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sabato 13 ottobre 2012

Total Recall - Atto di forza di Len Wiseman

Nelle sale dal 11 ottobre.
A chiunque sarà capitato di fantasticare, di immagine di vivere una vita non sua dove magari è un famoso sportivo o un talentuoso attore o un miliardario astronauta cowboy. Una vita dove possiamo coronare tutti i nostri sogni, possedere tutto quello che si desidera, copulare con tutto ciò che si vuole. E' per questa ragione che leggiamo libri, guardiamo film, giochiamo ai videogiochi. Vivere un esistenza diversa da quella monotona e noiosa, ma reale, di tutti i giorni. Il problema è che tutti questi prodotti o aiuti, creano dei brevi ricordi nella nostra mente. E sono pur sempre di seconda mano, noi ripercorriamo i binari di storie create da qualcuno che non siamo noi. Invece l'immaginazione o il sogno, che sono di nostra produzione, hanno una resistenza ancora più labile nella nostra memoria. 
Non sarebbe bello quindi poter usufruire di un macchinario o di un metodo per vivere delle situazioni artificiali, e positive, talmente vivide da rimanere nel nostro cervello come se le avessimo compiute per davvero? In un futuro imprecisato ma non molto lontano tutto ciò sarà possibile. Grazie all'azienda Total recall ci basterà scegliere un modello, un personaggio e uno scenario e vivremo la nostra fantasia preferita. Ed è quello che fa il buon Douglas Quaid (Colin Farrell) un operaio in un industria di robot.
Alla fine del XXI secolo una guerra chimica globale ha reso il mondo quasi totalmente invivibile. Sono rimasti solo due territori dove si raduna l'intera popolazione mondiale: la FUB (Federazione unita della Britannia) e la colonia, esattamente dal lato opposto del pianeta. Le due parti del globo sono unite tramite The fall, la caduta, un mega ascensore capace di passare attraverso il nucleo centrale della terra. La FUB è un territorio libero, ricco e prosperoso, mentre la colonia è povero, zozzo e sotto una dittatura che impone ai coloni di lavorare in Britannia. A combattere la dittatura c'è il classico esercito della resistenza.
Quaid è un colono. Vive un esistenza miserabile, come tutti i suoi simili. Vorrebbe dare una scossa alla sua quotidiana monotonia e quando va alla Recall vuole rivivere il sogno che fa ogni notte: è un agente speciale in trappola che deve salvare la sua compagna, una mora molto carina, che, oibò, non è sua moglie (Kate Backinsale). Tutti glielo sconsigliano questo viaggio di fantasia, a causa dei danni che il suo cervello potrebbe riportare, ma Quaid sceglie di provarci lo stesso. Ed è così che durante l'inizio del viaggio qualcosa va storto. Viene scambiato per un agente doppiogiochista da delle guardie armate li in zona. La sua fantasia diventa reale quindi, tutto quello che aveva desiderato diventa un incubo a occhi aperti, una fuga per la propria salvezza. Ma sarà tutto vero, e quindi lui è un agente a cui è stato fatto il lavaggio del cervello e ora per puro caso sta ricordando, oppure è solo dentro la sua immaginazione e deve solo aspettare di risvegliarsi?

Ventidue anni fa, quello sconclusionato di Paul Verhoeven, trasponeva il racconto breve di Philip K. Dick Memoria totale (o Ricordiamo per voi) con protagonista il mitico Arnold Schwarzeneggher. Quel primo Atto di forza era la poteosi della fantascienza anni 80 (anche se il film è del 1990). Il classico duro muscoloso, molto sangue, molti trucchi artigianali e quell'umorismo becero che li rendeva dei cult in tempo zero. Il grande pregio di Verohoeven fu però quello di rendere il racconto di Dick una storia piena di ambiguità e trasformare la strampalata vicenda -l'avventura spionistica dell'agente Quaid- in una storia inattaccabile da parte dei paladini della verosimiglianza, con un finale chiarificatore e che non trattasse eccessivamente lo spettatore come un imbecille, da tenere per mano e spiegare passo passo la conclusione.
Tutti questi elementi si perdono nella versione nuovo millennio. Niente più umorismo in primis, sembra quasi che non si possa scherzare più, bisogna essere seri e imperturbabili con la nuova fantascienza. E quindi niente più mondi futuristici colorati o pazzarielli, anzi, pioggia, oscurità, povertà. Impossibile vedere questo remake e non pensare a un altro romanzo di Dick, Blade Runner, di cui copia gran parte dell'ambientazione, persino il sapore asiaticheggiante.

