lunedì 12 novembre 2012

Il bianco e il nero #22: I cent'anni dello studio system

Cento volte Paramount, poster celebrativo.
"I regret the passing of the studio system. I was very appreciative of it because I had no talent." Lucille Ball.

Quest'anno, esattamente l'8 maggio e il 7 giugno, due colossi del cinema sono diventati centenari. Un traguardo, per molti,  irraggiungibile, se si pensa soprattutto a quante cose possono cambiare nell'arco di un secolo, figuriamoci il 20esimo secolo e figuriamoci nel mondo rocambolesco del cinema. Un traguardo che denota la presenza assidua e costante di questi due "nonnetti" fin dagli albori, fin da quando il cinema era ancora in fasce e molti storcevano il naso o non ci credevano poi tanto.
I due in questione sono la Paramount pictures e la Universal pictures. Nell'arco della loro sterminata carriera ci hanno fatto sognare e ci hanno regalato film, registi, attori e storie che non dimenticheremo mai. In questa puntata vorrei quindi fare un viaggio nel tempo, a quegli anni di incredibile innovazione e sviluppo dell'industria che portarono il cinema alla dimensione che conosciamo oggi con l'invenzione dello studio system.

*We have to go back.
Torniamo quindi al 1905 circa. Il mondo non aveva ancora conosciuto nessun conflitto globale, la penicillina ancora non era stata scoperta e il cinema era ancora una cosa nebulosa, difficile da inquadrare. Prima di questo periodo l'andamento dell'industria cinematografica era stato fluttuante. Nato nel 1896, il cinema rimaneva un esperimento, un gioco, un'attrazione. Nessuno gli dava troppa fiducia e nessun produttore/inventore tendeva a spenderci troppo. Ma grazie a un nuovo tipo di proiezione, che permetteva a più persone, in una grande sala di vedere la stessa cosa, invece di proiezioni singole, gli introiti iniziavano a crescere e il business a trovare persone interessate.
Tuttavia la "distribuzione" cinematografica funzionava ancora in maniera assai complicata e ottusa, se paragonata, non dico ai tempi nostri, ma anche solo a qualche anno dopo. I produttori vendevano le copie delle loro pellicole direttamente ai gestori di sale e teatri (o a volte di magazzini affittati per creare una piccola sala momentanea) e questi, dato che il prezzo delle pellicole era piuttosto alto e siccome non c'era una quantità tale da permettere una certa varietà, dovevano mostrare e rimostrare lo stesso film.
Nel 1905, con l'espansione dell'industria, le cose tendono a cambiare. Serve una struttura, una produzione che riesca a soddisfare la crescente domanda e delle sale vere e proprie adibite al cinema, non improvvisate. Questo portò a cambiare lo stesso cinema, come media. Nacquero così film di maggiore durata, ogni scena veniva composta da più inquadrature, la narrazione diventava più comprensibile e le storie più complicate. Forse in nessun altro periodo della storia del cinema si è assistito ad altrettanti cambiamenti nelle caratteristiche formali e stilistiche di questo mezzo.

*L'America invasa.
Il re indiscusso del cinema in America era Thomas Alva Edison, l'inventore di qualsiasi cosa. Dal caratterino difficile, tendeva a fare causa a chiunque provasse a cimentarsi con il cinema, ad usare una sua invenzione o addirittura a inventare una variazione sul suo modello. Per questo ed altri motivi, l'industria americana era rimasta un pò indietro ed inoltre tendeva a produrre solo per il mercato interno, e quindi a non esportare.
Se in quel periodo avreste voluto andare al cinema lo avreste trovavato infestato di film europei. A dominare il mercato erano principalmente tre nazioni: la Francia, con i due colossi Gaumont e Pathè, capaci di produrre già prodotti di tutti i generi (documentari, trucchi, storici) e di aprire nuovi teatri di posa negli Stati Uniti, in Italia e in Russia; l'Italia con la Cines, specializzata in film d'arte e in comiche; la Danimarca con la Nordisk.
Sembra strano pensarlo, oggi con una Hollywood così dominante, ma allora l'America stava alla finestra. Dopotutto non era la principale potenza economica quale è oggi e quale sarà da dopo il primo conflitto mondiale in poi, quando tutte le industrie europee dovettero vedersela con le conseguenze di una guerra combattuta sul proprio terreno. Coincidenza vuole che proprio nel periodo pre 1914, i produttori, distributori e gestori delle sale americane tentatorono di dare un pò di stabilità alla confusa situazione dell'industria cinematografica.

