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domenica 14 luglio 2013

To the Wonder di Terrence Malick

Dopo la tiepida accoglienza al Festival del Cinema di Venezia, arriva finalmente nelle sale l'ultima fatica di quel geniaccio di Terrence Malick, che, abbandonati i suoi tradizionali tempi biblici, riesce a completare questo To the Wonder un solo anno dopo il colossale Tree of Life.
L'americano Neil (Ben Affleck, in un ruolo inizialmente assegnato a Christian Bale) conosce la francese Marina (Olga Kurylenko), i sue si conoscono e si amano nelle strade di Parigi e sulle spiagge di Mont Saint Michel. Quando lui torna in America, lei lo segue insieme a sua figlia nel "nuovo mondo", ma il loro amore appassisce e scivola via come le maree dei luoghi in cui è nato.
To the Wonder è la logica continuazione di un ciclo ideale iniziato qualche anno fa con The New World, un ciclo che coincide anche con lo sviluppo da parte di Malick di una certa idea di cinema, completamente libera dalle convenzioni narrative tradizionali. I suoi sono film che lavorano per sottrazioni e accumulazioni: ad ellissi narrative sempre più ampie e frequenti si accostano sequenze in cui la macchina da presa lascia parlare le immagini in tutti i loro infiniti dettagli, ad una quasi totale soppressione dei dialoghi sopperisce un uso intensissimo del soliloquio, quasi un flusso di coscienza dallo stile molto letterario che ci apre una finestra sulla mente dei personaggi, continuamente tormentati da dilemmi che poi affliggono anche il regista stesso.
Quello che differenzia To the Wonder da Tree of Life è il vistoso cambio di scala, laddove il secondo metteva continuamente a confronto l'infinitamente piccolo della provincia americana con l'infinitamente grande dell'armonia universale, il primo si concentra sull'aspetto più terreno ed infinitesimale, la piccola storia di un innamoramento che è anche un piccolo spaccato autobiografico.

mercoledì 21 novembre 2012

Filmbuster(d)s - Episodio #17

Attenti che il 17 porta sfiga. Io (alexdiro) avevo proposto di saltarlo a piè pari e passare direttamente al 18 per poi farvi impazzire su internet alla ricerca della puntata perduta, ma sono stato gambizzato per questo. Comunque sia, Ben Affleck, quello che ci vuole per battere Maccio Capatonda, ha fatto 3 su 3 regalandoci l'ennesimo buon film; per il resto si parla di pellicole mal distribuite nelle sale italiane, quindi preparate il vostro fegato a sonore incazzature.

Nel 17° episodio di Filmbuster(d)s:

[00:04:00]La collina dei papaveri
[00:24:00]Red Lights
[00:37:30]Argo
[01:02:40]Ballata dell'odio e dell'amore



Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

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Oppure ascoltate il podcast mediante il player Podtrac:

martedì 13 novembre 2012

Argo di Ben Affleck

Nelle sale dal 8 novembre.
La gente non ride più. Ben Affleck è diventato un "artista" o per meglio dire uno dei tanti lavoratori nel magico mondo del cinema a cui va portato un minimo di rispetto e di cui si può dire di essere sostenitori, anche in un luogo pubblico. I tempi di Gigli o di Daredevil sono finiti. L'Academy Award Winner (va ricordata la sua statuetta condivisa con Matt Damon per Will Hunting - Genio ribelle, che risponde alla domanda "quanti bellocci di Hollywood servono per scrivere una sceneggiatura di un film di Gus Van Sant?") ormai giunto a 40 splendide primavere, si è scrollato di dosso la status di sex symbol e ha incominciato a fare del buonissimo cinema passando dall'altra parte della cinepresa. E' esploso lasciando perplessi tutti con Gone Baby Gone cinque anni fa e ha proseguito con l'adrenalinico The Town  tre anni dopo. E' un clichè fin troppo abusato ma va utilizzato anche stavolta: Affleck era atteso alla prova del nove con Argo (il primo dei suoi film non scritto da lui) e si può dire senza ombra di dubbio che abbia superato alla grande il test.
Argo racconta di una storia realmente accaduta e di un film immaginario. Siamo nel 1979, in Iran, all'apice della rivoluzione. Da pochi mesi il governo dello Shah, Mohammad Reza Pahlavi, imposto dagli americani e dagli inglesi con un colpo di stato e contraddistinto da opulenza (personale) e da una spiccata occidentalizzazione della cultura locale, nonchè di un controllo del potere supportato dalla violenta polizia interna, è stato rovesciato e al suo posto si è insediato l'ayatollah Khomeini. Siete ancora svegli? Tranquilli, non è così difficile stare dietro alla storia, soprattutto perchè ve la raccontano a fumetti, lasciando già trapelare la predominanza dell'infotainment come stile per il film, e poi perchè capite le cose più basilari (Shah messo dalla CIA cattivone, Ayatollah cattivo ma s(u)opportato, americani odiatissimi e da tirare fuori dal paese) non serve ricordarsi altro. Ecco in questa situazione, un ufficio governativo americano viene assaltato dai rivoluzionari. Una ottantina circa di persone viene fatta prigioniera. Per la liberazione vogliono che Pahlavi torni in Iran e si faccia processare (era fuggito in America per curarsi, cancro). Sei persone però sono riuscite a fuggire e adesso si nascondono nell'ambasciata canadese. Dopo circa due mesi, quando il rischio di farsi beccare è sempre più alto, la CIA decide di dargli una mano.
Tony Mendez, un esperto esfiltratore, se ne esce con un'idea bizzarra ma che batte tutte le altre proposte: tirarli fuori fingendo che siano tutti parte di una troupe cinematografica canadese andata in Iran per scovare delle location per un film di fantascienza. Funzionerà? Non aggiungo altro, ma ricordo che trattasi di storia vera.

