Henry Barthes è un supplente di
letteratura che viene ingaggiato da un istituto della periferia
americana in cui il rispetto per la figura autoritaria
dell'insegnante è una pratica ormai dimenticata. Dovrà fare i conti
ogni giorno con una generazione di studenti senza ambizioni la cui
deriva dei valori è prima di tutto conseguenza della mancanza di
volontà e dell'incapacità dei genitori di comprendere ed educare i
propri figli. La voce narrante del protagonista mette dunque in
discussione il ruolo dell'insegnante, il cui obiettivo non è più,
per l'appunto, insegnare, ma “sopravvivere” per un'ora e fare del
distacco il succo dei rapporti con gli alunni. Un distacco necessario
per poter affrontare con lucidità i problemi della vita al di fuori
della scuola quali un nonno ricoverato in un istituto di cura che ha
perso il lume della ragione e una ragazzina di strada che Henry
prende in simpatia e accoglie in casa.
Detachment, diretto da Tony Kaye, è
l'equivalente cinematografico di quelle foto realizzate senza alcuna
nozione di fotografia da chi ha scaricato instagram dall'App Store e
pensa di fare arte immortalando paesaggi o, citando Stewie Griffin,
una sedia vuota, applicando qua e là filtri a caso: ovvero un'idea
tutto sommato potenzialmente buona rovinata dall'incompetenza e dalla
pacchianeria dell'autore.
Ed è un pensiero che ti salta in mente
sin dai titoli di testa “arricchiti” dalle non necessarie
testimonianze dal vero di veri insegnanti con vere esperienze (la
ripetizione è voluta) sottolineate da un brano solo piano di
un'invadente colonna sonora che, per tutta la durata del film, impone
le emozioni piuttosto che suggerirle, figlia di un didascalismo che
permea la pellicola in modo stucchevole.
Se un dialogo è ben scritto, e quelli
scritti da Carl Lund non erano niente male, non c'è bisogno di
ripetere il concetto espresso; Kaye invece lo ribadisce in ogni
occasione per tre volte, non solo attraverso la voce dei personaggi
ma anche tramite disegni che si materializzano in stop motion sulla
lavagna (che vorrebbero fare il verso alle sovrimpressioni di Edgar
Wright) e tramite la voce fuori campo del protagonista illuminato da
una luce rossa stile camera oscura.
Una struttura ridondante, ulteriormente
appesantita dall'ossessiva ripetizione dello stesso flashback, che
rende la visione estenuante oltre ogni limite della sopportazione
nonostante l'indubbia efficacia di alcune sequenze, ben riuscite per
merito sopratutto dell'interpretazione di un notevole cast, tra cui
spicca la performance di Adrien Brody, finalmente in un ruolo che si
confà alle sue caratteristiche, ben lontane dall'eroe d'azione di
Predators o dalle scadenti atmosfere horror del recente Dario
Argento.
E' evidente l'incapacità di Kaye di
lavorare per sottrazione e di gestire le tre storyline, soffocate da
suddetta ridondanza e private dell'approfondimento necessario, specie
per quanto riguarda il rapporto di Henry con i propri alunni,
inizialmente scontrosi come inspiegabilmente accondiscendenti nel
poco coraggioso finale, che cade inesorabilmente nel clichè della
classe difficile che si innamora del nuovo professore.
Un consiglio spassionato: se volete
guardare una pellicola decente sulle dinamiche di classe della scuola
odierna, guardate La Classe – Entre le murs di Laurent Cantet e
risparmiate i soldi del biglietto
ma no D: lo volevo vedere per la Hendricks e te me lo smonti così :(
RispondiEliminaGuarda, conviene che cerchi su youtube gli spezzoni in cui appare, che sono comunque pochi, perché lei vale. XD
RispondiEliminaÈ intollerabile, un pistolotto senza capo ne coda, didascalico, goffo e circolare.
RispondiEliminaBrutta roba non capire un cazzo
RispondiEliminaMi dispiace per te, non tenerti tutto dentro però.
EliminaAdoro il profumo di risposte argomentate di prima mattina.
EliminaMa vogliamo parlare della scena sull'incomunicabilità domestica ? Un capolavoro della commedia.
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