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sabato 27 ottobre 2012

The Possession di Ole Bornedal

Nelle sale dal 25 ottobre

Che caspita è un Dybbuk ? Chi bazzica un po' il genere horror ne saprà qualcosa, e magari suonerà qualche campanello anche a chi ha visto A Serious Man dei fratelli Coen. Per tutti gli altri: secondo la tradizione ebraica il Dybbuk è l'anima errante di un defunto a cui è stato impedito di entrare nell'aldilà e che quindi si rifugia nei corpi altrui. Insomma una forma di possessione demoniaca, e tanto per cambiare ci troviamo di fronte a un film sull'esorcismo. A produrlo è la Ghost House Picture di Sam Raimi (sigh...) mentre dietro la macchina da presa troviamo Ole Bornedal, regista danese alla sua seconda trasferta americana (aveva già diretto il remake del suo Il guardiano di notte).
Clyde (Jeffrey Dean Morgan) e Stephanie (Kyra Sedwick) hanno divorziato da poco. (non si scappa, le ragazzine possedute hanno sempre una famiglia disastrata). Lei si è già rifatta una vita con un nuovo compagno, lui cerca di rimettersi in piedi tra lavoro e una casa tutta nuova. Nei weekend Clyde si prende cura delle due figlie, e proprio durante una di queste uscite Em (Natasha Calis), la più piccola delle due, compra una strana scatola in legno coperta con incisioni in aramaico. Naturalmente la apre, liberando così un dybbuk prigioniero che si impadronisce del suo corpo e comincia a influenzare il suo comportamento.
E niente, praticamente è tutto qui, The Possession non potrebbe essere più tipico, insignificante e anonimo. Sia chiaro, non è un disastro completo, perché in fondo è diretto dignitosamente e non scade mai nel grossolano, però non si spinge un millimetro oltre, fa il minimo sindacale senza prendersi nemmeno un rischio. Forse l'unico problema in questo senso è che scorre anche troppo spedito, dopo il breve incipit infatti la possessione entra subito nella sua fase più critica, tanto che ci si chiede come facciano i personaggi a non accorgersi di quello che sta accadendo.
La storia è così tipica che più tipica non si può, il classico blocco narrativo collaudatissimo preso e messo in scena senza nessuna rifinitura, senza togliere o aggiungere qualcosa ad una formula ormai vecchia di 50 anni. E questa forse è la cosa più sconcertante, The Possession è il classico esempio di film realizzato con lo stampino, dai personaggi allo sfondo degli eventi, tutto rigorosamente monodimensionale e intercambiabile, con un bel "basato su una storia vera" in locandina tanto per non farsi mancare niente. E poi c'è quella che dovrebbe essere la novità, il dybbuk, l'elemento ebraico, un tentativo di variazione sul tema esorcismo. Ma magari! Come anticipavo nell'introduzione, il dybbuk qui è trattato esattamente come un demonio nella concezione cattolica del termine, spogliato di tutti i suoi tratti caratteristici e reso familiare e digeribile al grande pubblico, che evidentemente, per chi sta dietro a queste produzioni, è ormai completamente lobotomizzato e incapace di affrontare una realtà esotica come l'ebraismo chassidico. Niente di nuovo quindi, uno spirito che dovrebbe fare di tutto per rimanere celato non fa altro che dare prove della sua esistenza, e quindi via con sciami di insetti, cattiverie gratuite, autolesionismo e volti che compaiono deformati negli specchi o dietro qualche superficie trasparente. Anche da questo punto di vista non c'è niente da segnalare, le manifestazioni demoniache non sono altro che un compendio di quelle viste in decine di altri film analoghi, e i pochi guizzi di creatività non sono mai pienamente sfruttati, senza considerare che, secondo una pratica ormai consueta, le scene più significative sono già tutte nel trailer.



