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giovedì 9 agosto 2012

La congiura della pietra nera di Cho Bin Su e John Woo

Nelle sale dal 3 agosto.
Ogni volta che guardiamo un film western, è pressochè impossibile non paragonarlo a un qualsiasi capitolo della trilogia del dollaro di Sergio Leone. Questo vale per noi italiani e vale per una gran parte di cultori di cinema, John Ford permettendo. E alla fine, il western in questione, o se ne esce con le ossa rotta o strappa un pareggio d'oro. Insomma Leone ci ha abituato troppo bene, si diceva, ed ha quasi ammazzato un genere manco fosse uno dei suoi pistoleri.
La stessa considerazioni si può fare per i wuxiapian (per chi non lo sapesse dal cinese wuxia, eroe delle arti marziali, e paragonabile a un cappa e spada orientale) e Zhang Yimou. Dopo, guarda caso anche qui, la sua trilogia composta da Hero-La foresta dei pugnali-La città proibita, non solo ha ridato vita a un genere spettacolare e poco commerciabile all'estero, ma ha posato una pietra di paragone con cui chiunque prima o poi ci si deve confrontare.
John Woo, che non è l'ultimo arrivato, ma che da poco è tornato trionfalmente a Hong Kong, dopo la fortunata impresa (eh si, il termine non è esagerato) di La battaglia dei tre regni, ci riprova. Ma da buon generale stagionato rimane dietro le quinte e dirige e aiuta sapientemente la giovane recluta, Cho Bin Su, taiwanese, con una carriera non certo sfolgorante per ora.
E' vero è difficile capire dove finisce la mano di uno e inizia quella dell'altro, ma direi che il risultato finale è piuttosto buono al contrario di quello ottenuto dall'ex mentore, collega e amico di Woo, Tsui Hark con il suo recente Flying swords of dragon gate, un casino di effetti speciali più che una buona amalgama, dove a farla da regina era una spettacolarità spicciola e sintetica. Sarà stato l'uso del 3D che richiede una certa quantità di effetti o sarà stato il film in se, più storico che wuxia (come lo stesso La battaglia dei tre regni), ma Tsui Hark mancava pienamente l'obiettivo.
Infatti Woo pensa più a un wuxia terra terra, più simile ai classici, con tante acrobazie e tanto uso di cavi e trampolini. Di CGI non se ne vede traccia, se non in piccoli ritocchi. Persino i set sono completamente reali e toccabili con mano. Da questo punto di vista è quindi una grande vittoria, dall'altra, e qui torna l'impietoso paragone con Yimou, perde nell'incapacità di mostrare senza soffermarsi.
Yimou non ha bisogno di mostrarti alla perfezione una cosa, un movimento, un dettaglio. La sua coreografia e narrazione fluida gli permettono di piroettare via con una grazia sorprendente e allo stesso chiarissima. Woo o Cho Bin Su, deve invece soffermarsi brevi istanti sulla spada acqua sferzante o sugli aghi lanciati da uno dei temibili assassini (al quale dedica dei veri e propri fermo immagine). In un wuxia, in una coreografia perfetta, si preferirebbe andare spediti e armoniosi, piuttosto che fermarsi.
Però sono righe e righe che blatero e ancora non si sa di cosa. Bene, la trama dulcis in fundo. Tutto parte dal più classico dei McGuffin, la ricerca di un oggetto magico (in questo caso si tratta di una vera e propria salma divisa in due parti) che se recuperato dona incredibili poteri. Ma il punto non è questo, è appunto un semplice elemento trascinante, dinamico. Quello di cui si vuole parlare è altro, una killer efferata che cambia aspetto, letteralmente, dopo un operazione chirurgica e cerca di crearsi una nuova vita, normale, in pace. Si sposa, pensa a una famiglia, ma dal passato non si sfugge e la setta segreta di cui faceva parte, questa cacchio di Pietra nera, torna a farsi viva e minaccia la sua tranquillità, ma ancora di più quella dell'ignaro e innocente maritino.
Il cinema è pieno di questo genere di storie, e questa va poi a finire inesorabilmente nel revenge movie, bisogna semplicemente sapere come trattarla, gestirla. E qui ancora una volta pollice in su. Perchè quando la storia mostra i suoi primi colpi di scena, i suoi plot twist, tutto prende sapore e corpo. In effetti la sceneggiatura è molto più spettacolare dei combattimenti, comunque ottimamente coreografati, ed è il vero punto di forza del film. 
In definitiva è un wuxia da non lasciarsi sfuggire che vede al centro l'eterna Michelle Yeoh, sempre agilissima e  Woo-sung Jung, il nuovo idolo delle giovani cinesi. Se si riesce a non cercare paragoni con Yimou, si può godere di quasi due ore pregne di spettacolo e degna narrazione.

