Come spesso succede a Locarno, le
sorprese migliori arrivano dalla sezione Cineasti del Presente (basti
pensare a Navajazo l'anno scorso). Quest'anno in particolare, con un
Concorso Internazionale dominato da autori "storici"
(Akerman, Zulawski, Iosseliani) e grandi nomi (Hong Sang-soo) è ancora più
impressionante e significativo imbattersi in un esordio come quello
del giovanissimo Gan Bi.
Siamo a Kaili, villaggio nella
provincia cinese del Guizhou
(dove il regista è nato), sorta di limbo uggioso e desolato che non
stonerebbe in un film di Lav Diaz o Tsai Ming-liang, l'immagine di
una Cina eternamente bloccata nello scarto tra passato e futuro, tra
la tradizione morente e la corsa disperata alla modernità. Quello
che non è destinato alla demolizione è già rovina, e le rovine
sono a loro volta piene di relitti, come carcasse di auto e sfere da
discoteca. Le fiere di paese sono deserte, il tempo è immobile,
tanto che gli unici orologi sono quelli disegnati da un bambino, e
gli adulti, ubriachi di alcool o di fatica, si muovono attraverso
tunnel strettissimi nel sottosuolo.
A
scandire il ritmo languidissimo è un movimento orizzontale, il
"blues" di Kaili, una serie di panoramiche e mezze
panoramiche che inseguono i personaggi nel loro girare in tondo,
sempre diretti verso il fuori campo (splendida quella che rivela il
titolo del film). Anche la narrazione si avvolge subito su se stessa,
da un personaggio all'altro, da una linea temporale all'altra, tanto
che distinguere la realtà dai paesaggi del sogno e del tempo
(passato o futuro) diventa sempre più difficile, fino a quando i
confini non crollano definitivamente e un treno in marcia si
materializza in un soggiorno, a preannunciare una partenza imminente,
ma anche a rimarcare l'assurdità di quello che sta accadendo tra i
personaggi nella stanza.
Dopodiché
il dottor Chen parte, per soccorrere il nipote, che forse è stato
venduto, e per rintracciare l'amore di gioventù della sua anziana
collega. Fuori da Kaili, fuori dal tempo e dallo spazio, a Dangmai,
un altro non-luogo dove però la tradizione ancora vive nell'antica
comunità dei Miao. Qui la rigida orizzontalità con cui si osservava
Kaili viene abbandonata, lo sguardo finalmente si libera, e
all'improvviso inizia un infinito piano sequenza(più di quarante
minuti) che ci guida attraverso tutta Dangmai. In macchina, in moto,
a piedi, in barca, sulle strade sterrate, nei vicoli, oltre il fiume
e di nuovo al villaggio. Gan Bi ci fa incontrare tutti: i musicisti,
la parrucchiera, la giovane guida turistica, che come Chen viene da
Kaili, e il goffo Wei Wei, che si chiama come il nipote di Chen ma è
troppo grande per essere lui. Tutto un microcosmo in un'unica
sequenza, un'immagine fiume e un fiume di personaggi che scorrono
attraverso le strade e le stradine del villaggio, ma anche il fiume
del tempo; passato, presente e futuro non più confusi ma fusi in un
unico attimo. I morti ritornano, si rivivono amori perduti, i bambini
sono già ragazzi innamorati e i ricordi predono vita, magari confusi
con quelli di un altro, come quando Chen scalda le mani della
parrucchiera con una torcia, come nel racconto dell'anziana
dottoressa. Tutto si tiene e tutto scorre in perfetta armonia, tenuto
insieme dall'amore, così l'impossibile diventa possibile: mentre la
giovane guida turistica attraversa il fiume, recitando a memoria le
informazioni geografiche su Kaili, il ragazzo che la ama, che
dall'altro lato del fiume non potrebbe mai sentirla, le suggerisce
urlando quando dimentica qualche passaggio.
La
cosa si ripete in modo molto simile in uno dei momenti più
straordinari e commoventi di Kaili Blues: circa a metà di quel
funambolico piano sequenza che domina la seconda parte, Chen racconta
alla giovane parrucchiera alcuni ricordi di sua moglie. Ad un certo
punto del discorso lui esita, quasi come se l'attore non riuscisse a
ricordare la battuta, così lei, come un suggeritore a teatro, inizia
a bisbigliare il seguito e insieme, come se fossero la stessa
persona, finiscono di raccontare la storia. Non è solo il tempo ad
essersi annullato ma anche la memoria, come tutto in questa
meravigliosa sequenza-mondo.
A soli ventisei anni e al primo
lungometraggio, Gan Bi dimostra già una maturità e una
consapevolezza del (o fiducia nel) mezzo assolutamente straordinarie,
e con Kaili Blues realizza una riflessione sul potere del cinema e
dell'immagine di una lucidità impressionante; un'immagine che può
tutto, come un innamorato che disegna orologi sui vagoni dei treni,
così, a causa di un trucco ottico, il tempo sembrerà scorrere a
ritroso e forse la sua amata tornerà da lui.
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