Nelle sale dall'8 novembre
A un paio d'anni dallo scolastico Buried, il regista spagnolo Rodrigo Cortés decide di ritornare dalle parti del thriller dirigendo e scrivendo il suo terzo lungometraggio e la sua seconda co-produzione ispano-americana, che questa volta gli permette di accedere ad un cast di tutto rispetto, e con “di tutto rispetto” intendo “senza Ryan Reynolds”. Senza Ryan Reynolds ma con Robert De Niro, e qui è giusta e necessaria la solita precisazione, da ormai una ventina d'anni De Niro e il suo agente hanno fatto il possibile per accaparrarsi tutti i ruoli più degradanti nei peggiori film disponibili sulla piazza, è un fatto matematico riconosciuto. Insomma le premesse per questo Red Lights (sto temporeggiando ma ne parlerò, fidatevi) non erano proprio le migliori, senza contare che il film arriva in Italia con i consueti 2-3 mesi di ritardo rispetto al resto del mondo libero, portandosi dietro tutta una serie di giudizi molto poco entusiastici, le aspettative quindi non potevano essere più basse di così.
Margareth Matheson (Sigourney Weaver) e il suo assistente Tom Buckley (Cillian Murphy) sono due esperti di paranormale che tra una lezione universitaria e l'altra attraversano l'America per rintracciare e smascherare i peggiori ciarlatani del paese, due scettici professionisti insomma. Dopo anni di carriera Margareth non ha mai incontrato un fenomeno paranormale che non sia riuscita a spiegare, l'unica eccezione è Simon Silver (Robert De Niro), un mago non vedente dotato di capacità sorprendenti scomparso dalla scena per vent'anni dopo la morte di un giornalista avvenuta durante uno dei suoi show. Quando Simon Silver ricompare per quello che sarà il suo ultimo spettacolo Tom decide di affrontarlo da solo.
Sulle doti tecniche di Rodrigo Cortés non ci erano rimasti dubbi particolari, Buried (per chi non lo sapesse, un film interamente ambientato in una bara) a suo modo era stato un esperimento coraggioso affrontato dignitosamente, purtroppo, preso atto di questo, il film aveva poco altro da offrire a parte una sterile dimostrazione del fatto che è possibile ambientare un thriller in una bara e venderlo ad un pubblico da blockbuster. All'inizio l'ho definito scolastico, e l'aggettivo si presta bene anche per descrivere questo Red Lights, dove almeno dal punto di vista registico tutto è al posto giusto, così giusto da risultare antipatico e noioso, scolastico appunto. Per il resto sembra quasi che Cortés da quella bara non ne sia ancora uscito, perché Red Lights è grigio, buio e opprimente, ma se in determinate situazioni la cosa può funzionare, in altre suona piuttosto ridondante e inappropriata, la tipica fotografia dai toni freddi che si vede in tutti questi thriller prodotti in serie.
La novità è che questa volta Cortés è anche sceneggiatore, il risultato però è lo stesso, superate le intriganti premesse i due impassibili detective del paranormale vengono bruscamente catapultati in una situazione che mette in dubbio le loro certezze, e Red Lights da semplice thriller si trasforma in un thriller soprannaturale che prevedibilmente tenta di instillare nello spettatore lo stesso dubbio che affligge i personaggi. Il problema è che non ci riesce, o meglio, il problema è che, sapendo di non riuscirci, tenta di sorprenderlo e spiazzarlo con salti sulla sedia poco efficaci, scene volutamente ambigue che acquistano senso solo a film finito (come un improbabile incontro tra Tom e Simon poco prima del finale. Ma che mi sono perso ?) e colpi di scena carpiati figli bastardi del cinema di Shyamalan. Ma a conti fatti i reali difetti non sono tanto questi mezzucci furbacchioni, quanto più il fatto che in un film sul dubbio e sulla magia non si respiri né l'uno né l'altra, perché Red Lights è scritto esattamente come è diretto, noioso e poco coinvolgente.
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