pellicola per fini più commerciali che altro. In secondo luogo, viene introdotto un elemento, un deus ex machina per i villain, che stona con il contesto e che, privo com'è di qualsivoglia caratterizzazione o di una costruzione della tensione ben definita, risulta quasi essere anticlimatico.
Fortunatamente ciò non inficia la qualità complessiva di un notevole film di genere, ingiustamente stroncato da buona parte della critica d'oltreoceano perché diverso dai suoi illustri predecessori.

giovedì 19 luglio 2012

Filmbuster(d)s - Episodio#6


Vi ricordate quando The Road rischiò di non arrivare mai nelle sale italiane perché i nostri distributori pensavano fosse un film "deprimente"? Il film di John Hillcoat alla fine ce l'ha fatta, esistono però una quantità spropositata di film meritevoli, che hanno percentuali da capogiro su Rottentomatoes.com, che hanno ricevuto riconoscimenti nei festival di cinema di tutto il mondo, che non in Italia non arriveranno mai. Noi di Filmbuster(d)s abbiamo deciso di dedicare una puntata ad alcuni di questi film "dispersi" che riteniamo meritino almeno una visione.








Nel 6° episodio di Filmbuster(d)s:

- A Better Life
- The Raid
- The Grey
- Helpless
- Kill List
- Coriolanus
- Las Acacias
- The Innkeepers
- The Secret of Kells
- Everything must go
- The Woman

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mercoledì 27 giugno 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #3


I film in sala ora non ci piacciono, fanno schifo, ma almeno è arrivato il teaser trailer del nuovo film di Paul Thomas Anderson a farci emozionare come ragazzine alla prima volta.
E alexdiro s'è inspiegabilmente sciolto anche per il trailer del nuovo film di Zemeckis, mah.
Nel terzo episodio del pocast sul cinema senza peli sulla lingua:

- Il teaser trailer del nuovo film di P.T. Anderson, The Master
- Flight di Robert Zemeckis
- Mereghetti contro tutti

FILM IN SALA
- Detachment
- Rock of Ages
- Chernobyl Diaries


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martedì 26 giugno 2012

Il Recensore Tossico #1: Benvenuti (voi e io)


Salve. Vi do e mi do il benvenuto. Iniziare una rubrica scrivendo come terza parola e sesta parola una parola che non si è sicuri se vada accentata o meno non è cosa saggia, ma del resto è una rubrica che parlerà di cinema e non di grammatica. E sono quasi certo che non vada accentata.

Se fossi un film sarei Three Amigos*.
Se fossi un regista sarei Edgar Wright**.
Se fossi un attore sarei morto.
Fine delle presentazioni.

Permettetemi di inaugurare questa mia modesta rubrica con la più banale e scontata, anche se di poco modificata, delle citazioni. E ve la beccate pure in inglese.


Trash:
1.
anything worthless, useless, or discarded; rubbish.
2.
foolish or pointless ideas, talk, or writing; nonsense.

Titoli di testa.

