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lunedì 24 settembre 2012

Il bianco e il nero #15: I comunisti invadono Hollywood

"Questo è l'inizio dei campi di concentramento americani!" Dalton Trumbo.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, gli Stati Uniti sperimentarono un'intensa agitazione politica. La preoccupazione dominante era la diffusione del comunismo, ed in seguito alla vittoria comunista in Cina nel 1949 e l'inizio della guerra di Corea, la paura si intensificò andando ad'interessare tutti i livelli della vita americana, tra cui l'industria cinematografica di Hollywood.
Ci furono inoltre problemi correlati, come l'opposizione allo sviluppo di un settore a livello sindacale a Hollywood e la determinazione dei gruppi conservatori e di destra nello smantellamento di molti dei programmi liberali sviluppati durante la presidenza Roosevelt.
A partire dal 1947, elementi della sinistra liberale di Hollywood furono sottoposti a forti pressioni, e molti furono costretti a lasciare il settore, mentre altri subirono l'umiliazione di denunciare i loro orientamenti e fornire alla Commissione Parlamentare per le Attività Antiamericane (HUAC) nomi di amici e colleghi. Alcuni sono stati anche invitati a lavorare per l'Anti-communist Film come Howard Hughes con il suo Ho sposato un comunista (1949), che uscì anche con il titolo Donna al molo 13. Altri, meno fortunati perchè non collaborativi, ebbero un destino diverso (e parlerò proprio di uno di loro).

Il cambiamento del clima politico dopo il 1947 ha fatto sì che film come Odio Implacabile (1947) e Barriera Invisibile (1947), con le loro critiche di antisemitismo negli Stati Uniti, non fossero più possibili. In realtà, era praticamente impossibile la produzione di film con evidenti, o letterali, sentimenti liberali dopo il 1947-1948. Film di questo tipo sono stati sostituiti da un ciclo dei cosiddetti caper film (o heist movie, film di rapine o colpi criminali insomma), che, in alcuni casi, hanno comunque mantenuto quella capacità dei film noir di critica ai vari aspetti del capitalismo - anche se queste critiche furono pesantemente camuffate.
Il genere noir era figlio di una comunità composta da comunisti, socialisti e liberali che andavano tenuti strettamente sotto controllo d'ora in poi, in un periodo post-guerra ancora difficile e pieno di contrasti. Attori, scrittori, registi e produttori come Jules Dassin, Edward Dmytryk, Robert Rossen, Abraham Polonsky, Dalton Trumbo, Elia Kazan, Clifford Odets, Nicholas Ray, Cy Endfield, John Garfield, Lee J. Cobb, Howard Da Silva, Karen Morley, Sterling Hayden, John Huston, Humphrey Bogart, e Robert Ryan furono tutti toccati dal maccartismo e in alcuni casi iscritti a una lista nera, che non permetteva più di lavorare a meno che non si emigrasse dagli Stati Uniti. 
Trattati come traditori e spie, queste persone venivano allontanate da qualsiasi studios e benchè il periodo sia durato relativamente poco, per molti significò la fine della carriera e l'oblio perenne.

lunedì 27 agosto 2012

Il bianco e il nero #11: Frances Farmer, la ribelle

"She'll come back as fire, to burn all the liars, and leave a blanket of ash on the ground" Nirvana - Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle.

Ai più questo nome non dirà assolutamente nulla. A pochi, fans di una nota band grunge di Seattle, dirà qualcosina. A pochissimi verrà in mente quell'attrice degli anni 30-40 con pochissimi ruoli al cinema e alla cui vita venne dedicato un film nel 1982 con una strepitosa Jessica Lange, intitolato appunto Frances.
E allora perchè parlarne o dedicarle un intero numero? Perchè lei e non tante altre? Perchè anche se nessuno la conosce, come fosse passata sotto una damnatio memoriae, ha avuto una vita tipica da diva hollywoodiana. Un inizio in giovane età sfolgorante, tanti ammiratori per tutta l'America, una carriera anche a teatro, a Broadway, diversi matrimoni, problemi con la droga e l'alcolismo, un accusa di essere comunista, un internamento a base di elettroshock e un grande tentativo di ritorno, seppur per poco tempo, causa morte prematura. 
Per molte attrici la carriera raggiunge il suo apice quando arrivi a Hollywood e li diventi famosa. Eppure per lei era tutto il contrario. Incapace di stare alle regole impostele, di comportarsi sempre in maniera politically correct o di badare a quello che la gente può pensare. Un breve e sentito ricordo di una donna protagonista di una tragedia continua, la sua vita. 

La prima volta che passa agli "onori" della cronaca è il 1931, quando, 16enne, partecipa a un concorso  letterario indetto dalla sua scuola e si aggiudica il premio di ben 100 dollari. Vince con il suo "God dies" in cui afferma che Dio è inutile in quanto morto, un testo profondamente influenzato da Nietzsche, una delle sue letture preferite. In seguito a attacchi e insulti, minacce, risponde di non essere atea, ma bensì agnostica e di aver scritto tutto di proprio pugno, senza che qualche anarchico, o peggio, le abbia dettato cosa scrivere. I campagnoli non capiscono la differenza e continuano a augurarle un viaggio pagato all'inferno. Solo i genitori supportano la sua particolare visione del mondo e la sua indipendenza.
Siccome siamo in un forte clima di paura per il sovietico, mai del tutto svanita in America, il collegamento atea = comunista viene fatto velocemente, supportato dall'amicizia del padre di Frances, un avvocato di basso profilo, con un certo Kaminski, leader di qualche gruppo, non sovversivo, sinistroide locale e la successiva amicizia di Frances con Harry York, un militante.
Ma questo è un piccolo legame che verrà ingigantito in seguito. Per pagarsi l'università si trova ben tre lavori. Maschera al cinema, cameriera e contadina. Frequenta quindi la University of Washington, dipartimento artistico, recitazione più precisamente. Si appassiona al teatro e soprattutto agli autori russi. Nella piece Zio Vanya è la più applaudita.
Ancora una volta, partecipa e vince un concorso, questa volta indetto da un giornale di sinistra, The Voice of Action il cui premio è un viaggio a Mosca. Non vede l'ora di andarci, di visitare soprattutto il Teatro d'Arte Moscovita e al ritorno di fermarsi a New York, per sempre, e calcare i palcoscenici di Broadway. I suoi intenti sono quindi ben lontani da un volontario indottrinamento in madre Russia.
La madre si oppone tenacemente. Un conto è una vaga accusa di comunsimo e un conto è addirittura essere felici di andare dai sovietici, in casa loro, con il rischio di non tornare più. Non serve a frenarla, è già in volo.