Nelle sale dal 7 settembre.
Treadstone e Blackbriar. Due operazioni top secret della difesa del governo statunitense che Jason Bourne si diverte a rendere pubbliche durante l'ultimo film della trilogia con protagonista Matt Damon, The Bourne Ultimatum. A farne le spese non sono solo le alte sfere della CIA: Eric Byer (Edward Norton), supervisore delle operazioni clandestine dell'agenzia d'intelligence, scopre infatti su internet un video potenzialmente compromettente dove appaiono insieme i capi ricercatore di Treadstone e di Outcome, un altro programma top secret che prevede l'impiego di agenti dalle capacità intellettive e fisiche incrementate grazie all'assunzione di speciali pillole.
Treadstone e Blackbriar. Due operazioni top secret della difesa del governo statunitense che Jason Bourne si diverte a rendere pubbliche durante l'ultimo film della trilogia con protagonista Matt Damon, The Bourne Ultimatum. A farne le spese non sono solo le alte sfere della CIA: Eric Byer (Edward Norton), supervisore delle operazioni clandestine dell'agenzia d'intelligence, scopre infatti su internet un video potenzialmente compromettente dove appaiono insieme i capi ricercatore di Treadstone e di Outcome, un altro programma top secret che prevede l'impiego di agenti dalle capacità intellettive e fisiche incrementate grazie all'assunzione di speciali pillole.
Al fine di non rivelare i risultati
scientifici ottenuti da Outcome, Byer decide di eliminare il
programma dalla radice, assassinando i ricercatori e gli agenti
coinvolti, tra cui Aaron Cross (Jeremy Renner) che, sebbene sia a
corto di pillole, non sembra avere alcuna intenzione di soccombere e,
anzi, rintraccia uno degli scienziati del progetto, l'unico
sopravvissuto, la dottoressa Marta Shearing (Rachel Weisz) al fine di
trovare un metodo per rendere permanenti i miglioramenti indotti
dal'abuso di farmaci.
Spin-off di una delle saghe action
hollywoodiane più remunerative del recente passato, The Bourne
Legacy deve fare i conti con un'eredità più pesante di quella
meramente economica: si tratta infatti di pellicole che hanno
riscosso un successo di pubblico e critica più unico che raro per
film di genere; in special modo l'ultimo episodio, diretto da Paul
Greengrass, ha totalizzato una percentuale di recensioni positive
impressionante (94% su rottentomatoes.com) e ha fatto man bassa di
premi oscar tecnici (montaggio, montaggio sonoro e missaggio sonoro)
all'80esima cerimonia degli Academy Award.
Per quanto in sede di recensione
ritengo debba esser prassi giudicare un film per quello che è, senza
farsi condizionare da un paragone con eventuali prequel et similia,
penso che durante la visione il confronto sia un meccanismo mentale
inevitabile, quindi tanto vale togliersi subito il dente e buttar giù
due righe al riguardo.
Come immagino sappiate, Paul Greengrass e
Matt Damon hanno detto no a un sequel di The Bourne Ultimatum:
consapevoli del fatto che una storia di Jason Bourne senza le due
personalità di cui sopra non avrebbe avuto senso di esistere, i
produttori Frank Marshall e Patrick Crowley hanno affidato a Tony
Gilroy, sceneggiatore della saga originale, il compito di scrivere
una sceneggiatura, per la prima volta non tratta da un romanzo di
Robert Ludlum, su una storia ambientata nel mondo di Bourne e di
dirigerla. Le differenze d'approccio appaiono
evidenti, The Bourne Legacy è esattamente la reinterpretazione che
ci si aspetterebbe dal regista di Micheal Clayton: innanzitutto ha
probabilmente più linee di dialogo di tutti e tre i prequel messi
insieme, ma non per questo il ritmo viene meno. Certo, è necessario
che vi togliate dalla testa il giro in giostra firmato Greengrass,
tutto inseguimenti telecamera a mano e vertiginose evoluzioni da
freerunner; Gilroy, consapevole dell'errore che avrebbe commesso
scimmiottando il collega, costruisce comunque un thriller teso e
avvincente, ben scritto, che si svolge più nelle camere del potere
che non sulla strada alle calcagna del ricercato.
In ogni caso, i tratti distintivi della
saga non vengono mai meno: tante location varie e suggestive
(notevole il “prologo” ad alta quota), diversi momenti di genuina
suspence e un attore protagonista, contro le previsioni avverse, con
il phisique du role e una notevolissima presenza scenica, credibile
quando mena le mani a velocità supersonica quanto nel sottolineare,
con una buona performance, la diversa prospettiva sull'invincibilità
dei super-agenti offerta dal film.
L'idea della dipendenza da farmaci è
infatti decisamente riuscita e legata a doppio filo con il leit motiv
della pellicola, ma più in generale della saga, ovvero il controllo
psicologico e tecnologico che di fatto violano ogni velleità di
privacy.
Tutto ciò che non funziona sta nel
quarto d'ora finale, per un paio di motivi: innanzitutto appare
evidente che Gilroy non si trovi a suo agio a dirigere lunghe scene
d'azione, specie quando gli vengono imposte, e si vede, il montaggio è confusionario e spesso non si capisce cosa succeda su schermo; la sensazione è che
questa sequenza di chiusura sia stata appiccicata in malo modo alla
pellicola per fini più commerciali che altro. In secondo luogo,
viene introdotto un elemento, un deus ex machina per i villain, che
stona con il contesto e che, privo com'è di qualsivoglia caratterizzazione o di una costruzione della
tensione ben definita, risulta quasi essere anticlimatico.
Fortunatamente ciò non inficia la
qualità complessiva di un notevole film di genere, ingiustamente
stroncato da buona parte della critica d'oltreoceano perché diverso
dai suoi illustri predecessori.
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