(In sala dall'11 luglio)
Spinto dal successo al botteghino di
Alice in Wonderland e dall'aver dunque fiutato la possibilità di
sfruttare un trend, Joe Roth, produttore della pellicola di Burton,
ha acquistato per la cifra di 3 milioni di dollari una sceneggiatura
ispirata a Biancaneve, scritta da Evan Daugherty, e l'ha data in mano
a Rupert Sanders, al suo primo lungometraggio, promettendo una
rimasticatura in salsa dark della fiaba originale dei fratelli Grimm.
Rifuggire consapevolmente e
orgogliosamente uno stereotipo e allo stesso tempo inciampare senza
rendersene conto in un altro, più grosso e, per certi versi, più
“pericoloso”.
Questo è quanto accaduto alla
Biancaneve di Sanders che, in ogni intervista precedente all'uscita
del film nelle sale, prometteva di aver rappresentato una donna degna
di questo nome, affannandosi a prendere le distanze dal personaggio
dipinto dal film d'animazione di Walt Disney, definito zuccheroso.
E' vero, lo zucchero non c'è, ma in
compenso c'è un modello femminile al limite della misoginia:
l'ennesima ragazza in pericolo che ha bisogno dell'aiuto di un
nerboruto colosso alto due metri per sopravvivere e perseguire il
proprio obiettivo.
A renderla una vera eroina non basta fargli fare il solito discorso galvanizzante all'esercito (tutto maschile), mettergli un'armatura e mandarla in battaglia in prima linea nelle battute finali della pellicola, specie se tutto ciò ignora la precedente ora e quaranta di film dove Biancaneve è la povera fanciulla indifesa di cui sopra. Ma questa è solo una delle tante incongruenze, ingenuità ed elementi narrativi buttati a caso nel calderone senza un briciolo di approfondimento o caratterizzazione.
A renderla una vera eroina non basta fargli fare il solito discorso galvanizzante all'esercito (tutto maschile), mettergli un'armatura e mandarla in battaglia in prima linea nelle battute finali della pellicola, specie se tutto ciò ignora la precedente ora e quaranta di film dove Biancaneve è la povera fanciulla indifesa di cui sopra. Ma questa è solo una delle tante incongruenze, ingenuità ed elementi narrativi buttati a caso nel calderone senza un briciolo di approfondimento o caratterizzazione.
Dal punto di vista estetico il film è
stato dichiaratamente influenzato dalla saga de Il Signore degli
Anelli di Peter Jackson, ma più che in altri casi, il
confine tra ispirazione e plagio è labile: si parte dai movimenti di
camera sui campi lunghi (che ormai sono uno standard per il genere)
per finire a intere sequenze e al design di armature, loghi e
creature letteralmente copia/incollate . Qualcuno l'ha persino
definito burtoniano, condizionato magari dal precedente lavoro del
produttore, ma qui non si vede nemmeno l'ombra del peggior film di
Burton, dove la cura per il dettaglio e l'autoironia non vengono mai
meno; anche dal punto di vista scenografico mancano quelle
architetture gotiche e decadenti e le linee sghembe caratteristiche
del regista di Burbank. Vanno riconosciuti alla produzione i meriti
di aver creato dal nulla soluzioni visive suggestive (lo specchio
personificato, le fate che emergono dal corpo degli uccellini...)
sostenute da effetti speciali di prim'ordine e di aver elaborato idee
vincenti come il villaggio di donne auto-sfiguratesi per sfuggire
all'ira della regina, ma sono ben poca cosa nel mare di anonimia
generale.
Ciò che più preoccupa e irrita di
Biancaneve e il Cacciatore è l'avvilente messaggio di fondo. Nulla
di nuovo, ne tanto meno da bocciare a priori: senza voler andare
troppo indietro nel tempo, la sotto-trama di Cersei Lannister nella
saga letteraria (e televisiva) de Le Cronache del Ghiaccio e del
Fuoco ruota attorno allo stesso punto focale che, fortunatamente,
viene declinato in maniera meno banale, e sopratutto con toni privi
di qualsivoglia esaltazione, a differenza di quanto involontariamente
e goffamente succede nel film di Sanders.
Bellezza è potere e può essere battuta solo da un'altra bellezza, più giovane (perché invecchiare è segno di debolezza), ma si tratta di avvenenza puramente estetica, epurata di ogni briciolo di bontà d'animo. Ed è la bellezza, l'aspetto esteriore, a governare le dinamiche dei rapporti interpersonali dei personaggi: l'idea di un amore impossibile tra il cacciatore e la principessa è di per se suggestiva, se non fosse che anch'esso è determinato quasi esclusivamente da pulsioni puramente fisiche.
Tutto ciò è irritante perché sarebbero bastate qualche riga di dialogo più consistente degli innumerevoli sospiri e scelte di casting diverse (perché, per quanto lercio e ubriacone possa essere, Chris Hemsworth resta comunque Chris Hemsworth), non dico per salvare la baracca ma quantomeno a rendere più interessante e meno prevedibile l'intreccio.
Bellezza è potere e può essere battuta solo da un'altra bellezza, più giovane (perché invecchiare è segno di debolezza), ma si tratta di avvenenza puramente estetica, epurata di ogni briciolo di bontà d'animo. Ed è la bellezza, l'aspetto esteriore, a governare le dinamiche dei rapporti interpersonali dei personaggi: l'idea di un amore impossibile tra il cacciatore e la principessa è di per se suggestiva, se non fosse che anch'esso è determinato quasi esclusivamente da pulsioni puramente fisiche.
Tutto ciò è irritante perché sarebbero bastate qualche riga di dialogo più consistente degli innumerevoli sospiri e scelte di casting diverse (perché, per quanto lercio e ubriacone possa essere, Chris Hemsworth resta comunque Chris Hemsworth), non dico per salvare la baracca ma quantomeno a rendere più interessante e meno prevedibile l'intreccio.
Per la serie: si fa presto a prendere
le distanze da un classico dell'animazione con fare saccente e da
snob, il difficile è ricordarsi poi di fare anche un film solido e
mantenere le promesse.
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