sabato 20 ottobre 2012

Cercasi amore per la fine del mondo di Lorene Scafaria

Nelle sale dal 17 gennaio.
Una delle tanti notti insonni di questa torrida estate appena passata, accesi la TV e mi misi a guardare un programma su ComingSoon, Cloud, contenitore di news, trailer e interviste. Proprio quella notte parlavano di questa commedia, appena uscita oltreoceano, e si vedeva Carell sperticarsi in lodi infinite per la verve e il talento comico di Keira Knightley. Bene, interessante, e con un titolo così accattivante, me lo sono segnato da qualche parte.
Mancano tre settimane alla fine del mondo. Persino l'ultimo tentativo (una navicella canadese) di fermare l'asteroide Mathilda, diretta sulla terra, è andato a vuoto. Non c'è più nulla da fare se non aspettare.
Doug (Carell) apprende la notizia in macchina, con la moglie Linda. La sua unica reazione è un commento banale sull'uscita sbagliata presa in autostrada. Linda fugge via. Non ne può più di lui o semplicemente non può resistere e convivere le ultime tre settimane della sua vita con uno così. Perchè per Doug, che finisca il mondo, non è poi una tragedia. Tipo mollaccione, prudente, noioso, ha vissuto sempre preparandosi per il peggio, quindi la fine del mondo è solo una liberazione. Tutto questo fino a quando non scopre che Linda lo tradiva da tempo. La notizia lo sconvolge e cerca di suicidarsi, ingerendo detersivo per i vetri. A farlo andare avanti è un cagnolino, abbandonatogli al suo fianco, proprio mentre era svenuto dai postumi della drinkata di detersivo. 
Ma soprattutto è Penny (Knightley), la ragazza che abita al piano sotto al suo. Ragazza strana, romantica, vivace, e con un ipersonnia da record. Tutto il contrario di lui. Rimasti illesi dopo che una rivolta è arrivata a lambire il loro stabile, iniziano un lungo viaggio per l'America, alla ricerca di fidanzate e fidanzati passati, cercare i propri famigliari e condividere gli ultimi momenti assieme.
Not another apocalypse movie! Dai su stavolta è una commedia romantica. Siamo nel 2012 e a pochi mesi dalla fatidica fine del mondo annunciata dal calendario Maya, siamo stati sommersi da film sull'apocalisse che spazzerà via la nostra esistenza. E c'è quello d'autore, Melancolia, quello low budget, 4:44 Last Day on Earth, quello sciocco, 2012, quello con Nicolas Cage, Segnali dal futuro, ora c'è quello spiritoso. Se non dovesse arrivare sta fine del mondo, saranno stati tutti una delusione!

Seeking a friend for the end of the world (titolo originale) è un road movie camuffato ben bene da apocalypse movie. C'è una prima parte e un ultima, ovviamente, dove la fine ha una certa importanza, ma per il resto è un classico esempio del filone "viaggi e incontri". I nostri due passeranno dall'incontrare uno strano camionista a pranzare in una pittoresca tavola calda, dall'incontrare un ex dei due all'avere guai con le autorità. Il tutto però non nel classico schema buddy-buddy (tipo Un biglietto in due) ma con una coppia che piano piano si innamora.
Giudicato da questo punto di vista e dal punto di vista prettamente comico, e di ritmo, di gag, di ilarità, esce con le ossa rotte. Come se Carell, e i suoi personaggi, contaminasse tutto quello che ha attorno, la storia si srotola molto svogliatamente, molto lentamente, fiaccamente. Mai picchi degni di citazione tra gli amici a fine visione, mai scossoni o svolte nella sceneggiatura che sveglino lo spettatore. Non è che chieda la risata sguaiata, tanto ho capito dopo poco che è più romance che comedy, ma un pò di vivacità, quella si. 
Ecco allora il lato romantico. Qui si segna un successo, anche se sembra il testo di una canzone melensa messa in immagini. Guarda caso la regista, al suo esordio, è una scrittrice di canzoni per commedie romantiche adolescenziali (Whip it, Nick e Nora) oltre che attrice e cantante. In ogni caso l'amore che sboccia tra i due protagonisti è sincero e commovente al punto giusto. Poi su, stanno per morire, come tutti noi, checcarini, che dolciotti.

Però ritengo che la cosa più riuscita del film sia un altra. Ovvero quando mostra sullo sfondo a volte, e in primo piano in altre, come reagisce l'umanità al periodo d'attesa di tre settimane. C'è chi come Doug, continua a recarsi al lavoro e a eseguirlo con giudizio, chi manda avanti il proprio negozio e persino qualche poliziotto zelante c'è ancora a somministrare fumanti tazze di legalità (anvedi!). E poi c'è chi spacca tutto, chi appende volantini per coronare il suo sogno di essere un killer su commissione o chi organizza orge. C'è la famiglia di amici di Doug che organizza una classica cena con parenti e conoscenti, dove si fanno giochi di società tipo "Cosa farete se il mondo finisse?", giochi ovviamente molto realistici, come quando Penny deve realmente decidere quali dischi portare con se e quali abbandonare. Alla stessa cena si provano sigari costosissimi e petardi pericolosissimi, si organizzano coca party, si prova la cocaina, davanti ai propri figli. Eppure tutto ha una certa organizzazione. Un ora per ritrovarsi, un ordine delle portare, un ordine della serata. Anche davanti all'inevitabile fine e alla morte, c'è nell'uomo una volonta di rispettare delle regole. Di non andare oltre, di continuare a tagliare il prato, perchè si deve fare. Questo mi è piaciuto molto. Nonostante siamo liberi di lasciarci andare alla lista del "cose da fare prima di morire", preferiamo sottostare alla routine classica.

