In visione al TFF #30 e non so in quali altri festival precedenti.
Ad
aprire la sezione Rapporto Confidenziale (di cui fanno parte moltissime
interessanti pellicole) di questo trentesimo Torino Film Festival, il
23 novembre, è stata chiamata Jennifer Lynch che ha presentato il suo
nuovo film, Chained, in uscita in Italia, direttamente sul mercato home video dal 6 dicembre.
Dopo un pomeriggio passato al cinema,
il piccolo Tim e la mamma prendono un taxi per tornare a casa. Purtroppo
il conducente ha altri piani e dopo averli chiusi dentro li porta a
casa sua dove uccide violentemente la donna. L'uomo è un killer seriale
che rapisce le sue vittime e le porta nella sua dimora isolata dove le
uccide e in seguito ci fa sesso. Accortosi del bambino decide di tenerlo
e di usarlo come aiutante; dovrà pulire il sangue, mettere in ordine,
non uscire mai di casa (quando ci prova viene incatenato, da cui il
titolo) e preparargli la colazione, oltre che raccogliere tutti gli
articoli di giornale che parlano delle sparizioni delle "sue" donne. Gli
anni passano e Rabbit, così viene chiamato, levandogli persino il nome, diventa un
teenager, istruito dal suo carceriere e sempre più succube. Un giorno l'uomo
decide che è il suo turno, tocca a lui andare a caccia, diventare un uomo assaggiando una donna, ma Rabbit-Tim
non riesce ad essere un tale mostro e cercherà in tutti modi di non nuocere a nessuno.
Buon
sangue non mente, si usa dire. Solo nell'ambito del cinema vengono in
mente tanti buoni esempi. Sofia Coppola e Jason Reitman sono i primi che mi vengono in mente e i più recenti. Jennifer Lynch è
l'eccezione che conferma la regola. Giunta al suo quarto lungometraggio,
fatica ancora a imporsi come una talentuosa regista e ancora meno
autrice, incapace di seguire le orme del padre e come stile e come bravura.
Chained sfrutta
malamente un'idea già vista ma comunque interessante. Tutta la premessa
inziale finisce per perdersi in un ritmo assente e pesante che rende la
visione un vero e proprio supplizio. Nessun stravolgimento in grado di
dare forza a uno script piatto e nessuno scossone capace di svegliare lo
spettatore dal torpore. E' un vero peccato perchè il film è pervaso da un'atmosfera malsana e claustrofobica (e qui si vede di chi è figlia, ma
sembra più adottata) che funziona più che egregiamente ma che
difficilmente colpisce il pubblico, perso ormai a circa un terzo di film
e mai più recuperabile. Perciò le disturbanti sequenze di necrofilia dell'aguzzino o il macabro gioco di memory fatto con le carte d'identità delle vittime, non trova molti svegli e disgustati/deliziati.
Ci
prova con un colpo di scena nel finale a metà tra il ridicolo, il patetico e il
forzato, fatto solo per non chiudere in manera banale un racconto privo
di mordente. Un classico stratagemma di questo genere di film che invece
che salvare il salvabile, danno l'idea che la sceneggiatura sia stata
scritta con un'idea inziale e un finale geniale -secondo l'autore- ma
senza capire come riempire la parte centrale e come farne un
lungometraggio.
Notevolissima la prova, anch'essa malata, dei due protagonisti. Un Vincent D'Onofrio
spaventoso, con quella sua voce appena comprensibile e un fisico e
un'incedere dondolantemente ipnotico. Ed il giovane Eamon Farren, convincente nella
parte del fragile ragazzo.
Chained
rimane quindi una pellicola "che avrebbe potuto" ma che non è.
Difficile capire come e dove andrebbe migliorata (forse farla durare
meno) ma facile dire che ce ne si fa a meno di storie di questo genere.
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