domenica 23 agosto 2015

Locarno68 - Kaili Blues (Lu bian ye can) di Gan Bi

Come spesso succede a Locarno, le sorprese migliori arrivano dalla sezione Cineasti del Presente (basti pensare a Navajazo l'anno scorso). Quest'anno in particolare, con un Concorso Internazionale dominato da autori "storici" (Akerman, Zulawski, Iosseliani) e grandi nomi (Hong Sang-soo) è ancora più impressionante e significativo imbattersi in un esordio come quello del giovanissimo Gan Bi.
Siamo a Kaili, villaggio nella provincia cinese del Guizhou (dove il regista è nato), sorta di limbo uggioso e desolato che non stonerebbe in un film di Lav Diaz o Tsai Ming-liang, l'immagine di una Cina eternamente bloccata nello scarto tra passato e futuro, tra la tradizione morente e la corsa disperata alla modernità. Quello che non è destinato alla demolizione è già rovina, e le rovine sono a loro volta piene di relitti, come carcasse di auto e sfere da discoteca. Le fiere di paese sono deserte, il tempo è immobile, tanto che gli unici orologi sono quelli disegnati da un bambino, e gli adulti, ubriachi di alcool o di fatica, si muovono attraverso tunnel strettissimi nel sottosuolo.
A scandire il ritmo languidissimo è un movimento orizzontale, il "blues" di Kaili, una serie di panoramiche e mezze panoramiche che inseguono i personaggi nel loro girare in tondo, sempre diretti verso il fuori campo (splendida quella che rivela il titolo del film). Anche la narrazione si avvolge subito su se stessa, da un personaggio all'altro, da una linea temporale all'altra, tanto che distinguere la realtà dai paesaggi del sogno e del tempo (passato o futuro) diventa sempre più difficile, fino a quando i confini non crollano definitivamente e un treno in marcia si materializza in un soggiorno, a preannunciare una partenza imminente, ma anche a rimarcare l'assurdità di quello che sta accadendo tra i personaggi nella stanza.

Dopodiché il dottor Chen parte, per soccorrere il nipote, che forse è stato venduto, e per rintracciare l'amore di gioventù della sua anziana collega. Fuori da Kaili, fuori dal tempo e dallo spazio, a Dangmai, un altro non-luogo dove però la tradizione ancora vive nell'antica comunità dei Miao. Qui la rigida orizzontalità con cui si osservava Kaili viene abbandonata, lo sguardo finalmente si libera, e all'improvviso inizia un infinito piano sequenza(più di quarante minuti) che ci guida attraverso tutta Dangmai. In macchina, in moto, a piedi, in barca, sulle strade sterrate, nei vicoli, oltre il fiume e di nuovo al villaggio. Gan Bi ci fa incontrare tutti: i musicisti, la parrucchiera, la giovane guida turistica, che come Chen viene da Kaili, e il goffo Wei Wei, che si chiama come il nipote di Chen ma è troppo grande per essere lui. Tutto un microcosmo in un'unica sequenza, un'immagine fiume e un fiume di personaggi che scorrono attraverso le strade e le stradine del villaggio, ma anche il fiume del tempo; passato, presente e futuro non più confusi ma fusi in un unico attimo. I morti ritornano, si rivivono amori perduti, i bambini sono già ragazzi innamorati e i ricordi predono vita, magari confusi con quelli di un altro, come quando Chen scalda le mani della parrucchiera con una torcia, come nel racconto dell'anziana dottoressa. Tutto si tiene e tutto scorre in perfetta armonia, tenuto insieme dall'amore, così l'impossibile diventa possibile: mentre la giovane guida turistica attraversa il fiume, recitando a memoria le informazioni geografiche su Kaili, il ragazzo che la ama, che dall'altro lato del fiume non potrebbe mai sentirla, le suggerisce urlando quando dimentica qualche passaggio.
La cosa si ripete in modo molto simile in uno dei momenti più straordinari e commoventi di Kaili Blues: circa a metà di quel funambolico piano sequenza che domina la seconda parte, Chen racconta alla giovane parrucchiera alcuni ricordi di sua moglie. Ad un certo punto del discorso lui esita, quasi come se l'attore non riuscisse a ricordare la battuta, così lei, come un suggeritore a teatro, inizia a bisbigliare il seguito e insieme, come se fossero la stessa persona, finiscono di raccontare la storia. Non è solo il tempo ad essersi annullato ma anche la memoria, come tutto in questa meravigliosa sequenza-mondo.

A soli ventisei anni e al primo lungometraggio, Gan Bi dimostra già una maturità e una consapevolezza del (o fiducia nel) mezzo assolutamente straordinarie, e con Kaili Blues realizza una riflessione sul potere del cinema e dell'immagine di una lucidità impressionante; un'immagine che può tutto, come un innamorato che disegna orologi sui vagoni dei treni, così, a causa di un trucco ottico, il tempo sembrerà scorrere a ritroso e forse la sua amata tornerà da lui.

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