I film bbbrutti, insomma. O stando a queste definizioni, i film inutili, spazzatura, pieni di idee stupide o senza senso. Quelli scartati.
Tutto molto giusto, per carità. Ma allora perchè così tante persone hanno una insana passione per il genere trash? La risposta più logica è che i film di questa parrocchia si guardano per farsi due risate, per vedere fino a che punto riescono a ridefinire il concetto di bruttura. Certamente è un motivo valido. Ma non basta, si può guardare un film trash ogni tanto, fra un Pasolini e un Kurosawa, se si vuole ridere un po' e basta, magari nel frattempo sentendosi persone intelligenti che spaziano senza razzismo tra Dersu Uzala a Killer Klowns From Outer Space. Si può guardare un film trash con gli amici in una serata a base di birra, canne e stupidità. Ma tutto questo non basta a costruirci attorno una passione.
Io non sono un appassionato di cinema trash (definizione che tengo volutamente larghissima), ma un curioso del cinema trash. E' un genere che mi affascina e che a volte riesce a lasciarmi stupito per il modo in cui riesce ad elevare la bruttezza a vera e propria forma d'arte con una sua, grandissima, dignità. La bruttezza ci salverà. Ed ecco qui la difficoltà insita nell'analizzare film di questo genere. E' brutto e basta o è talmente brutto che ha fatto il giro ed è diventato bello? Ha dei reali meriti che devono essere sottolineati? Oppure tutto affoga in un mare di divertente orrore che incita ad essere benevoli nella valutazione? Oppure tutto affoga in un mare di orrore senza nemmeno risultare divertente? Ecco un esempio. Tromeo & Juliet. Film pessimo, indubbiamente. Ma ha una serie di trovate assolutamente folgoranti. Per quelli di voi che l'hanno visto, la scena in cui Tromeo e la sua bella si incontrano per la prima volta non è splendida, nel suo essere intelligentemente ridicola? O anche la trovata della prigione di vetro di Juliet.  E' trash, è maledettamente trash, ma è bello. E non solo perchè è brutto.
Ora prendete Jesus Christ Vampire Hunter. Gesù Cristo torna fra noi e caccia vampiri a colpi di arti marziali? Sembra perfetto, invece il tutto è ricoperto da una colata di noia e mancanza di idee. Evidentemente gli autori pensavano che un concept (potenzialmente) brillante bastasse a tirar la carretta. Non c'è peggio di un regista e di uno sceneggiatore pigri, a maggior ragione in questo genere. Ci si sente proprio presi per i fondelli. Andremo quindi alla ricerca di quella sottilissima linea rossa fra ciò che è valido e ciò che non lo è, tra cio che trae forza dalla bruttezza e ciò che ne trae debolezza, andremo a caccia di capolavori sottovalutati e ciofeche sopravvalutate. Ogni tanto incontreremo anche tanta mediocrità, e cosa ci salverà dalla mediocrità? Speriamo almeno un'inquadratura, almeno una....

Una piccola precisazione: io non sono un appassionato di film trash, ve l'ho già detto. Il trash è un genere (ribadisco ancora una volta che mi prenderò immense libertà nella scelta dei film da analizzare sotto la vaga etichetta di trash. Tutto quello che rientra nelle definizioni da dizionario potrebbe trovare posto qui dentro.) che mi incuriosisce, e per questo ho deciso di dedicare ad esso questa rubrica. Scoprirò il genere insieme a voi.

I criteri che seguirò? Eccoli. I film che saranno presenti in questa rubrica dovranno essere***:

1) Italiani e/o contenere almeno un mostro. Film con entrambe le caratteristiche saranno un vero festino.
2) Valutati con meno di 5 su imdb.com.
3) Presenti su Youtube, così potrete vederli facilmente anche voi, se ne sarete incuriositi.

La prima pellicola che prenderemo in esame sarà Redneck Zombies, stay tuned.

Ad maiora!


*anche se non è il mio film preferito (ebbè! Però è bellissimo, eh).
** anche se non è il mio regista preferito.
***ovviamente a mio insindacabile giudizio i criteri potranno essere cambiati\stravolti\ignorati.