La cosa peggiore però è che viene tolta tutta l'ambiguità e la "profondità" della storia (quindi in un certo senso è più fedele al racconto). Non siamo di fronte a un uomo, Schwarzenegger, che vive una vita seppur monotona, ma priva di cose di cui lamentarsi (una bella moglie, un buon lavoro, una bella casa. Insomma, come molti di noi) ma ritroviamo un uomo dentro a un mondo al collasso e sfruttato da una dittatura di teste d'uovo. La total recall nel primo film era uno sfizio per benestanti, in questo diventa un tentativo di evasione per i poveracci.  
Inoltre, nel tentativo di smussare le asperità e le banalità del primo film, il remake incappa in quella superbia che spegne tutta la magia di un tipico racconto di fantascienza. Tutto diventa troppo plausibile, troppo spiegato (magari per chi conosce già la storia, lo ammetto), e il film scivola velocemente in un action tutto adrenalina privo di atmosfera.
Insomma, dal produttore di tutti gli Underworld, e regista di un paio, (non a caso marito della Backinsale) e dell'ultimo Die Hard non ci si poteva aspettare altro. E' una corsa continua e praticamente priva di molta logica per tutta la durata della pellicola. Si spara, si corre, si cade, ovvio che non ci sia troppo spazio per le sfumature e per il tanto sospirato Quato (che poi, vengono tolti i mutanti, a parte la breve citazione con la donna dal triplo seno, ma potevano benissimo starci visto che siamo in un mondo colpito da una guerra chimica).
Certo, ha dalla sua una spettacolarità di grande qualità (condita da un eccessivo uso di lens flare di chiara matrice geigei-abramsiana), ma come succede sempre più spesso di questi tempi, senza sostanza. 
Il tutto però va giudicato in base al finale. Come dicevo, l'originale, ha una particolare scena che rende la sceneggiatura, eccessiva e caciarona, inattaccaile. Qui, tutta l'ambuiguità, dove e come va a finire? Prima di tutto ribaltando la situazione, da "mondo di Marte" possibile finzione, a "mondo della colonia" possibile finzione, se ne perde molta di ambiguità e quindi la conclusione, un pò à la Inception?, perde di forza o di interesse. Non ci sono troppe domande, non ci sono troppi dubbi, può benissimo essere un caso o un altro, senza per forza negare uno dei due. 

In definitiva, come era ampiamente prevedibile, il remake non supera l'originale. Da buonissimo film di fantascienza ci ritroviamo un action troppo lungo (quasi due ore), troppo frenetico e vuoto, molto più simile a un nuovo capitolo di Underworld che al cult di Veroheven. Non c'è spazio per la signora grassa allla dogana, non c'è Quato, non c'è abbastanza spazio per la donna tripettoruta. La CGI ha ucciso l'umorismo e le nuove tecnologie le sceneggiature. E dire che era piuttosto difficile sfigurare contro un film con Schwarzenegger che picchia tutti. Sono tutte scelte, per carità, condivisibili o no, ma segnano anche i gusti di un pubblico più attento al trucco in se che alla storia e all'imbonitore che c'è dietro.

Del finale se ne può discutere nei commenti.