lunedì 11 giugno 2012

Sangue facile di Zhang Yimou

(nelle sale italiane dal 28 maggio e in streaming gratuito sul sito di MyMovies)
Bizzarra scelta quella di Yimou. Di solito, si assiste al tragitto opposto, ovvero americani che fanno remake di film stranieri, asiatici o europei che siano. E ancora più insolito, di solito sono opere secondarie e che non riguardano importanti registi. Eppure questa volta, il maturo cineasta cinese si mette a rifare in salsa di soia, un'opera prima degli allora acerbi fratelli Coen. Nel 1984 il duo si affacciava con un noir che lasciava già pregustare l'abilità dei fratelli sia nella regia che nella scrittura. Blood simple era una piccola perla intrisa di dialoghi geniali e scelte registiche mirabolanti.
Yimou alla sua sedicesima regia (il film è vecchio di due anni, intanto ha già sfornato due nuovi film tra cui The flowers of war con Christian Bale. Come al solito l'Italia, ma non credo l'unica in questa occasione, vive come su un pianeta lontano anni luce, dove alcune cose arrivano con un ritardo fastidioso) deve essere rimasto folgorato dalla vicenda ma fa alcune modifiche importanti. Prima di tutto ambienta tutto in un passato non specificato, ma crediamo almeno nel diciassettesimo secolo, invece della contemporaneità dei Coen e poi, da molta più importanza a uno dei protagonisti della vicenda, il poliziotto, che nella precedente versione era un semplice detective privato.
Ma andiamo con ordine. Wang è il prorpietario di una locanda in mezzo al nulla. E' uno stronzo che non paga i suoi dipendenti e che maltratta la moglie, comprata dieci anni prima, la quale lo tradisce con Li, cuoco del posto. Dopo che la donna ha comprato una pistola da un mercante straniero, decide, in un pirmo momento, di uccidere il marito per poter stare da sola con il suo amante, poi invece si acconetnta di chiedergli il divorzio. Wang scopre il recente acquisto, informato da un dipendente, e medita una vendetta. Assume Zhang, un poliziotto, per confermargli i suoi timori che la moglie lo tradisca con Li. Una volta scoperta la tresca, da ordine di ucciderli, sotto lauta ricompensa. Ma qui tutto prende una piega diversa. Il sibillino Zhang fingerà di ucciderli per intascare i soldi e accusare qualcun'altro. Andrà tutto liscio?
Era una black comedy, molto black e poco comedy e diventa una comedy tipicamente asiatica che prende una strada inaspettata verso un dramma molto crudo. Se i Coen sono maestri nel mixare al meglio i due generi senza perdere la misura, la cosa non riesce all'esperto Yimou che sbaglia le dosi. Prima inserisce personaggi troppo buffi e caricaturali, come il ciccione dentuto (e il doppiaggio italiano di certo non aiuta a drammatizzare), dialoghi infantili e sequenze da screwball comedy e poi cambia totalmente registro a un terzo di film, trasformandolo in un noir schiacciato da un'alone di morte. Il cambio è repentino e troppo violento. Ma produce anche tre quarti d'ora o più di cinema muto, dove i dialoghi scompaiono e la fanno da padrone solo gli spari, le lame e gli urli strozzati. E' una parte centrale di film tutta in notturna, fenomenale, che dimostra tutta la bravura del regista (che non sempre dimostra nei suoi film), scritta magnificamente e seppur molto diversa da quella coeniana non le è inferiore per nulla.
Qui c'è il picco del film ed è quella che la trasforma da un remake bizzarro a un'ottima versione e visione artistica. I costumi e gli splendidi e surreali paesaggi fanno il resto, insieme al bravissimo Honglei Sun, apprezzatissimo attore in patria.
In definitiva è quindi un buonissimo film, che non regge il paragone con l'originale anche per via della sua spiccata e speziata forma, ma che si lascia guardare e lascia qualcosa. Yimou quando non deve per forza fare retorica ma solo spettacolo, è al suo meglio.

Voto 7


Il Monco