Nelle sale dal 19 aprile.
Te possino Ozon. Ormai bell'e che 11 anni fa, questo giovane regista, più che altro di corti, ed ex modello si affermò sulla scena francese e internazionale con un giallo-musical che racchiudeva tutto il meglio delle attrici francesi tra gli anni 80 e i 2000. 8 donne e un mistero lanciò nell'olimpo Ozon, fulgido esempio del suo stile registico, della sua classe e della sua bravura nella scelta dei colori, della fotografia, delle coreografie ma soprattutto nel modo di raccontare, di travolgere lo spettatore e non lasciarlo più. L'anno successivo si confermò con un opera più canonica ma non per questo meno affascinante come Swimming pool -che ha molto in comune con Nella casa-, dove riuscì nell'impresa di trattare un tema già visto e rivisto ma con tocco personale, elevandolo dal mucchio. Sono seguiti poi altri corti e il successo di critica, ma non di pubblico, Ricky e il divertente Potiche, finito a Venezia. Inutile dire che ogni volta che Ozon ritorna al cinema è quasi un evento, soprattutto per me che lo seguo costantemente.
Nella casa non è un remake horror, ok? Quello è La casa e esce tra qualche settimana.
Germain è il professore di letteratura del liceo Flaubert. Ogni giorno è costretto a leggere terrificanti temi scritti dai suoi alunni sedicenni in cui raccontano, sgrammaticamente, le loro insulse giornate tra cellulari e pizza. Un giorno però gli capita sott'occhio un interessante racconto di Claude Garcia, il ragazzo dell'ultimo banco. Nel temino racconta di come sia finalmente riuscito a entrare nella casa di una famiglia, quella del suo compagno Rafà, che da tempo stava spiando morbosamente. Il principale motivo del suo interesse è la madre, Esther. La osserva, si inebria del suo odore, la studia. Il racconto si tronca di colpo con un Continua... Germain è rapito e affascinato dal soggetto e dal modo in cui Claude scrive, l'unico alunno con un pò di talento e un pò di cervello. Incita il ragazzo ad andare avanti, ancora non certo se i fatti che racconta siano reali o pura immaginazione, corregge i suoi errori, gli consiglia delle letture, vede in lui il figlio che non ha mai avuto e lo scrittore che non è mai diventato. Ma la storia procede sempre più in maniera particolare, a volte patetica a volte grottesca, morbosa. Quanto è giusto ancora andare avanti e quanto di quello che legge è vero?
Tratto dalla piece del drammaturgo spagnolo Juan Mayorga, El chico de la última fila, Nella casa è una sorta di thriller metaletterario di grande fascino con un continuo e sofisticato dialogo sul confine tra finzione e realtà, un cocktail riuscitissimo tra suspense e analisi metatestuale, con una storia costruita pezzo pezzo e allo stesso tempo con una vita e delle gambe proprie.
Tratto dalla piece del drammaturgo spagnolo Juan Mayorga, El chico de la última fila, Nella casa è una sorta di thriller metaletterario di grande fascino con un continuo e sofisticato dialogo sul confine tra finzione e realtà, un cocktail riuscitissimo tra suspense e analisi metatestuale, con una storia costruita pezzo pezzo e allo stesso tempo con una vita e delle gambe proprie.
Proprio come per Swimming pool lo spettatore balena nel dubbio per l'intera durata del film. Cosa è realmente accaduto nella casa di Rafà? Cosa sta inventando Claude, come sta manipolando la storia? In una serie di brevi pezzi che racchiudono la vicenda in capitoli, vediamo alcuni eventi scomposti, ricomposti, tagliati e riformati, rimontati secondo le richieste di Germain o gli sbalzi umorali momentanei di Claude il creatore, Claude l'ultimo in fondo alla classe che tutto vede e nessuno vede lui, a volte addrittura narratore onniscente. Ciò che è troppo parodia viene cambiato, ciò che è patetico viene mitigato. In una forma di narrazione che non lascia scampo allo spettatore, che vuole di più sempre di più, che ha un bisogno esistenziale di sapere come andrà a finire -e sul finale ci si deve tornare- e che non può perdersi una sola virgola, proprio come Germain, così coinvolto da diventare complice e succube, ed arriva persino a rubare dei compiti di matematica per dare le risposte a Claude e quindi a Rafà e veder continuare la loro amicizia e il racconto, sempre più malizioso.