giovedì 20 settembre 2012

I Bambini di Cold Rock di Pascal Laugier

Nelle sale dal 21 settembre

Ve lo ricordate Pascal Laugier ? Insieme a Xavier Gens, Alexander Aja, Alexandre Bustillo e Julien Maury fa parte di quella new wave che qualche anno fa ha richiamato l'attenzione del pubblico internazionale sul cinema horror francese, letteralmente rinvigorito da una massiccia trasfusione di sangue giovane.
E' proprio Laugier a dirigere una delle pellicole più fortunate e rappresentative di questa breve parentesi, Martyrs, un horror molto atipico che nell'arco di poche scene passa dal truculento spinto al mistico, sconvolgendo gli spettatori più sensibili e tutti quelli che dell'horror hanno una visione piuttosto stereotipata. Da appassionato del genere devo ammettere di non essere un grande ammiratore di questo filone, però sempre da appassionato, e soprattutto da italiano, non posso fare a meno di ammirare l'originalità e la vitalità del cinema francese (e spagnolo).
Dopo Martyrs Laugier sparisce dalla scena per quattro anni (salvo forse per un rumor su un possibile remake di Hellraiser), e oggi torna nelle sale scrivendo e dirigendo questo The Tall Man, produzione franco-canadese che gli assicura la partecipazione di un'attrice come Jessica Biel, oltre ad una serie di attori americani meno celebri (Jodelle Ferland, Stephen McHattie e William B. Davis, il mitico “Uomo che fuma” di X-Files), un po' la stessa cosa capitata a Xavier Gens con il suo The Divide, che vi consiglio di recuperare.
La Cold Rock del titolo italiano è una città morta, la classica cittadina mineraria che inizia lentamente ad appassire dopo che la grande miniera intorno a cui è cresciuta viene chiusa. Alla crisi e al degrado si aggiunge presto un'altra tragedia, i bambini di Cold Rock iniziano a sparire, rapiti nel cuore della notte da una misteriosa figura che i locali chiamano The Tall Man. Un vero e proprio orco che fa la sua drammatica apparizione ogni due mesi secondo una macabra tradizione a cui i cittadini sembrano quasi essersi rassegnati. Su questo sfondo si muove Julia Denning (Jessica Biel), un'infermiera costretta a vestire i panni troppo grandi del defunto marito, medico e pilastro della comunità. Ma i due mesi dall'ultimo rapimento sono trascorsi, e suo figlio David diventa la nuova vittima del rapitore.
A raccontarlo così sembrerebbe il più classico degli horror americani, e infatti i cliché ci sono tutti, la città mineraria, i bambini rapiti, la madre coraggiosa che non vuole arrendersi al mostro di turno... Ma in The Tall Man di classico c'è solo la struttura, e quella premessa così poco originale e interessante si rivela presto qualcosa di più complesso, attraverso una serie di colpi di scena che disorientano lo spettatore capovolgendo in continuazione il suo punto di vista. Perché, contrariamente a quanto suggerisce la locandina e a quanto si potrebbe intuire sentendo il nome del regista, I bambini di Cold Rock non è un horror ma un vero e proprio thriller, e se la componente horror è comunque abbastanza marcata, sono i toni drammatici a dominare di più.
Mi rendo conto di essere un po' troppo evasivo, ma è difficile parlare dei meriti di un film del genere senza incappare nei proverbiali spoiler, però qualcosa la devo pur dire, perciò vi basti sapere che ad una prima parte tutto sommato misteriosa e intrigante, che potrebbe benissimo costituire un film a se, ne segue una emotivamente più coinvolgente basata tutta su una serie di rivelazioni più o meno sorprendenti, a partire da ciò che non è stato detto piuttosto che da qualcosa che è stato spacciato per vero agli occhi dello spettatore, per esempio con dei flashback volutamente ambigui. Il motivo per cui questa seconda parte funziona così bene è proprio l'assenza di soluzioni narrative eccessivamente didascaliche, tutto ciò che lo spettatore non può intuire da se viene semplicemente suggerito, o raccontato in modo più diretto in contesti che rendono queste spiegazioni abbastanza giustificate. A questo si aggiunge un'ottima gestione dei tempi narrativi, sia quando il ritmo è più disteso, come nella parte introduttiva e in quella finale, sia quando si fa più concitato, come nell'inseguimento centrale, un climax piuttosto intenso che incredibilmente pur essendo inserito a metà film non compromette l'interesse per la seconda parte, che anzi si fa via via più appassionante.
The Tall Man sembrerebbe quindi uno di quei film che esauriscono tutta la loro forza ad una prima visione, dopo che i colpi di scena hanno svolto il loro compito; e in un certo senso è così, ma c'è qualcosa di più, la componente emotiva di cui parlavo prima, quella che nella maggior parte degli horror e dei thriller viene quasi sempre meno, anche quando si parla di vicende estremamente drammatiche; tutto quello che muove i personaggi sulla scena e riesce a farci entrare in sintonia con loro persino in mezzo allo squallore di una storia del genere, a interrogarci come loro sul valore di quello a cui abbiamo appena assistito, a rimanere con qualche dubbio, perché le cose spesso sono più complicate di quello che sembrano. E se si è disposti ad accettare qualche compromesso in un mix così particolare di adrenalina, mistero e dramma, I bambini di Cold Rock è un film che riesce ad emozionare come raramente succede quando si parla di orrore.
Nota di merito a Jessica Biel, prima di tutto per essersi prestata a qualcosa di così distante dalle sue solite partecipazioni, e poi perché nonostante tutto se la sbriga discretamente, struccata e imbruttita il giusto per immergersi al meglio in uno sfondo così desolante.