martedì 4 settembre 2012

Eva di Kike Maillo

In sala dal 31 agosto.
Non solo sono diventati i migliori in qualsiasi sport (basket, calcio, tennis, motociclismo, formula 1, ciclismo), ma da almeno un lustro, gli spagnoli dettano legge anche al cinema. Non importa il genere, hanno sfondato in ognuno di essi. Che sia il ritorno di un grande maestro come Almodovar, il che non stupisce, che sia quel gruppetto composto da Plaza-Balaguero-Bayona, o il talentuoso de la Iglesia, o che sia un giovane alle prime armi, come il 35enne Maillo, non ne sbagliano una. Non solo fanno un cinema di successo ma riescono anche a esportarlo senza troppe difficoltà. 
Qual'è il mix, gli ingredienti che hanno permesso questo periodo così florido? Difficile dire, balza però agli occhi una volontà di osare e di andare oltre i generi più classici (il dramma e la commedia) dovuto in gran parte a scrittori originali, ma soprattutto a produttori fiduciosi. Io credo che in Italia si possa e ci sia qualcuno in grado di scrivere un horror più che decente o un film di fantascienza affascinante. Il problema è che nessuno poi glieli produce (ma a sentire i produttori non è affatto così, ma vuoi mica che si autoaccusino, no?). Meglio puntare sulla classica commedia a episodi, magari un pò volgarotta, o al dramma urlato, o sussurrato, non c'è una via di mezzo, che tanto piacciono al pubblico. Già il pubblico, è un circolo vizioso. Non può vedere film "diversi" perchè non si fanno, non si fanno tali film, perchè è vero, poi nessuno va realmente a vederli. Insomma, vuoi vedere che anche gli spagnoli, come spettatori, sono meglio di noi?

Eva, il primo film iberico sui robots, si inserisce perfettamente in questo contesto e in questo periodo storico spagnolo. Si apre con una ripresa che è un bel pugno in faccia, indiretto, al cinema italiano. Ampio respiro, di taglio americano, grande. Parte col botto insomma, e da subito, altra caratteristica di alcuni di questi prodotti spagnoli, se non lo sapessimo da dove provengono, difficilmente azzeccheremmo la nazionalità. Altro grande pregio, quando si viene a fare i conti con l'esportazione. 
Dopo questo prologo-epilogo, che va tanto di moda, viene il resto del film. Seguiamo Alex Garel, appena tornato a casa, in una regione montana della Spagna, dopo qualche anno di assenza. Siamo nel 2041 e la robotica ha fatto passi da gigante. Lui e suo fratello sono degli specialisti nella creazioni di automi il più possibili fedeli al modello umano. Alex torna nella sua università dove gli viene commissionata la creazione di un robot libero, ovvero non rigido, spontaneo, naturale, con tutte le caratteristiche di noi uomini. E' un progetto illegale e quindi va tenuto il segreto. Siccome sarà un bambino dell'età di circa 10 anni, deve scegliere un modello reale a cui ispirarsi. Tutti quelli testati gli sembrano normali, noiosi, lui ne vuole uno particolare. Ed un giorno incontra Eva, una tipetta tutto pepe, che scoprirà poi, essere figlia del fratello e di una sua ex collega e fiamma, Lana. La sceglie e inizia a modificare le caratteristiche del robot libero in base alle sue risposte a test accurati, incontra però l'opposizione dei genitori. 

Il futuro e la tecnologia di Eva sembrano quelle ipotizzate dai film di fantascienza anni '80. Figure plasticose, modelli antichi convertiti in chiave hi-tech (si vede spesso una Saab vecchia con cursori da videogioco), androidi nati già vecchi. Un pò Ritorno al futuro 2 insomma, ma chiaramente non si può trovare in un film simile la CGI americana o quella da ultimo grido. E diciamocelo chiaramente, della CGI, anche se è fantascienza, importa poco in una pellicola così.
Importa di più l'ambiente e i sentimenti. Ed ecco che arrivano le prime piccole critiche. Prima di tutto, ci troviamo in una regione nevosa, isolata, algida. Sembra quasi che quando si trattano i temi come cloni e robot, sia impossibile ambientarli in posti caldi. Una sit-com su un robot irriverente che gestisce un bar in un isola tropicale, è il mio sogno, ma non arrivo a chiedere così tanto. Vorrei solo che si uscisse da questo stereotipo (ancora di più nel weekend dove esce pure Womb) e a tal proposito è molto interessante il finale, che non rivelo, perchè continua a perseguire questa idea.
Si, l'abbiamo capito, robot e cloni non provano emozioni come noi, sono freddi come l'ambiente in cui li troviamo (siamo tornati all'espressionismo anni 20-30), ma l'intento di questi film è quello di provare il contrario, che sono umani, capaci di amare, di sentire emozioni, affetto e anche l'ira. I protagonisti si affezzionano a loro e noi pure, almeno dovremmo. Eppure accade sempre che il risultato finale (ancora una volta Womb oppure Non lasciarmi) è l'opposto. Film freddi, scuri, apatici. E Eva non è da meno.