Argo è nè più nè meno dell'ottimo e solido cinema made in Usa. C'è il buon script dietro, fatto appunto di tanta information ma molto più entertainment, che per osmosi insegna qualcosa anche allo spettatore che manco saprebbe localizzare l'Iran su una cartina, ma c'è anche tanta azione, tanto sano divertimento e un finalone carico di suspance e calamitante (se non si conosce la conclusione della vera vicenda). E poi diamine, un'idea così cinematografica che basta raccontarla per fare colpo.
Difficile trovare una pecca o cercare di fare breccia in questo granitico prodotto. Non sto diecndo che è un capolavoro ma che ha tutto al posto giusto; ritmo, cast, regia, sceneggiatura, montaggio, location. Ci si potrebbe lamentare che non eccelle in nessuno dei campi, ma non si può assolutamente dire che sia scarso in nessuno ugualmente. Il pregio principale a mio modo di vedere sta nella gestione e nella scrittura dei tre atti canonici, ognuno con diversi meriti. Il primo, dove viene introdotta una storia che solo sulla carta può sembrare di difficile comprensione. Al contrario di me, se la cava in molto meno tempo e senza tralasciare nulla o peccare di superficialità. Il secondo, con l'intreccio e lo svolgersi della storia, dove riesce a tenere un ritmo serrato (davvero un'impresa annoiarsi durante la proiezione) e far ridere con un Alan Arkin straripante e aiutato massicciamente dal doppiatore italiano. Infine la parte finale dove tutto è dosato nelle proporzioni giuste, si rimane incollati fino alla fine, con il fiato sospeso e anche se casca nei soliti triti e ritriti stratagemmi usati in questi casi, glielo si perdona, perchè funziona.
A essere sincerissimi sembra mancare quel cent da farlo essere uno dei primissimi film dell'anno. Ha tutto talmente al posto giusto che manca quell'elemento fuori dal normale, che lo proietti oltre. Per questo dico che è solido ma non vado oltre con i complimenti.
Forse Affleck doveva osare di più? La sua regia merita una menzione speciale. Prima di tutto sappiate che dietro c'è un lavoro minuzioso fatto per rendere il film il più realistico possibile. Ha voluto girarlo su pellicola vera, niente digitale, e su ogni fotogramma ha svolto un ulteriore lavoro di post montaggio. Inoltre ha copiato e studiato tutti i movimenti di macchina del film Tutti gli uomini del presidente, per le scene in interni e per gli esterni da L'assassinio di un allibratore cinese, due cult movie anni 70. Questo denota una grande cura dei particolari, facilmente riscontrabile durante il film. Il pupo ha fatto i compiti a casa insomma.
Per una volta passa quindi in sordina la sua recitazione loffa, anche se io non sarei così cattivo in questa occasione. In ogni caso, per fortuna sua, si è troppo impegnati per notarlo, a causa della spassosa coppia Goodman-Arkin o dell'ottimo make up usato per i magnifici 6 reclusi (quei baffi, quegli occhialoni), davvero assomiglianti agli originali. Anche il resto del cast è scelto oculatamente. Kyle Chandler e Victor Garber hanno piccoli ruoli ma sono i volti perfetti per quell'epoca.
Potrei andare oltre ma mi fermo, ci risentiamo durante il podcast, e tiro le conclusioni.
Con una storia simile è facile fare goal ma è ancora più facile farsela bruciare tra le mani. Per fortuna Affleck tira fuori un più che discreto risultato, soprattutto sul lato formale, capace anche di intrattenere e emozionare. Una ascesa continua quella del bisteccone che ci fa ben sperare e attendere spasmodicamente per il suo prossimo lavoro.
"Argo vaffanculo!"

Parte per chi ha visto il film.
Anche il Canada è stato grande, lo è stato per poco, non ha fatto granchè, ma agli occhi del mondo, per pochi giorni, il Canada ha salvato il culo a degli americani. Più o meno. Alla prima proiezione del film al Toronto International Film Festival (in Canada well duh?!) Ben Affleck ha dovuto addirittura rispondere alle critiche ricevute per aver minimizzato l'importanza dell'operato canadese nella vicenda, il che lo ha portato a aggiungere qualche bella scritta bilanciatrice alla fine. Crisi internazionale evitata! Pfiu!