sabato 23 giugno 2012

Detachment - Il Distacco di Tony Kaye


Henry Barthes è un supplente di letteratura che viene ingaggiato da un istituto della periferia americana in cui il rispetto per la figura autoritaria dell'insegnante è una pratica ormai dimenticata. Dovrà fare i conti ogni giorno con una generazione di studenti senza ambizioni la cui deriva dei valori è prima di tutto conseguenza della mancanza di volontà e dell'incapacità dei genitori di comprendere ed educare i propri figli. La voce narrante del protagonista mette dunque in discussione il ruolo dell'insegnante, il cui obiettivo non è più, per l'appunto, insegnare, ma “sopravvivere” per un'ora e fare del distacco il succo dei rapporti con gli alunni. Un distacco necessario per poter affrontare con lucidità i problemi della vita al di fuori della scuola quali un nonno ricoverato in un istituto di cura che ha perso il lume della ragione e una ragazzina di strada che Henry prende in simpatia e accoglie in casa.
Detachment, diretto da Tony Kaye, è l'equivalente cinematografico di quelle foto realizzate senza alcuna nozione di fotografia da chi ha scaricato instagram dall'App Store e pensa di fare arte immortalando paesaggi o, citando Stewie Griffin, una sedia vuota, applicando qua e là filtri a caso: ovvero un'idea tutto sommato potenzialmente buona rovinata dall'incompetenza e dalla pacchianeria dell'autore.
Ed è un pensiero che ti salta in mente sin dai titoli di testa “arricchiti” dalle non necessarie testimonianze dal vero di veri insegnanti con vere esperienze (la ripetizione è voluta) sottolineate da un brano solo piano di un'invadente colonna sonora che, per tutta la durata del film, impone le emozioni piuttosto che suggerirle, figlia di un didascalismo che permea la pellicola in modo stucchevole.
Se un dialogo è ben scritto, e quelli scritti da Carl Lund non erano niente male, non c'è bisogno di ripetere il concetto espresso; Kaye invece lo ribadisce in ogni occasione per tre volte, non solo attraverso la voce dei personaggi ma anche tramite disegni che si materializzano in stop motion sulla lavagna (che vorrebbero fare il verso alle sovrimpressioni di Edgar Wright) e tramite la voce fuori campo del protagonista illuminato da una luce rossa stile camera oscura.
Una struttura ridondante, ulteriormente appesantita dall'ossessiva ripetizione dello stesso flashback, che rende la visione estenuante oltre ogni limite della sopportazione nonostante l'indubbia efficacia di alcune sequenze, ben riuscite per merito sopratutto dell'interpretazione di un notevole cast, tra cui spicca la performance di Adrien Brody, finalmente in un ruolo che si confà alle sue caratteristiche, ben lontane dall'eroe d'azione di Predators o dalle scadenti atmosfere horror del recente Dario Argento.
E' evidente l'incapacità di Kaye di lavorare per sottrazione e di gestire le tre storyline, soffocate da suddetta ridondanza e private dell'approfondimento necessario, specie per quanto riguarda il rapporto di Henry con i propri alunni, inizialmente scontrosi come inspiegabilmente accondiscendenti nel poco coraggioso finale, che cade inesorabilmente nel clichè della classe difficile che si innamora del nuovo professore.
Un consiglio spassionato: se volete guardare una pellicola decente sulle dinamiche di classe della scuola odierna, guardate La Classe – Entre le murs di Laurent Cantet e risparmiate i soldi del biglietto

