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domenica 5 maggio 2013

Effetti collaterali di Steven Soderbergh

In sala dal 1 maggio.
Gli effetti collaterali di Effetti collaterali  possono essere il mal di testa o una generale difficoltà nella digestione anche nota come "dispepsia", effetti che sono stati riscontrati su un 10% degli uomini che hanno visto il film: sono dovuti al processo di vasodilatazione e hanno una durata compresa nell'arco di poche ore. In particolare, potranno presentarsi la prima volta che si vede il film, per poi scemare con il ripetuto uso dello stesso. No scherzo, questi sono gli effetti collaterali del Cialis. Si il farmaco che fa rizzare il pisello. No, il film di Soderbergh non fa rizzare il pisello. Almeno, non obbligatoriamente, non a tutti. No ecco basta, lo sanno tutti a cosa serve il Cialis smettetela di fare battute. Non l'ho mai preso!
Guardate alla vostra destra, poi alla vostra sinistra, ora in basso e ora in alto. Durante questo breve lasso di tempo Steven Soderbergh ha fatto un nuovo film. Ma come fa? Dove trova i soldi? E le idee? E il tempo? Negli ultimi due anni ce lo siamo ritrovato al cinema ogni weekend quasi, complice anche una distribuzione italiana talvolta in ritardo. Prima è arrivato Contagion , poi è spuntato fuori Knockout - La resa dei conti, poi il film che fa scappare i maschi e richiama gli arrusi Magic Mike, oggi esce Effetti collaterali, nel mezzo ci ha piazzato due progetti rimasti su suolo americano, oltre a qualche produzione o qualche collaborazione, come Side by side e tra meno dei due settimane lo ritroviamo a Cannes con il biopic su Liberace, Behind the candelabra.
Avendoli visti quasi tutti e avendo visto anche i precedenti lavori del regista, mi è balzato subito in mente un paragone, quello con Claude Chabrol. Tanti film, troppi, molti buoni, molti non buonissimi, nessun capolavoro (magari Chabrol uno si o quasi) ma neanche nessuna cagata pazzesca. Il classico regista che non riesci mai a lodare con tutto se stesso ma non riesci neanche a stroncarlo quando incappa in un brutto tiro. Tutti lo aspettiamo al varco da mo, e con la bilogia sul Che, sembrava finalmente essere arrivata la sua fioritura come autore (ma si, potrebbe già esserlo, essendo un termine così vago), ma i successivi lavori lo hanno rimesso nel limbo dei buoni con asterisco. Effetti collaterali mantiene la linea del buono ma.
Emily (Rooney Mara) è una ragazza depressa. Il marito (Channing Tatum al terzo film di fila con Soderbergh) sta scontando gli ultimi giorni in galera per insider trading, il motivo per cui hanno perso tutto; la villa al mare, la barca, le macchine, i soldi. Quando esce e tornano a essere una coppia, la felicità della donna non cambia. Dopo aver tentato il suicidio viene mandata da uno psicologo (Jude Law) che le prescrive diversi farmaci tra cui uno nuovo in prova. Tra gli effetti collaterali c'è il sonnambulismo e un giorno, immersa in questo stato, accoltella a morte il marito. Al processo viene dichiarata incapace di intendere e di volere eppure lo psicologo, eroso dal senso di colpa per averle prescritto lui quel farmaco, inizia a indagare e scopre che qualcosa nell'intera vicenda non va.

domenica 21 aprile 2013

Nella casa di Francois Ozon

Nelle sale dal 19 aprile.
Te possino Ozon.  Ormai bell'e che 11 anni fa, questo giovane regista, più che altro di corti, ed ex modello si affermò sulla scena francese e internazionale con un giallo-musical che racchiudeva tutto il meglio delle attrici francesi tra gli anni 80 e i 2000. 8 donne e un mistero lanciò nell'olimpo Ozon, fulgido esempio del suo stile registico, della sua classe e della sua bravura nella scelta dei colori, della fotografia, delle coreografie ma soprattutto nel modo di raccontare, di travolgere lo spettatore e non lasciarlo più. L'anno successivo si confermò con un opera più canonica ma non per questo meno affascinante come Swimming pool -che ha molto in comune con Nella casa-, dove riuscì nell'impresa di trattare un tema già visto e rivisto ma con tocco personale, elevandolo dal mucchio. Sono seguiti poi altri corti e il successo di critica, ma non di pubblico, Ricky e il divertente Potiche, finito a Venezia. Inutile dire che ogni volta che Ozon ritorna al cinema è quasi un evento, soprattutto per me che lo seguo costantemente.
Nella casa non è un remake horror, ok? Quello è La casa e esce tra qualche settimana. 
Germain è il professore di letteratura del liceo Flaubert. Ogni giorno è costretto a leggere terrificanti temi scritti dai suoi alunni sedicenni in cui raccontano, sgrammaticamente, le loro insulse giornate tra cellulari e pizza. Un giorno però gli capita sott'occhio un interessante racconto di Claude Garcia, il ragazzo dell'ultimo banco. Nel temino racconta di come sia finalmente riuscito a entrare nella casa di una famiglia, quella del suo compagno Rafà, che da tempo stava spiando morbosamente. Il principale motivo del suo interesse è la madre, Esther. La osserva, si inebria del suo odore, la studia. Il racconto si tronca di colpo con un Continua... Germain è rapito e affascinato dal soggetto e dal modo in cui Claude scrive, l'unico alunno con un pò di talento e un pò di cervello. Incita il ragazzo ad andare avanti, ancora non certo se i fatti che racconta siano reali o pura immaginazione, corregge i suoi errori, gli consiglia delle letture, vede in lui il figlio che non ha mai avuto e lo scrittore che non è mai diventato. Ma la storia procede sempre più in maniera particolare, a volte patetica a volte grottesca, morbosa. Quanto è giusto ancora andare avanti e quanto di quello che legge è vero?