Un'altra critichina si può fare al coup de thèatre di tre quarti di film, quello classico. Non è neanche tale, perchè è chiaro fin dalla locandina, addirittura, quale sarà. Anche qui, non voglio dire sia un film che punta alla sorpresa -dovrebbe puntare ai sentimenti, ma come detto, fallisce- ma è talmente banale da risultare sgradevole. In primis perchè si vive il film con l'attesa di questa rivelazione, sempre li a pelo d'acqua, e in secundis perchè è gestita male, persino la rivelazione stessa. 
In definitiva è un film dai molti pregi estetici e tecnici, ma debolino dal punto di vista del resto. Va a infilarsi in quella sequela di pellicole di argomento simile, senza però aggiungere niente, se non un'ulteriore discussione sul "robot umano e perfetto VS le tre leggi della robotica di Asimov". Non è un brutto lavoro, ma era d'obbligo aspettarsi qualcosina di più, di pari passo alla cifra stilistica di questo novello regista (già premiato per giunta con un Goya e menzionato dalla critica a Venezia 68).
Note a parte per gli attori, Daniel Bruhl (Alex, e già visto in Goodbye Lenin o Bastardi senza gloria), uno dei giovani attori più bravi del momento, e qui non è da meno, e Marta Etura (Lana, vista neanche un mese fa nell'ottimo Bed Time), astro nascente e anch'essa elemento di questa nuova nouvelle vague, anzi Nueva Ola.
Frase cult: "Cosa vedi quando chiudi gli occhi?" quella che disattiva i robot, molto bella.

2 commenti:

  1. Salve.
    Sono d'accordo su molti aspetti, soprattutto sul prevedibilissimo colpo di scena che si spera non sia quello (almeno io l'ho fatto, tanto è banale).

    Non mi convince però quello che viene chiamato "ampio respiro, di taglio americano, grande". Probabilmente sono prevenuta, ma più che altro annoiata all'ennesima potenza dal cinema di Hollywood che non riesco a ricevere un'opinione positiva da qualcosa che provenga da lì, soprattutto negli ultimi anni.
    Forse è proprio questo che non ho gradito di Eva: una sorta di mancanza di personalità. Nessun nazionalismo, intendiamoci: non che mi manchi il fatto che non si capisca che sia spagnolo, francese o inglese. Già l'esser tutto un po' sottotono, quasi dimesso, discosta Eva dalla generica produzione americana.
    Poi, se la cosa importante ha da essere l'esportazione invece di uno squallido, frusto, insopportabile remake (anche per visibilità) ha senso anche scendere a qualche compromesso. Però, ecco, avrei voluto vedere un prodotto meno convenzionale. Ad esempio: un Bed time in lingua inglese originale non mi sarebbe dispiaciuto, anche se non mi pare il tipo di film diretto ad una grossa fetta di pubblico transoceanico.

    Magari ho frainteso tutto il discorso.
    Grazie comunque per il rilievo dato a certi film che hanno avuto una scarsa distribuzione (almeno nella mia città non s'è visto) e che invece tutto sommato hanno i loro meriti.

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  2. Quel riferimento all'americanità del film era solo per quella scena d'apertura, quella dove una donna cade nel burrone davanti a una bambina (lo dico così anche se non è spoiler). La macchina da presa che si alza su, su, su e inquadra la valle e poi le riprese aeree. Molto USA. Il resto no, è cinema nornalissimo, potrebbe essere anche bangladeshiano, ma ciò non toglie che sia girato bene, solo in maniera freddina

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