La
gente non ride più. Ben Affleck è diventato un "artista" o per meglio
dire uno dei tanti lavoratori nel magico mondo del cinema a cui va
portato un minimo di rispetto e di cui si può dire di essere sostenitori,
anche in un luogo pubblico. I tempi di Gigli o di Daredevil sono finiti. L'Academy Award Winner (va ricordata la sua statuetta condivisa con Matt Damon per Will Hunting - Genio ribelle,
che risponde alla domanda "quanti bellocci di Hollywood servono per
scrivere una sceneggiatura di un film di Gus Van Sant?") ormai giunto a
40 splendide primavere, si è scrollato di dosso la status di sex symbol
e ha incominciato a fare del buonissimo cinema passando dall'altra
parte della cinepresa. E' esploso lasciando perplessi tutti con Gone Baby Gone cinque anni fa e ha proseguito con l'adrenalinico The Town tre anni dopo. E' un clichè fin troppo abusato ma va utilizzato anche stavolta: Affleck era atteso alla prova del nove con Argo (il primo dei suoi film non scritto da lui) e si può dire senza ombra di dubbio che abbia superato alla grande il test.
Argo
racconta di una storia realmente accaduta e di un film immaginario.
Siamo nel 1979, in Iran, all'apice della rivoluzione. Da pochi mesi il
governo dello Shah, Mohammad Reza Pahlavi, imposto dagli americani e
dagli inglesi con un colpo di stato e contraddistinto da opulenza
(personale) e da una spiccata occidentalizzazione della cultura locale, nonchè
di un controllo del potere supportato dalla violenta polizia interna, è
stato rovesciato e al suo posto si è insediato l'ayatollah Khomeini.
Siete ancora svegli? Tranquilli, non è così difficile stare dietro alla
storia, soprattutto perchè ve la raccontano a fumetti, lasciando già
trapelare la predominanza dell'infotainment come stile per il film, e
poi perchè capite le cose più basilari (Shah messo dalla CIA cattivone,
Ayatollah cattivo ma s(u)opportato, americani odiatissimi e da tirare
fuori dal paese) non serve ricordarsi altro. Ecco in questa situazione,
un ufficio governativo americano viene assaltato dai rivoluzionari. Una
ottantina circa di persone viene fatta prigioniera. Per la liberazione
vogliono che Pahlavi torni in Iran e si faccia processare (era fuggito
in America per curarsi, cancro). Sei persone però sono riuscite a
fuggire e adesso si nascondono nell'ambasciata canadese. Dopo circa due
mesi, quando il rischio di farsi beccare è sempre più alto, la CIA
decide di dargli una mano.
Tony
Mendez, un esperto esfiltratore, se ne esce con un'idea bizzarra ma che
batte tutte le altre proposte: tirarli fuori fingendo che siano tutti
parte di una troupe cinematografica canadese andata in Iran per scovare
delle location per un film di fantascienza. Funzionerà? Non aggiungo
altro, ma ricordo che trattasi di storia vera.
Argo è nè più nè meno dell'ottimo e solido cinema made in Usa. C'è il buon script dietro, fatto appunto di tanta information ma molto più entertainment, che per osmosi insegna qualcosa anche allo spettatore che manco saprebbe localizzare l'Iran su una cartina, ma c'è anche tanta azione, tanto sano divertimento e un finalone carico di suspance e calamitante (se non si conosce la conclusione della vera vicenda). E poi diamine, un'idea così cinematografica che basta raccontarla per fare colpo.
Difficile trovare una pecca o cercare di fare breccia in questo granitico prodotto. Non sto diecndo che è un capolavoro ma che ha tutto al posto giusto; ritmo, cast, regia, sceneggiatura, montaggio, location. Ci si potrebbe lamentare che non eccelle in nessuno dei campi, ma non si può assolutamente dire che sia scarso in nessuno ugualmente. Il pregio principale a mio modo di vedere sta nella gestione e nella scrittura dei tre atti canonici, ognuno con diversi meriti. Il primo, dove viene introdotta una storia che solo sulla carta può sembrare di difficile comprensione. Al contrario di me, se la cava in molto meno tempo e senza tralasciare nulla o peccare di superficialità. Il secondo, con l'intreccio e lo svolgersi della storia, dove riesce a tenere un ritmo serrato (davvero un'impresa annoiarsi durante la proiezione) e far ridere con un Alan Arkin straripante e aiutato massicciamente dal doppiatore italiano. Infine la parte finale dove tutto è dosato nelle proporzioni giuste, si rimane incollati fino alla fine, con il fiato sospeso e anche se casca nei soliti triti e ritriti stratagemmi usati in questi casi, glielo si perdona, perchè funziona.
A essere sincerissimi sembra mancare quel cent da farlo essere uno dei primissimi film dell'anno. Ha tutto talmente al posto giusto che manca quell'elemento fuori dal normale, che lo proietti oltre. Per questo dico che è solido ma non vado oltre con i complimenti.
Forse Affleck doveva osare di più? La sua regia merita una menzione speciale. Prima di tutto sappiate che dietro c'è un lavoro minuzioso fatto per rendere il film il più realistico possibile. Ha voluto girarlo su pellicola vera, niente digitale, e su ogni fotogramma ha svolto un ulteriore lavoro di post montaggio. Inoltre ha copiato e studiato tutti i movimenti di macchina del film Tutti gli uomini del presidente, per le scene in interni e per gli esterni da L'assassinio di un allibratore cinese, due cult movie anni 70. Questo denota una grande cura dei particolari, facilmente riscontrabile durante il film. Il pupo ha fatto i compiti a casa insomma.
