giovedì 6 aprile 2017

Il bianco e il nero #54: King Kong, le origini di un Dio

Ma prima di aggiungere altro, signore e signori [...] lascerò che vediate con i vostri occhi la creatura più enorme su cui abbiate mai posato lo sguardo. Era un tempo il re e il dio del suo mondo, ma è arrivato qui come un prigioniero, come fenomeno da esibire in pubblico, per compiacere e soddisfare l'insaziabile curiosità di noi esseri umani. Signore e signori! Ecco a voi Kong, l'ottava meraviglia del mondo.

Dopo il notevole successo di pubblico e critica di Kong: Skull Island, il nuovo reboot o remake della storia di King Kong, viene spontaneo chiedersi da dove arrivi una storia simile, di un gorilla gigantesco che combatte contro dinosauri preistorici in un’isola tropicale e in alcune versioni, si arrampica sull’Empire State Building di New York. E’ una storia di documentaristi, varani e persino Via col vento.
King Kong lo abbiamo visto spesso al cinema. Tornando indietro prima di Skull Island lo abbiamo visto nel film di Peter Jackson (Il signore degli anelli) del 2005, in quella anni 70 dove scalava le torri gemelle e non l’Empire State Building con una bellissima Jessica Lange. Lo abbiamo persino visto scontrarsi con Godzilla, nel terzo film della saga giapponese negli anni 60 (e attenzione perché le idee dei due franchise e dei produttori è proprio quella di riproporre questo scontro). La primissima versione però è quella mitica del 1933 diretta da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack in bianco e nero, che ebbe un seguito dopo soli otto mesi, Il figlio di King Kong.

Bisogna tornare ancora prima di quel periodo per scoprire le genesi del mostro amico Kong. L’idea, ancora molto vaga, venne proprio a Merian Cooper, un uomo dalla vita molto affascinante. Nato a Jacksonville in Florida, ci rimase ben poco diventando presto un giramondo e un eroe di guerra. Gli venne data una medaglia al coraggio per la Prima guerra mondiale e per quella Polacco-Russa, rimanendo ferito in entrambe e addirittura rinchiuso in un campo di lavoro. Tornato dal fronte divenne un esploratore creando un proprio team insieme all’amico Ernest Schoedsack.

Visitavano i luoghi più sperduti e selvaggi dell’Africa e del Sud America finchè non divenne un documentarista. Gli piaceva riprendere scorci di paesaggi, animali esotici e tribù misteriose fino ad inventare delle sorte di “drammi” dove creava una storia base, senza però dare un copione agli interpreti, umani e non. I loro lavori, montati ad arte e impacchettati come prodotti di intrattenimento, piacevano molto negli Stati Uniti e gliene vennero commissionati diversi, racimolando moltissimi soldi.

Un giorno Cooper ebbe l’illuminazione. Un varano di Komodo che lotta contro una scimmia, questa era la storia che voleva girare. Scelse un gorilla, perché i babbuini non avevano molta personalità a detta sua e perché i gorilla non erano ancora così noti al pubblico americano e europeo.
La trama era molto semplice e sarà l’ossatura del film finale: un equipe di esploratori scopre un isola, qui si imbatte in uno scontro tra un gorilla e un varano. Alla fine catturano il gorilla e lo portano a New York in uno zoo dove però fugge seminando il panico prima di essere ucciso. La storia si basava su un evento realmente accaduto. Un gorilla era scappato dallo zoo di Central Park e si era fatto un giretto per Manhattan.

Ad un certo punto della trama, Cooper prevedeva che il gorilla avrebbe anche rapito una donna della spedizione. L’ispirazione per questa idea gli venne dal film scandalo Ingagi (introvabile ora, persino online) dove una scimmia (in realtà un uomo truccato malamente) rapiva e stuprava una povera ragazza. Siamo negli anni 30 e il successo su incredibile. Il pubblico andava pazzo per questo genere di storie ma il film era anche molto razzista. Girato in Africa, fu infarcito di luoghi comuni e stereotipi sulle popolazioni indigene.

Cooper aveva la storia ma non abbastanza finanziamenti. La depressione era in pieno vigore e non c’era molti quattrini in tutta America.  Così il film rimase in un cassetto per qualche anno fino a che non se ne interessò la RKO di David O. Selznick. Lo studio aveva in mente di realizzare il film Creation, una sorta di sequel di The Lost World, film anni 20 della First National, adattamento del romanzo omonimo di John Milton e vero pezzo di storica, in quanto fulgido esempio dell’utilizzo della stop motion, tecnica usata per far muovere i dinosauri nel film.

L’idea di Cooper piacque e soppiantò quella di Creation diventando la storia principale. Adesso il gorilla era diventato alto 10 metri e doveva combattere con i dinosauri. Il successo era assicurato.
Venne stanziato un budget che era quello equivalente di due blockbuster messi insieme, 500 mila dollari (circa 10 milioni di oggi) e alla regia si mise lo stesso Cooper, ingegnoso anche dietro la cinepresa, tanto che dobbiamo dire grazie a lui per invenzioni come il Cinemascope e il Cinerama.
Le riprese iniziarono a Culver City dove venne costruito un set gigantesco. Il famoso cancello che tiene fuori Kong dal villaggio nel film, ha avuto diverse vite. Una volta distrutto e dato alle fiamme diventerà la Atlanta in fiamme di Via col vento, mentre in precedenza era stato parte del set di Il re dei re di Cecil B. DeMille del 1927.

Ora c’era da inscenare la fuga per le strade di Manhattan. Quale palazzo avrebbe scalato? Naturalmente quello più alto della città, ma ai tempi a New York c’era una vera e propria lotta per essere il più alto. Mentre ne discutevano, il primato spettava al Woolworth building, ma Cooper gli preferiva il Chrysler, per forma e location. Poco prima delle riprese però venne ultimato l’Empire State Building, che divenne anche il più alto ufficialmente. Era perfetto, e a Cooper venne l’idea della scalata, lo scontro con degli aerei che gli sparavano e fulmini nel cielo. Proprio uno di questi avrebbe ucciso Kong.

Tutto pronto, manca solo un titolo. Cooper era abituato a chiamare i suoi film con una parola sola, secca. Grass, Chang, Rango erano i suoi successi precedenti. Per questo gli venne in mente il nome Kong mentre alla RKO proponevano titoli come The beast o The 8th wonder. Alla fine intervenne il capo, David O. Selznick, un uomo geniale da questo punto di vista e a sua volta con un nome costruito (la O. non vuol dire nulla, se la mise solo per darsi un tono). Il film si sarebbe chiamato King Kong, inserendo la parola King prima del nome della bestia. 
Ora il re aveva anche un nome.

King Kong fu un successo enorme, generò un seguito a breve distanza e divenne una icona del cinema e della città di New York. Guadagnò 2,8 milioni di dollari (circa 51 milioni di oggi), incassando quindi quasi 6 volte il budget speso. 

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