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domenica 24 giugno 2012

Take Shelter di Jeff Nichols


Nelle sale dal 29 giugno
Curtis (Michael Shannon) è un uomo fortunato, ha un buon lavoro nell'edilizia, una bellissima moglie (la sempre radiosa Jessica Chastain) e una figlia non udente che ha bisogno di un costoso apparecchio acustico, ma tutto scorre bene e i soldi non mancano.
La notte però è tormentato dagli incubi, il cielo si ammanta di strane nuvole e riversa sulla sua casa una pioggia giallognola, gli animali si comportano in modo bizzarro, e un gruppo di uomini in impermeabile cerca di rapire sua figlia. Sono solo sogni, ma con il tempo si fanno più intensi, Curtis si sveglia bagnato di urina e comincia ad avere visioni anche di giorno, è tormentato dagli attacchi di panico ma non ne parla a nessuno, forse per non mostrarsi vulnerabile o forse perché l'ombra della malattia di sua madre lo terrorizza. Fatto sta che i medici non sembrano capirlo e i farmaci perdono efficacia, così Curtis decide che c'è davvero una catastrofe naturale all'orizzonte e investe tutti i suoi soldi nella costruzione di un rifugio, arrivando a compromettere relazioni familiari e lavorative. Esiste davvero una minaccia o sta cercando solo di negare la sua malattia ?
Intrigante questo Take Shelter, un po' thriller soprannaturale, un po' dramma psicologico, ti attira dentro questa famiglia modello di persone normali con problemi normali, gente che va in chiesa tutte le domeniche e subito dopo cascasse il mondo deve spararsi un pranzo interminabile con tutta la parentela. E poi bam, arriva qualcosa che la sconvolge, i segreti, i soldi che finiscono, la mancanza di fiducia, Curtis inizia ad alienarsi tutti e a compromettere tutto, eppure nell'aria c'è sempre il dubbio, l'ombra di una malattia mentale che darebbe il colpo di grazia al nucleo famigliare o quella di una profezia che se si avverasse porterebbe un altro tipo di distruzione. E Nichols riesce a trasferire sulle immagini tutto il peso del dramma, la fotografia così calda e rassicurante nelle prime sequenze si fa sempre più lugubre durante gli incubi, dove i toni caldi si fondono al grigio soffocante delle nuvole e al giallo innaturale della pioggia creando un'atmosfera aliena e opprimente. E man mano che Curtis si chiude nella sua ossessione anche la realtà si fa più tetra, il cielo si ricopre di nuvole che però portano solo deboli temporali, quasi a volersi prendere gioco di lui, e gli spazi aperti vengono via via rimpiazzati da quelli chiusi degli studi psichiatrici, delle cliniche o del bunker in costruzione.
Michael Shannon contribuisce brillantemente con tutta la sua particolarissima presenza fisica. La fronte perennemente corrucciata, lo sguardo quasi animalesco e una stazza non indifferente danno al personaggio l'aspetto di un uomo imponente e sicuro di se reso però fragile dal dubbio e dall'incertezza, il classico giovanotto del sud tutto casa e lavoro che non può ammettere di essersela fatta addosso perché non si addice all'uomo di casa. Praticamente regge tutto il film su di se e se la sbriga benissimo.
Jessica Chastain come al solito è una presenza mistica, basta che stia in scena e per me è tutto più bello. Ma al di là del mio innamoramento, la sua interpretazione è un valore aggiunto in un film già di per se ottimo, ancora una volta riesce a dare genuinità e naturalezza al personaggio di una madre. Gran parte del coinvolgimento è dovuto proprio alla forte armonia tra lei e Shannon, insieme riescono a dar vita ad un nucleo familiare verso cui è difficile non provare empatia man mano che inizia a sgretolarsi.
Con questo tipo di storie il rischio di cadere nel grottesco o nel ridicolo è sempre forte, soprattutto quando si azzarda ulteriormente con un mix di generi apparentemente molto distanti, ma evidentemente Nichols sa quello che fa e lo sa fare molto bene, ad aiutarlo un cast in stato di grazia e una fotografia di gran classe. Sicuramente un regista da tenere d'occhio.