In definitiva, Cercasi amore per la fine del mondo, è un film che finisce accalappiare molti per il tema stra abusato, ma che stringi stringi non è molto diverso da tanti suoi simili. Incapace di andare un pò oltre le righe, e il soggetto lo richiederebbe eccome, rimane troppo garbato, troppo mogio e si perde lo spettatore per strada. Meglio così che la solita sboccata commediaccia di esagerazioni, ma esagera nell'opposto. Keira Knightley prova a essere divertente ma nel film sbagliato, Carell fa il suo solito personaggio in cui manco più lui ci crede. Se mai uscirà, non vi dico di non vederlo, ma il noleggio è più consigliato.

sabato 13 ottobre 2012

Total Recall - Atto di forza di Len Wiseman

Nelle sale dal 11 ottobre.
A chiunque sarà capitato di fantasticare, di immagine di vivere una vita non sua dove magari è un famoso sportivo o un talentuoso attore o un miliardario astronauta cowboy. Una vita dove possiamo coronare tutti i nostri sogni, possedere tutto quello che si desidera, copulare con tutto ciò che si vuole. E' per questa ragione che leggiamo libri, guardiamo film, giochiamo ai videogiochi. Vivere un esistenza diversa da quella monotona e noiosa, ma reale, di tutti i giorni. Il problema è che tutti questi prodotti o aiuti, creano dei brevi ricordi nella nostra mente. E sono pur sempre di seconda mano, noi ripercorriamo i binari di storie create da qualcuno che non siamo noi. Invece l'immaginazione o il sogno, che sono di nostra produzione, hanno una resistenza ancora più labile nella nostra memoria. 
Non sarebbe bello quindi poter usufruire di un macchinario o di un metodo per vivere delle situazioni artificiali, e positive, talmente vivide da rimanere nel nostro cervello come se le avessimo compiute per davvero? In un futuro imprecisato ma non molto lontano tutto ciò sarà possibile. Grazie all'azienda Total recall ci basterà scegliere un modello, un personaggio e uno scenario e vivremo la nostra fantasia preferita. Ed è quello che fa il buon Douglas Quaid (Colin Farrell) un operaio in un industria di robot.
Alla fine del XXI secolo una guerra chimica globale ha reso il mondo quasi totalmente invivibile. Sono rimasti solo due territori dove si raduna l'intera popolazione mondiale: la FUB (Federazione unita della Britannia) e la colonia, esattamente dal lato opposto del pianeta. Le due parti del globo sono unite tramite The fall, la caduta, un mega ascensore capace di passare attraverso il nucleo centrale della terra. La FUB è un territorio libero, ricco e prosperoso, mentre la colonia è povero, zozzo e sotto una dittatura che impone ai coloni di lavorare in Britannia. A combattere la dittatura c'è il classico esercito della resistenza.
Quaid è un colono. Vive un esistenza miserabile, come tutti i suoi simili. Vorrebbe dare una scossa alla sua quotidiana monotonia e quando va alla Recall vuole rivivere il sogno che fa ogni notte: è un agente speciale in trappola che deve salvare la sua compagna, una mora molto carina, che, oibò, non è sua moglie (Kate Backinsale). Tutti glielo sconsigliano questo viaggio di fantasia, a causa dei danni che il suo cervello potrebbe riportare, ma Quaid sceglie di provarci lo stesso. Ed è così che durante l'inizio del viaggio qualcosa va storto. Viene scambiato per un agente doppiogiochista da delle guardie armate li in zona. La sua fantasia diventa reale quindi, tutto quello che aveva desiderato diventa un incubo a occhi aperti, una fuga per la propria salvezza. Ma sarà tutto vero, e quindi lui è un agente a cui è stato fatto il lavaggio del cervello e ora per puro caso sta ricordando, oppure è solo dentro la sua immaginazione e deve solo aspettare di risvegliarsi?

