Nelle sale dal 31 agosto.
E a proposito di sfide impossibili, anche questo Babycall non poteva comparire nelle sale cinematografiche in un momento meno favorevole, infatti che io sappia è abbastanza difficile trovarne traccia da qualche parte, e ahimé, perché lo seguivo da un po', sarei quasi tentato di dire menomale.
A sei anni di distanza da Naboer (2005) Pal Sletaune torna ad affrontare una storia che indaga il confine tra reale ed irreale: Anna (Noomi Rapace, premiata come miglior attrice al Festival di Roma del 2011) si è appena trasferita in un nuovo appartamento insieme a suo figlio Anders di otto anni, molto presto scopriamo che i due sono in fuga da un marito e padre violento, un uomo che in più di un'occasione si è avvicinato a provocare la morte del bambino. Chi subisce di più le conseguenze del trauma è però Anna, che diventa esageratamente iperprotettiva nei confronti del figlio, al punto da non permettergli di frequentare la scuola o di dormire in una camera separata dalla sua. I servizi sociali però le stanno con il fiato sul collo, se non cresce suo figlio in modo sano ed equilibrato il tribunale potrebbe decidere di sottrarglielo, e come se non bastasse il marito ha cambiato avvocato e sta cercando di ribaltare la decisione del tribunale. Anna allora fa il possibile per superare le sue ossessioni, prima permette ad Anders di frequentare la scuola e poi compra un baby monitor per controllarlo durante il sonno, ma l'apparecchio comincia a trasmettere le urla disperate di un altro bambino e Anna precipita di nuovo nelle vecchie ossessioni.
E' facile notare qualche analogia con il Repulsion di Roman Polanski, la figura femminile psicologicamente fragile, il maschio visto come minaccia e l'assedio nell'appartamento che diventa rifugio dalle fobie... analogie che però rimangono esclusivamente tematiche, perché Sletaune oltre all'aspetto psicologico tenta di svilupparne parallelamente anche uno soprannaturale, senza però riuscire a prendere una direzione precisa e ben definita, rimbalzando quindi tra suggestioni paranormali non pienamente sviluppate e situazioni tipiche del thriller psicologico, così tipiche da risultare fastidiosamente piatte e prevedibili.
Piattezza e prevedibilità si prestano altrettanto bene a descrivere l'impianto tecnico, che purtroppo non ci prova nemmeno a compensare la povertà generale di idee. Freddezza ed essenzialità, che molto spesso rappresentano il punto di forza di tante produzioni nordiche, qui servono solo a rendere tutto più anonimo e banale. Non si nota nessun tentativo di usare la regia per dare corpo alle tensioni, e l'idea di una confusione tra reale e irreale viene comunicata abbastanza didascalicamente attraverso le parole dei personaggi piuttosto che essere suggerita tramite le immagini. Persino il soprannaturale è portato in scena in modo piuttosto scarno, eppure, pur essendo un elemento secondario all'interno del film, è proprio quel paranormale a scatenare le situazioni più interessanti, come quando Anna durante uno dei suoi deliri si tuffa in un lago che in realtà non esiste ma si risveglia in ospedale completamente bagnata.
E a proposito di Anna veniamo a Noomi Rapace, che effettivamente è una delle poche cose che spiccano veramente, non tanto per il suo ruolo di madre possessiva ma per la sorprendente naturalezza con cui interpreta una donna arrivata ad un punto di rottura, la classica figura solitaria e inquietante che ti spinge a cambiare strada quando la incroci. Un po' come in Uomini che odiano le donne la sua femminilità viene quasi completamente azzerata (per vederla in atre vesti aspetto Passion, di Brian De Palma), capelli lunghi e spettinati, abbigliamento molto umile e soprattutto la sua gestualità, con quel modo di camminare molto trascinato e le spalle perennemente cascanti, insomma un'interpretazione degna di nota che purtroppo sembra andare sprecata in un film dignitoso quanto anonimo.
Hai detto una cosa sacrosanta: meno male non è uscito nelle sale. Avevo le aspettative molto alte e ho infamato il coso oscuro 3 per aver occupato una decina di sale impedendo l'uscita di Babycall, per cui ero disposta anche ad andare al cinema.
RispondiEliminaSarebbe stato il colpo di grazia, mi sa.
Dal trailer avevo immaginato tutt'altra cosa, ovvero un thriller, con l'apparecchio che effettivamente capta gli orrori in un altro appartamento, con conseguenti indagini.
Niente di tutto ciò: si affaccia appena a questa ipotesi e poi l'abbandona subito.
L'ho trovato scialbo, diretto in maniera approssimativa e superficiale; come giustamente fai notare, il soprannaturale (o quel che è) si intravede solo in quella scena che citi (lago inesistente ma abiti zuppi). Almeno si fosse tentato di disorientare maggiormente il pubblico, tipo The Others o Il sesto senso.
Peccato davvero, perché secondo me il potenziale c'era.
Ha spiazzato anche me, povero di idee e povero nella forma. Ecco, non saprei dire se non ci prova per niente a disorientare o se ci prova ma non ci riesce. E' di una piattezza sconcertante.
Elimina