E il povero professore finisce per diventare un personaggio secondario, fittizio, parte integrante seppur di sfondo della finzione, dove viene schernito, descritto implacabilmente, ma che non incontra polemiche o proteste da parte dell'uomo ma un laconico "come dargli torto".
Sembra di assistere a uno dei migliori Allen -non è un caso che i personaggi vadano a vedere Match Point o che Germain sia un suo clone, fisicamente-,dell'epoca d'oro, in un divertissement tra letteratura e cinema dove finisce anche per parlare di Arte contemporanea -e propone un paragone massacrante, con la moglie e la sua galleria d'arte così insulsa e sciocca, soprattutto a paragone con la bellezza della letteratura.
Un altro interessante argomento è quello dell'elaborazione intellettuale, il nostro bisogno di storie non ha molto a che fare con la vita vera. In uno scambio di battute Germain si lamenta con Claude per l'inverosimiglianza di una sequenza. -Ma è la verità! -E' inutile, anche se è la verità. Insomma, abbiamo bisogno di altro, non di una squallida rappresentazione del reale, anche questo a fungere come una calamità per l'attenzione e il coinvolgimento dello spettatore/lettore.
Deludente il finale perchè è il compimento di una storia che è arrivata a un punto tale a cui è difficilissimo trovare una degna conclusione. E' la classica struttura che delude chiunque in quanto ognuno si sarà costruito ogni possibile fine e si ritrova davanti qualcosa di molto insipido. Il rovescio della medaglia di un congegno narrativo fin troppo ben oliato. Per fortuna si risolleva con un ultimissima sequenza, un ragionamento tra Claude e Germain su altre possibili storie, su altre co(a)se, sull'immaginazione e quindi sulla vita vera.
Per altro neanche Claude riuscirà a trovare un finale alla sua storia, no spoiler, troncando di colpo per iniziare qualcosa di diverso, altro motivo di grande insoddisfazione, ma in questo caso voluta da Ozon, per punire il voyerismo arrivato a un livello tossico.
Nel cast spiccano i due protagonisti maschili, il giovane e promettente Ernst Umhauer, molto bravo nell'interpretare il freddo e calcolatore Claude, e il navigato Fabrice Luchini, già presente in Potiche, in versione Woody Allen come già detto. Molto meno spazio per le due componenti femminili, con Kristin Scott Thomas quasi irreperibile -e da fan la vorrei sempre più al centro- e Emanuelle Seigner come al solito molto bella quanto stitica. Imperdibile anche la comparsata di Yolande Moreau, doppia, nel ruolo delle gemelle.
In definitiva Nella casa è l'ennesima prova riuscita e di gran classe di uno dei migliori registi francesi contemporanei. Un thriller avvincente quanto morboso, un sofisticato gioco metaletterario che coinvolge lo spettatore sempre più ma che infine incespica un pò e finisce per deluderlo. Tutto sommato però è un'altra grande conferma di un cinema francese sempre più in salute.
Molto bello. Anche se a me il finale non ha deluso tanto. Probabilmente anche perché nel film si affronta il problema di trovare un finale ad una storia, e si capisce che la cosa non è sempre semplice, è come se il film un po' giustificasse un finale non perfetto.
RispondiEliminaInoltre il finale della storia scritta da Claude a me non interessava, secondo me il film è concentrato sul ragazzo che scrive la storia, e non sulla storia in se, che alla fine, a mio parere, è poco importante che sia totalmente vera oppure no, e se non lo è, allora è frutto della fantasia di un ragazzo, da cui non si può pretendere un finale perfetto.
Mi sono espresso male, colpa mia, poi nel podcast mi son spiegato meglio. Non sono stato deluso dal finale ma può deludere, volutamente, perchè tronca li tutto e lo spettatore che fino a quel momento morbosamente e voyeristicamente seguiva la storia si ritrova senza un finale deciso. Per tutto il tempo continua chiedersi "e adesso? e adesso? dammi dell'altro", e continua a chiederselo anche dopo la fine. E' insoddisfatto. Ma è un finale coerente con tutto il resto, e perciò mi è piaciuto
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