Per una volta passa quindi in sordina la sua recitazione loffa, anche se io non sarei così cattivo in questa occasione. In ogni caso, per fortuna sua, si è troppo impegnati per notarlo, a causa della spassosa coppia Goodman-Arkin o dell'ottimo make up usato per i magnifici 6 reclusi (quei baffi, quegli occhialoni), davvero assomiglianti agli originali. Anche il resto del cast è scelto oculatamente. Kyle Chandler e Victor Garber hanno piccoli ruoli ma sono i volti perfetti per quell'epoca.
Potrei andare oltre ma mi fermo, ci risentiamo durante il podcast, e tiro le conclusioni.
Con una storia simile è facile fare goal ma è ancora più facile farsela bruciare tra le mani. Per fortuna Affleck tira fuori un più che discreto risultato, soprattutto sul lato formale, capace anche di intrattenere e emozionare. Una ascesa continua quella del bisteccone che ci fa ben sperare e attendere spasmodicamente per il suo prossimo lavoro.
"Argo vaffanculo!"
Parte per chi ha visto il film.
Argo è nè più nè meno dell'ottimo e solido cinema made in Usa. C'è il buon script dietro, fatto appunto di tanta information ma molto più entertainment, che per osmosi insegna qualcosa anche allo spettatore che manco saprebbe localizzare l'Iran su una cartina, ma c'è anche tanta azione, tanto sano divertimento e un finalone carico di suspance e calamitante (se non si conosce la conclusione della vera vicenda). E poi diamine, un'idea così cinematografica che basta raccontarla per fare colpo.
Difficile trovare una pecca o cercare di fare breccia in questo granitico prodotto. Non sto diecndo che è un capolavoro ma che ha tutto al posto giusto; ritmo, cast, regia, sceneggiatura, montaggio, location. Ci si potrebbe lamentare che non eccelle in nessuno dei campi, ma non si può assolutamente dire che sia scarso in nessuno ugualmente. Il pregio principale a mio modo di vedere sta nella gestione e nella scrittura dei tre atti canonici, ognuno con diversi meriti. Il primo, dove viene introdotta una storia che solo sulla carta può sembrare di difficile comprensione. Al contrario di me, se la cava in molto meno tempo e senza tralasciare nulla o peccare di superficialità. Il secondo, con l'intreccio e lo svolgersi della storia, dove riesce a tenere un ritmo serrato (davvero un'impresa annoiarsi durante la proiezione) e far ridere con un Alan Arkin straripante e aiutato massicciamente dal doppiatore italiano. Infine la parte finale dove tutto è dosato nelle proporzioni giuste, si rimane incollati fino alla fine, con il fiato sospeso e anche se casca nei soliti triti e ritriti stratagemmi usati in questi casi, glielo si perdona, perchè funziona.
A essere sincerissimi sembra mancare quel cent da farlo essere uno dei primissimi film dell'anno. Ha tutto talmente al posto giusto che manca quell'elemento fuori dal normale, che lo proietti oltre. Per questo dico che è solido ma non vado oltre con i complimenti.
Forse Affleck doveva osare di più? La sua regia merita una menzione speciale. Prima di tutto sappiate che dietro c'è un lavoro minuzioso fatto per rendere il film il più realistico possibile. Ha voluto girarlo su pellicola vera, niente digitale, e su ogni fotogramma ha svolto un ulteriore lavoro di post montaggio. Inoltre ha copiato e studiato tutti i movimenti di macchina del film Tutti gli uomini del presidente, per le scene in interni e per gli esterni da L'assassinio di un allibratore cinese, due cult movie anni 70. Questo denota una grande cura dei particolari, facilmente riscontrabile durante il film. Il pupo ha fatto i compiti a casa insomma.
Per una volta passa quindi in sordina la sua recitazione loffa, anche se io non sarei così cattivo in questa occasione. In ogni caso, per fortuna sua, si è troppo impegnati per notarlo, a causa della spassosa coppia Goodman-Arkin o dell'ottimo make up usato per i magnifici 6 reclusi (quei baffi, quegli occhialoni), davvero assomiglianti agli originali. Anche il resto del cast è scelto oculatamente. Kyle Chandler e Victor Garber hanno piccoli ruoli ma sono i volti perfetti per quell'epoca.
Potrei andare oltre ma mi fermo, ci risentiamo durante il podcast, e tiro le conclusioni.
Con una storia simile è facile fare goal ma è ancora più facile farsela bruciare tra le mani. Per fortuna Affleck tira fuori un più che discreto risultato, soprattutto sul lato formale, capace anche di intrattenere e emozionare. Una ascesa continua quella del bisteccone che ci fa ben sperare e attendere spasmodicamente per il suo prossimo lavoro.
"Argo vaffanculo!"
Parte per chi ha visto il film.
Anche
il Canada è stato grande, lo è stato per poco, non ha fatto granchè, ma
agli occhi del mondo, per pochi giorni, il Canada ha salvato il culo a
degli americani. Più o meno. Alla prima proiezione del film al Toronto
International Film Festival (in Canada well duh?!) Ben Affleck ha dovuto
addirittura rispondere alle critiche ricevute per aver minimizzato
l'importanza dell'operato canadese nella vicenda, il che lo ha portato a
aggiungere qualche bella scritta bilanciatrice alla fine. Crisi
internazionale evitata! Pfiu!
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