lunedì 10 settembre 2012

The Bourne Legacy di Tony Gilroy


Nelle sale dal 7 settembre.

Treadstone e Blackbriar. Due operazioni top secret della difesa del governo statunitense che Jason Bourne si diverte a rendere pubbliche durante l'ultimo film della trilogia con protagonista Matt Damon, The Bourne Ultimatum. A farne le spese non sono solo le alte sfere della CIA: Eric Byer (Edward Norton), supervisore delle operazioni clandestine dell'agenzia d'intelligence, scopre infatti su internet un video potenzialmente compromettente dove appaiono insieme i capi ricercatore di Treadstone e di Outcome, un altro programma top secret che prevede l'impiego di agenti dalle capacità intellettive e fisiche incrementate grazie all'assunzione di speciali pillole.
Al fine di non rivelare i risultati scientifici ottenuti da Outcome, Byer decide di eliminare il programma dalla radice, assassinando i ricercatori e gli agenti coinvolti, tra cui Aaron Cross (Jeremy Renner) che, sebbene sia a corto di pillole, non sembra avere alcuna intenzione di soccombere e, anzi, rintraccia uno degli scienziati del progetto, l'unico sopravvissuto, la dottoressa Marta Shearing (Rachel Weisz) al fine di trovare un metodo per rendere permanenti i miglioramenti indotti dal'abuso di farmaci.
Spin-off di una delle saghe action hollywoodiane più remunerative del recente passato, The Bourne Legacy deve fare i conti con un'eredità più pesante di quella meramente economica: si tratta infatti di pellicole che hanno riscosso un successo di pubblico e critica più unico che raro per film di genere; in special modo l'ultimo episodio, diretto da Paul Greengrass, ha totalizzato una percentuale di recensioni positive impressionante (94% su rottentomatoes.com) e ha fatto man bassa di premi oscar tecnici (montaggio, montaggio sonoro e missaggio sonoro) all'80esima cerimonia degli Academy Award.
Per quanto in sede di recensione ritengo debba esser prassi giudicare un film per quello che è, senza farsi condizionare da un paragone con eventuali prequel et similia, penso che durante la visione il confronto sia un meccanismo mentale inevitabile, quindi tanto vale togliersi subito il dente e buttar giù due righe al riguardo.
Come immagino sappiate, Paul Greengrass e Matt Damon hanno detto no a un sequel di The Bourne Ultimatum: consapevoli del fatto che una storia di Jason Bourne senza le due personalità di cui sopra non avrebbe avuto senso di esistere, i produttori Frank Marshall e Patrick Crowley hanno affidato a Tony Gilroy, sceneggiatore della saga originale, il compito di scrivere una sceneggiatura, per la prima volta non tratta da un romanzo di Robert Ludlum, su una storia ambientata nel mondo di Bourne e di dirigerla. Le differenze d'approccio appaiono evidenti, The Bourne Legacy è esattamente la reinterpretazione che ci si aspetterebbe dal regista di Micheal Clayton: innanzitutto ha probabilmente più linee di dialogo di tutti e tre i prequel messi insieme, ma non per questo il ritmo viene meno. Certo, è necessario che vi togliate dalla testa il giro in giostra firmato Greengrass, tutto inseguimenti telecamera a mano e vertiginose evoluzioni da freerunner; Gilroy, consapevole dell'errore che avrebbe commesso scimmiottando il collega, costruisce comunque un thriller teso e avvincente, ben scritto, che si svolge più nelle camere del potere che non sulla strada alle calcagna del ricercato.
In ogni caso, i tratti distintivi della saga non vengono mai meno: tante location varie e suggestive (notevole il “prologo” ad alta quota), diversi momenti di genuina suspence e un attore protagonista, contro le previsioni avverse, con il phisique du role e una notevolissima presenza scenica, credibile quando mena le mani a velocità supersonica quanto nel sottolineare, con una buona performance, la diversa prospettiva sull'invincibilità dei super-agenti offerta dal film.
L'idea della dipendenza da farmaci è infatti decisamente riuscita e legata a doppio filo con il leit motiv della pellicola, ma più in generale della saga, ovvero il controllo psicologico e tecnologico che di fatto violano ogni velleità di privacy.
Tutto ciò che non funziona sta nel quarto d'ora finale, per un paio di motivi: innanzitutto appare evidente che Gilroy non si trovi a suo agio a dirigere lunghe scene d'azione, specie quando gli vengono imposte, e si vede,  il montaggio è confusionario e spesso non si capisce cosa succeda su schermo; la sensazione è che questa sequenza di chiusura sia stata appiccicata in malo modo alla pellicola per fini più commerciali che altro. In secondo luogo, viene introdotto un elemento, un deus ex machina per i villain, che stona con il contesto e che, privo com'è di qualsivoglia caratterizzazione o di una costruzione della tensione ben definita, risulta quasi essere anticlimatico.
Fortunatamente ciò non inficia la qualità complessiva di un notevole film di genere, ingiustamente stroncato da buona parte della critica d'oltreoceano perché diverso dai suoi illustri predecessori.

