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lunedì 27 agosto 2012

Il bianco e il nero #11: Frances Farmer, la ribelle

"She'll come back as fire, to burn all the liars, and leave a blanket of ash on the ground" Nirvana - Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle.

Ai più questo nome non dirà assolutamente nulla. A pochi, fans di una nota band grunge di Seattle, dirà qualcosina. A pochissimi verrà in mente quell'attrice degli anni 30-40 con pochissimi ruoli al cinema e alla cui vita venne dedicato un film nel 1982 con una strepitosa Jessica Lange, intitolato appunto Frances.
E allora perchè parlarne o dedicarle un intero numero? Perchè lei e non tante altre? Perchè anche se nessuno la conosce, come fosse passata sotto una damnatio memoriae, ha avuto una vita tipica da diva hollywoodiana. Un inizio in giovane età sfolgorante, tanti ammiratori per tutta l'America, una carriera anche a teatro, a Broadway, diversi matrimoni, problemi con la droga e l'alcolismo, un accusa di essere comunista, un internamento a base di elettroshock e un grande tentativo di ritorno, seppur per poco tempo, causa morte prematura. 
Per molte attrici la carriera raggiunge il suo apice quando arrivi a Hollywood e li diventi famosa. Eppure per lei era tutto il contrario. Incapace di stare alle regole impostele, di comportarsi sempre in maniera politically correct o di badare a quello che la gente può pensare. Un breve e sentito ricordo di una donna protagonista di una tragedia continua, la sua vita. 

La prima volta che passa agli "onori" della cronaca è il 1931, quando, 16enne, partecipa a un concorso  letterario indetto dalla sua scuola e si aggiudica il premio di ben 100 dollari. Vince con il suo "God dies" in cui afferma che Dio è inutile in quanto morto, un testo profondamente influenzato da Nietzsche, una delle sue letture preferite. In seguito a attacchi e insulti, minacce, risponde di non essere atea, ma bensì agnostica e di aver scritto tutto di proprio pugno, senza che qualche anarchico, o peggio, le abbia dettato cosa scrivere. I campagnoli non capiscono la differenza e continuano a augurarle un viaggio pagato all'inferno. Solo i genitori supportano la sua particolare visione del mondo e la sua indipendenza.
Siccome siamo in un forte clima di paura per il sovietico, mai del tutto svanita in America, il collegamento atea = comunista viene fatto velocemente, supportato dall'amicizia del padre di Frances, un avvocato di basso profilo, con un certo Kaminski, leader di qualche gruppo, non sovversivo, sinistroide locale e la successiva amicizia di Frances con Harry York, un militante.
Ma questo è un piccolo legame che verrà ingigantito in seguito. Per pagarsi l'università si trova ben tre lavori. Maschera al cinema, cameriera e contadina. Frequenta quindi la University of Washington, dipartimento artistico, recitazione più precisamente. Si appassiona al teatro e soprattutto agli autori russi. Nella piece Zio Vanya è la più applaudita.
Ancora una volta, partecipa e vince un concorso, questa volta indetto da un giornale di sinistra, The Voice of Action il cui premio è un viaggio a Mosca. Non vede l'ora di andarci, di visitare soprattutto il Teatro d'Arte Moscovita e al ritorno di fermarsi a New York, per sempre, e calcare i palcoscenici di Broadway. I suoi intenti sono quindi ben lontani da un volontario indottrinamento in madre Russia.
La madre si oppone tenacemente. Un conto è una vaga accusa di comunsimo e un conto è addirittura essere felici di andare dai sovietici, in casa loro, con il rischio di non tornare più. Non serve a frenarla, è già in volo.