martedì 8 luglio 2014

The Raid 2: Berandal di Gareth Evans


In bluray a settembre

Cosa ci fa un imponente regista gallese in Indonesia ?
Un paio d'anni fa avremmo potuto rispondere: realizza uno dei film di arti marziali più belli e importanti di sempre. Oggi possiamo tranquillamente sostituire "film" con "saghe" e "di arti marziali" con un più generico "action", perché dopo il successo internazionale di The Raid: Redemption, l'instant cult che ha messo d'accordo praticamente tutti, Gareth Evans e il micidiale Iko Uwais sono tornati più agguerriti che mai. The Raid 2 (in originale The Raid 2: Berandal che significa teppista o criminale) comincia esattamente dove finiva il primo, ma paradossalmente la sceneggiatura risale a qualche anno fa, un vecchio progetto di Evans e Uwais abbandonato proprio per relizzare The Raid.
Dopo aver risalito una "pagoda" brulicante di criminali, il poliziotto Rama è pronto a consegnare alla giustizia decine di colleghi corrotti, ma la situazione è più complicata di quello che sembra: il boss che ha stanato nel primo film era solo la punta dell'iceberg, e per fare davvero pulizia dovrà infiltrarsi personalmente nella più grande organizzazione criminale della città, il tutto durante una sanguionosa guerra tra bande.
Se non fosse per il fatto che la sceneggiatura era già bell'e pronta, si potrebbe ipotizzare che Gareth Evans abbia pensato il sequel tenendo conto delle critiche negative ricevute dal primo film, pochissime e tutte dirette all'esile sceneggiatura (in realtà uno dei punti di forza di The Raid, dove la storia è elemento scenografico/coreografico che, come l'ambientazione, serve a sorreggere e contenere l'azione). Berandal infatti sviluppa esponenzialmente questo aspetto, non con raffinati meccanismi narrativi ma rozzamente, procedendo per accumulo, ampliando quanto già visto e aggiungendo tantissima (troppa ?) carne al fuoco. La trama assume una struttura più orizzontale, quasi corale, tra colpi di scena, sottotrame e un sacco di personaggi che spesso e volentieri relegano Rama ad un ruolo di comprimario.
L'idea è semplice: realizzare un film più lungo, più vario e incredibilmente più grande. Più lungo perché Edwards si spinge ai limiti del consentito: 150 minuti di pellicola riempiti fino all'orlo di sangue, sudore e fango. Un'enormità, la durata media di un blockbuster americano, ma se lì spesso si rivela punitiva, qui miracolosamente funziona, e i "tempi morti" diventano spesso delle buone occasioni per riprendere fiato tra una scazzottata incredibile e l'altra.
Più vario perché questa volta ce n'è davvero per tutti i gusti. Se nel primo film l'azione era limitata dagli spazi chiusi del palazzo, adesso è libera di spostarsi in continuazione, dai bagni al cortile di una prigione (due delle sequenze migliori piazzate a pochi minuti dall'inizio), dalla metropolitana alla periferia, dai sobborghi di Jakarta a locali alla moda che sembrano usciti dall'ultimo Refn. Tante location che permettono a Evans di valorizzare in tutti i modi possibili le enormi doti atletiche di Iko Uwais, a suo agio sia in una gigantesca rissa tra detenuti che nello stretto abitacolo di un'auto. Ogni luogo può diventare un ring, qualsiasi oggetto un'arma (quelle da fuoco però sono proibite, anche se qualche colpo lo sparano) e ogni occasione è buona per massacrarsi di botte nei modi più impensabili. All'inizio dicevo non più solo arti marziali ma grande cinema action, perché in Berandal è concesso tutto e può succedere di tutto: un pazzesco inseguimento d'auto all'americana (con Uwais che salta dalle macchine in volo come fosse niente) o un leale combattimento di Pencak Silat, l'importante è che il sangue scorra a fiumi e le facce si riducano in poltiglia.
E infine più grande. Perché The Raid 2 è semplicemente "di più" in tutto: più violento, più splatter, più sfacciato; i combattimenti e relativi piani sequenza sono più lunghi, le acrobazie più complesse, gli stunt più sorprendenti; più numerosi i nemici e quindi i cadaveri che Rama (e non solo lui) si lascerà alle spalle. Ma i "di più" che fanno la differenza riguardano senza dubbio la regia di Evans: più libera, più complessa, incollata all'azione come raramente è capitato nella storia del cinema action. Come per Gravity (ma senza computer grafica ?) la macchina da presa sparisce, diventa incorporea, solo così può essere libera di fluttuare senza difficoltà tra i corpi in movimento, di filmare/scolpire un'intero movimento senza bisogno di spezzarlo con i tagli, libera insomma di essere un tutt'uno con i suoi attori.
Libera come è libero The Raid 2, cinema anarchico e ipercinetico che mescola arti marziali, noir hongkongese, yakuza film, action alla John Woo e quello più squisitamente americano. Che intenzionalmente o no, consapevolmente o no, scomoda Only God Forgives e Barry Lyndon (Sarabande di Haendel su una scena che tra l'altro ricorda anche Nymphomaniac) nella stessa sequenza. O ancora, un cinema che può permettersi di aprire e chiudere bruscamente parentesi ingiustificate come quella di Prakoso, o di tagliare scene come questa, perché tanto il resto è pura dinamite.
Un film dove gli spazi sono artificiali, costruiti intorno agli attori per essere i campi di battaglia ideali, palestre pronte all'uso in cui ogni elemento è presente per una ragione: essere usato come arma o semplicemente rendere lo scontro più spettacolare, perché chi uccide lo farà sempre nel modo più complicato e teatrale possibile.
Se The Raid: Redemption sacrificava tutto a favore dell'azione, The Raid 2 compie l'operazione inversa, inghiotte bulimicamente tutto quello che gli capita a tiro in nome della spettacolarità. Un meraviglioso disastro che è già pietra di paragone per l'action passato e futuro. Peccato solo non poterselo godere sul grande schermo.


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