domenica 24 giugno 2012

Take Shelter di Jeff Nichols


Nelle sale dal 29 giugno
Curtis (Michael Shannon) è un uomo fortunato, ha un buon lavoro nell'edilizia, una bellissima moglie (la sempre radiosa Jessica Chastain) e una figlia non udente che ha bisogno di un costoso apparecchio acustico, ma tutto scorre bene e i soldi non mancano.
La notte però è tormentato dagli incubi, il cielo si ammanta di strane nuvole e riversa sulla sua casa una pioggia giallognola, gli animali si comportano in modo bizzarro, e un gruppo di uomini in impermeabile cerca di rapire sua figlia. Sono solo sogni, ma con il tempo si fanno più intensi, Curtis si sveglia bagnato di urina e comincia ad avere visioni anche di giorno, è tormentato dagli attacchi di panico ma non ne parla a nessuno, forse per non mostrarsi vulnerabile o forse perché l'ombra della malattia di sua madre lo terrorizza. Fatto sta che i medici non sembrano capirlo e i farmaci perdono efficacia, così Curtis decide che c'è davvero una catastrofe naturale all'orizzonte e investe tutti i suoi soldi nella costruzione di un rifugio, arrivando a compromettere relazioni familiari e lavorative. Esiste davvero una minaccia o sta cercando solo di negare la sua malattia ?
Intrigante questo Take Shelter, un po' thriller soprannaturale, un po' dramma psicologico, ti attira dentro questa famiglia modello di persone normali con problemi normali, gente che va in chiesa tutte le domeniche e subito dopo cascasse il mondo deve spararsi un pranzo interminabile con tutta la parentela. E poi bam, arriva qualcosa che la sconvolge, i segreti, i soldi che finiscono, la mancanza di fiducia, Curtis inizia ad alienarsi tutti e a compromettere tutto, eppure nell'aria c'è sempre il dubbio, l'ombra di una malattia mentale che darebbe il colpo di grazia al nucleo famigliare o quella di una profezia che se si avverasse porterebbe un altro tipo di distruzione. E Nichols riesce a trasferire sulle immagini tutto il peso del dramma, la fotografia così calda e rassicurante nelle prime sequenze si fa sempre più lugubre durante gli incubi, dove i toni caldi si fondono al grigio soffocante delle nuvole e al giallo innaturale della pioggia creando un'atmosfera aliena e opprimente. E man mano che Curtis si chiude nella sua ossessione anche la realtà si fa più tetra, il cielo si ricopre di nuvole che però portano solo deboli temporali, quasi a volersi prendere gioco di lui, e gli spazi aperti vengono via via rimpiazzati da quelli chiusi degli studi psichiatrici, delle cliniche o del bunker in costruzione.
Michael Shannon contribuisce brillantemente con tutta la sua particolarissima presenza fisica. La fronte perennemente corrucciata, lo sguardo quasi animalesco e una stazza non indifferente danno al personaggio l'aspetto di un uomo imponente e sicuro di se reso però fragile dal dubbio e dall'incertezza, il classico giovanotto del sud tutto casa e lavoro che non può ammettere di essersela fatta addosso perché non si addice all'uomo di casa. Praticamente regge tutto il film su di se e se la sbriga benissimo.
Jessica Chastain come al solito è una presenza mistica, basta che stia in scena e per me è tutto più bello. Ma al di là del mio innamoramento, la sua interpretazione è un valore aggiunto in un film già di per se ottimo, ancora una volta riesce a dare genuinità e naturalezza al personaggio di una madre. Gran parte del coinvolgimento è dovuto proprio alla forte armonia tra lei e Shannon, insieme riescono a dar vita ad un nucleo familiare verso cui è difficile non provare empatia man mano che inizia a sgretolarsi.
Con questo tipo di storie il rischio di cadere nel grottesco o nel ridicolo è sempre forte, soprattutto quando si azzarda ulteriormente con un mix di generi apparentemente molto distanti, ma evidentemente Nichols sa quello che fa e lo sa fare molto bene, ad aiutarlo un cast in stato di grazia e una fotografia di gran classe. Sicuramente un regista da tenere d'occhio.



Intrinseco