Ventidue anni fa, quello sconclusionato di Paul Verhoeven, trasponeva il racconto breve di Philip K. Dick Memoria totale (o Ricordiamo per voi) con protagonista il mitico Arnold Schwarzeneggher. Quel primo Atto di forza era la poteosi della fantascienza anni 80 (anche se il film è del 1990). Il classico duro muscoloso, molto sangue, molti trucchi artigianali e quell'umorismo becero che li rendeva dei cult in tempo zero. Il grande pregio di Verohoeven fu però quello di rendere il racconto di Dick una storia piena di ambiguità e trasformare la strampalata vicenda -l'avventura spionistica dell'agente Quaid- in una storia inattaccabile da parte dei paladini della verosimiglianza, con un finale chiarificatore e che non trattasse eccessivamente lo spettatore come un imbecille, da tenere per mano e spiegare passo passo la conclusione.
Tutti questi elementi si perdono nella versione nuovo millennio. Niente più umorismo in primis, sembra quasi che non si possa scherzare più, bisogna essere seri e imperturbabili con la nuova fantascienza. E quindi niente più mondi futuristici colorati o pazzarielli, anzi, pioggia, oscurità, povertà. Impossibile vedere questo remake e non pensare a un altro romanzo di Dick, Blade Runner, di cui copia gran parte dell'ambientazione, persino il sapore asiaticheggiante.

La cosa peggiore però è che viene tolta tutta l'ambiguità e la "profondità" della storia (quindi in un certo senso è più fedele al racconto). Non siamo di fronte a un uomo, Schwarzenegger, che vive una vita seppur monotona, ma priva di cose di cui lamentarsi (una bella moglie, un buon lavoro, una bella casa. Insomma, come molti di noi) ma ritroviamo un uomo dentro a un mondo al collasso e sfruttato da una dittatura di teste d'uovo. La total recall nel primo film era uno sfizio per benestanti, in questo diventa un tentativo di evasione per i poveracci.  
Inoltre, nel tentativo di smussare le asperità e le banalità del primo film, il remake incappa in quella superbia che spegne tutta la magia di un tipico racconto di fantascienza. Tutto diventa troppo plausibile, troppo spiegato (magari per chi conosce già la storia, lo ammetto), e il film scivola velocemente in un action tutto adrenalina privo di atmosfera.
Insomma, dal produttore di tutti gli Underworld, e regista di un paio, (non a caso marito della Backinsale) e dell'ultimo Die Hard non ci si poteva aspettare altro. E' una corsa continua e praticamente priva di molta logica per tutta la durata della pellicola. Si spara, si corre, si cade, ovvio che non ci sia troppo spazio per le sfumature e per il tanto sospirato Quato (che poi, vengono tolti i mutanti, a parte la breve citazione con la donna dal triplo seno, ma potevano benissimo starci visto che siamo in un mondo colpito da una guerra chimica).
Certo, ha dalla sua una spettacolarità di grande qualità (condita da un eccessivo uso di lens flare di chiara matrice geigei-abramsiana), ma come succede sempre più spesso di questi tempi, senza sostanza. 
Il tutto però va giudicato in base al finale. Come dicevo, l'originale, ha una particolare scena che rende la sceneggiatura, eccessiva e caciarona, inattaccaile. Qui, tutta l'ambuiguità, dove e come va a finire? Prima di tutto ribaltando la situazione, da "mondo di Marte" possibile finzione, a "mondo della colonia" possibile finzione, se ne perde molta di ambiguità e quindi la conclusione, un pò à la Inception?, perde di forza o di interesse. Non ci sono troppe domande, non ci sono troppi dubbi, può benissimo essere un caso o un altro, senza per forza negare uno dei due. 

In definitiva, come era ampiamente prevedibile, il remake non supera l'originale. Da buonissimo film di fantascienza ci ritroviamo un action troppo lungo (quasi due ore), troppo frenetico e vuoto, molto più simile a un nuovo capitolo di Underworld che al cult di Veroheven. Non c'è spazio per la signora grassa allla dogana, non c'è Quato, non c'è abbastanza spazio per la donna tripettoruta. La CGI ha ucciso l'umorismo e le nuove tecnologie le sceneggiature. E dire che era piuttosto difficile sfigurare contro un film con Schwarzenegger che picchia tutti. Sono tutte scelte, per carità, condivisibili o no, ma segnano anche i gusti di un pubblico più attento al trucco in se che alla storia e all'imbonitore che c'è dietro.

Del finale se ne può discutere nei commenti.