Intrinseco

giovedì 14 giugno 2012

Molto forte incredibilmente vicino di Stephen Daldry

New York e soprattutto i suoi abitanti hanno la fama di essere snob, strafottenti, cafoni e chi più ne ha più ne metta. Anzi, più esplicitamente, è parere comune eleggerli i più stronzi sul pianeta. Perchè a New York solo il più forte sopravvive, perchè a New York si è in troppi e lo spazio è poco, perchè New York te la devi meritare etc... Eppure dopo l'attacco alle torri gemelle, quell'11 settembre di quasi 12 anni fà, qualcosa cambiò. Non un cambio radicale, non passarono di colpo a essere i più bravi e caritatevoli esseri del pianeta terra, ma si sentirono colpiti, tutti. Chi direttamente, con la perdità di un familiare, o chi indirettamente per quello che vedeva ogni giorno sul volto di amici o conoscenti o semplici estranei. E quella terribile tragedia servì da collante, un sentimento fortissimo legò tutti, tanto da farli comunicare di più tra loro e conoscersi, anche solo raccontandosi le proprie storie, i propri dolori ( a tal proposito c'è una bella scena nel film "The guys" dove una donna racconta che nelle azioni che compiva ogni giorno non aveva mai scambiato parola con commercianti o passanti, ma dall'11 settembre in poi le cose cambiarono, come ad esempio il fruttivendolo che le augura buona giornata, qualcosa di incredibile fino al giorno prima).
 Il libro di Safran Foer (che non riesco a leggere per motivi personali (sono molto scosso ancora oggi e sono molto legato a New York)) racconta di tutto questo tramite una metafora. Oskar è un bambino vivace e intelligente seppur pieno di complessi, molto legato al padre che lo coinvolge in ricerche affascinanti e giochi di parole, enigmi. Purtroppo perderà il genitore nel tragico attentato al World Trade Center. Dopo un anno di dolore, per caso ritrova una chiave, nascosta in un vaso. Una chiave semplice, senza etichette, nomi, segni particolari. E' contenuta in una piccola busta, con un nome, Black. Oskar, che già prima veniva spronato dal padre a conoscere le persone, a parlare, a vincere le proprie paure, inizia la ricerca metodica di chi sia questo Black. Crea una lista di tutti i Black di New York, in tutti i 5 distretti. 470 nomi, 216 abitazioni, 104 zone. Ogni sabato parte alla ricerca, tre per volta, per molti mesi.
Ma gli estranei e la comunicazione interpersonale non sono gli unici problemi di Oskar. Le sirene delle ambulenze, i forti rumori, gli aerei e qualsiasi cosa che vola, la metro, i ponti, i mezzi pubblici, i telefoni che squillano, le persone che urlano, gli ascensori, gli edifici alti, lo impietriscono. Tutti ricordano quella giornata, quella tragedia, quella perdita. E come può muoversi nella enorme città americana senza dover affrontare quasi tutte queste cose? E così nonostante sia morto da un anno, suo padre, lo sta aiutando ancora a fargli vincere tutte le paure, compresa quella di andare su una semplice altalena. Percorrerà ponti, salirà ascensori, prenderà la metro.
Un aiuto inaspettato verrà da una persona, un anziano affitturario della nonna di Oskar, muto in seguito a un trauma. Il vecchio, avrà bisogno di mezzi pubblici, incapace di camminare a lungo nelle lunghe ricerche in cui si è offerto di dare una mano.
A questo punto, la chiave non ha nessuna importanza, e il ricordo del padre (quegli 8 minuti che rimangono) è vivo più che mai e non più doloroso.
 Un film forte, su un dramma ancora fresco e comune, che colpisce duro senza troppe difficoltà ma senza per questo cercare delle facili lacrime. Gioca a carte scoperte, il suo intento è facile da capire, eppure nonostante questo, riesce a commuovere, e questo è un grande pregio. Il tono leggero, dato dai personaggi e dai dialoghi della prima parte, rende il boccone meno amaro di quello che può sembrare. Dei tre atti canonici, il più leggero è quello centrale, quasi spensierato, un viaggio nella favolosa New York e i suoi abitanti. Il resto, l'inizio e la fine, sono dei pugni ben assestati e il dolore e l'efficacia dipendono solo dalla vittima. Quarta regia per Daldry e quarto ottimo risultato.

Voto 7

Extra extra: Il Monco è stato sul set di codesto film, ma non lo vedrete.

Il Monco.