venerdì 22 giugno 2012

L'immondo profondo #2: Suspiria e Maniac

Certe news ti tolgono il sonno

Vi starete chiedendo cos'hanno in comune a parte il genere due film come Suspiria (1977) e Maniac (1980). Non ci siete ancora arrivati ? Dai che è facile... esatto, hanno girato o stanno girando dei remake. Di Suspiria se ne parlava da un pò, fino a qualche tempo fa era solo un rumor che vedeva Jessica Harper (protagonista dell'originale) in veste di produttrice insieme a Natalie Portman che ormai veniva data per certa anche nel ruolo di protagonista. Più avanti venne fuori anche il nome di jessica Alba, poi il silenzio, tanto che molti se ne sono dimenticati e la news è finita nel mucchio dei rumors mai confermati.
E invece no! A settembre sono cominciate le riprese, e sono sicuro che sarete tristi quanto me nel sapere che Natalie Portman e Jessica Harper non hanno nulla a che fare con il progetto, forse perché
hanno perso interesse o forse perché in realtà non sono mai state coinvolte.
Alla regia c'è David Gordon Green (ma come chi è ? E' quello di Strafumati e Lo Spaventapassere...) tra i produttori Luca Guadagnino e nel cast compaiono Isabelle Fuhrman (Orphan, The Hunger Games) nel ruolo di protagonista, Michael Nyqvist, Janet McTeer e Isabelle Huppert. Della sceneggiatura originale pare però che non sia rimasto più nulla, il che non è obbligatoriamente un male, l'accademia di danza è stata sotituita da un campus europeo e la banda di stregacce è stata rimpiazzata da una “misteriosa organizzazione”, staremo a vedere.
Ma passiamo a Maniac, di questo mi sembra si sia parlato un po' meno, eppure è stato protagonista di una delle ultime proiezioni notturne del Festival di Cannes (a proposito, se ne parla abbastanza bene) quindi è già bello che ultimato e pronto a sbarcare nelle sale, alla regia c'è Franck Khalfoun (-2 Livello del terrore) e alla sceneggiatura Alexander Aja, mentre Franck Zito questa volta è interpretato da quel bel faccino di Elijah Wood (ugh...).
Per quelli di voi che non lo conoscono, Maniac era un horror/thriller del 1980 diretto da William Lustig e interpretato da Joe Spinell (Rocky, Il Padrino), che si era così appassionato al progetto da partecipare anche come co-sceneggiatore. La trama era poco invitante, la ormai classica storia di un serial killer e dei suoi delitti, ma il punto di vista era inedito, o quasi, perché dopo filmoni come Psycho e Peeping Tom il serial killer tornava ad essere il vero protagonista, mostrato in tutta la sua perversione e in tutto il suo squallore. Joe Spinell infatti non aveva il volto pulitino e innocente di Norman Bates, ma una maschera felliniana sgradevole e massacrata dall'acne, e ancora oggi fa un certo effetto vederlo madido di sudore mentre si avventa sulla sua vittima, o che piange disperato sul letto dopo aver preso l'ultimo scalpo.
Insomma due remake, ma non mi voglio scagliare di nuovo contro il concetto di remake come macchina per fare soldi, a quello ci arriviamo tutti, quello che mi interessa in questo caso sono proprio i due film in questione. Normalmente si gira il rifacimento di un film di successo, roba che tutti conoscono e che garantisce un incasso sicuro, qui invece si tratta di prodotti “di nicchia”, a parte forse Suspiria, ma bisogna considerare che all'estero è molto meno conosciuto dai non addetti ai lavori. Ma la cosa importante è che sono due film fortemente figli della loro epoca, Suspiria visivamente fu molto innovativo, una fusione di vecchio e nuovo, gotico e pop, molto influenzato dal cinema di Mario Bava, mentre il resto era di un'ingenuità commovente. Anche Maniac a suo modo aveva innovato per le ragioni di cui parlavo prima, sporco, misogino e brutto.
Saranno stati innovativi nel loro contesto, ma oggi sono solo degli horror. E allora via con i rimaneggiamenti, e in questo caso le strade intraprese di solito sono due: un mare di sangue e frattaglie, e questo è il caso di Maniac, che guardacaso dietro ha uno come Alexander Aja, oppure una rivisitazione teen horror, e questo mi pare il caso di Suspiria, ambientato in un college con un'attrice che arriva da The Hunger Games.
Magari mi sbaglierò, magari saranno dei mezzi capolavori, e comunque queste sono delle ipotesi più che dei pronostici, però il dubbio rimane: ha senso fare il remake di un film che ha segnato una svolta trenta o quaranta anni fa ? E dopo che ci si è resi conto che non ha senso, ha senso girare un remake sapendo che l'unico modo per venderlo è stravolgerlo ?
Un po' le sensazioni che mi aveva provocato l'adattamento di Dylan Dog, una trasposizione per modo di dire. Roba che ti fa chiedere se non sarebbe stato più logico e più economico scrivere da zero un film su un ammazzamostri a New Orleans, perché tanto della fonte non rimane più nulla, e agli americani di Dylan Dog frega poco o niente.
Insomma volevo evitarlo ma si va a finire sempre lì: non sarebbe meglio girare film nuovi ?