Prima di tutto si aumentò il numero delle sale. Tra il 1905 e il 1907 ci fu un aumento esponenziale nella creazione dei così detti nickelodeon. Questi ex magazzini potevano contenere fino a 200 persone e il prezzo era di un nichelino (da qui il nome) o un decino se lo spettacolo durava di più della media. La maggior parte dei nickelodeon aveva un solo proiettore. Durante i cambi di rullo, un cantante intratteneva gli spettatori, accompagnato dalla proiezione di lanterne magiche. In questo periodo il cinema attecchì per tre principali ragioni; -il prezzo abbastanza basso, soprattutto se paragonato al teatro, permetteva a molti immigrati e ai ceti meno abbienti di concedersi una serata fuori. -l'aumento di disponibilità con la creazione appunto di più sale. -le compagnie si dedicarono ai film narrativi abbandonando i documentari di attualità. Ma soprattutto i produttori iniziarono a noleggiare le pellicole piuttosto che venderlo portando così beneficio sia a loro stessi che agli esercenti che in questo modo potevano proiettare più film diversi nell'arco della settimana senza dover più ammortizzare il costo della pellicola, facendo si che gli spettatori venissero più spesso.
I nickelodeon vennero piazzati in posti strategici, vicino a uffici e fabbriche, di modo che la gente potesse recarvici facilmente, magari durante la pausa pranzo. Sebbene gli spettacoli ambulanti e le sale di varietà continuassero a proiettare pellicole, i nickelodeon presero il sopravvento intorno al 1908. Di conseguenza si richiedevano sempre più film ai distributori o ai film exchanges. Un solo nickelodeon con un programma di tre film che cambiava tre volte la settimana, noleggiava 450 titoli all'anno. Un numero esorbitante e a beneficiarne erano i Gaumont, i Pathè e gli Hepworth, che grazie alla fame americana si espandevano sempre di più.
E gli americani? I futuri dominatori del mercato stavano mettendo soldi da parte ma erano tutti già ben inseriti, grazie proprio ai nickelodeon. I fratelli Warner iniziarono come proprietari di un paio, Carl Laemmle, il futuro fondatore della Universal, aprì il suo primo a Chicago nel 1906, Louis B. Mayer ne gestiva uno piccolo a Haverhill, nel Massachussets, idem per i vari Adolph Zuckor (futuro capo Paramount), Marcus Loew e William Fox. 

*I primi scontri, i primi rallentamenti.
I nickelodeon fruttano bene e il cinema si scopre essere una fonte redditizia di pecunia, allora ecco che qualcuno non ci sta e tende a escludere le piccole compagnie dalla grande e nuova torta. Come avevo già detto la Edison, come compagnia, aveva citato in giudizio in giudizio tutti coloro i quali avevano infranto, a detta loro, la legge sul diritto d'autore. Edison rivendicava il possesso dei brevetti basilari su cineprese, proiettori e pellicole. Alcune compagnie, come la Vitagraph, pagarono alla Edison una tassa pur di continuare a lavorare. La American Mutoscope & Biograph (AM&B) invece si rifiutò dimostrando che la sua macchina aveva un meccanismo diverso e brevetti che non avevano nulla a che fare con quelli di Edison.
Si creò così un duopolio. Si poteva scegliere, per continuare a lavorare, se pagare la tassa alla Edison o alla AM&B. Questa guerra tra le due maggiori compagnie si protrasse per diversi anni, passando da una causa all'altra, da un'accusa all'altra. Chi ne pagava le conseguenze erano i distributori e la produzione generale, fortemente rallentata.
Per fortuna nel 1908 tutto si risolvè. Le due compagnie si fusero in una sola grande, detentrice di tutti i brevetti e a cui chiunque doveva pagare una tassa, ovvero la Motion Picture Patents Company (MPPC), di cui facevano parte anche la Vitagraph, la Selig, Essanay, Lubin e Kalem. Inoltre venne fatto un accordo ti tipo nazionalista. Fortemente limitato l'ingresso di pellicole straniere, a parte Gaumont e Pathè con cui si era fatto un importante accordo economico. Nordisk e Cines vennero escluso così come tante altre. L'attacco venne fatto inoltre anche a tutte le piccole compagnie americane che non volevano entrare nella MPPC. o con noi o con nessuno.
In più ogni cinema doveva pagare una tassa per mostrare i loro film, i quali costavano di più, nei primi giorni e via via meno col passare del tempo. Gli esercenti che non volevano pagare la tassa e erano quindi privi di licenza venivano chiamati ribelli e si servivano da quelle piccole case bistrattate, ovvero gli indipendenti. Il primo grande attacco alla MPPC venne dato da Carl Laemmle che nel 1909 fondò la IMP (Indipendent Motion Picture, poi Universal) e dopo di essa ne nacquero molte altre nel paese.
Grazie a nuovi brevetti e nuovi progetti, gli indipendenti avevano adesso piena libertà di usare diverse macchine da presa senza dover pagare tasse a nessuno. La MPPC subì un duro colpo e nel 1912 ne subì uno ancora più forte quando il governo intentò un processo contro di essa in quanto si configurava come un trust e la sentenza di condanna venne emessa nel 1915. Il monopolio fù distrutto ma questo diede vita a un oligopolio dove, ancora una volta, i piccoli indipendenti trovavano poco spazio.

*Il cinema si trasforma.
Accusato di essere un luogo pericoloso che travia i giovani con film come fulgidi esempi di induzione alla prostituzione e al furto, tanto che il sindaco di New York nel 1908 fece chiudere tutti i nickelodeon, il cinema doveva darsi una controllatina e rifarsi il look, sia come luogo fisico che come media. Innanzitutto venne creato il Board of Censorship, un ente atto a controllare la moralità di ogni pellicola, in secondo luogo i cinemavennero modernizzati e resi più comfortevoli, alzando il prezzo a 25 cent. sconfortando così l'entrata ai più poveri, ovvero quelle classi più influenzabili e tendenti al furto e alla criminalità.
Inoltre, con storie più corrette e con una giusta morale da appioppare alla fine, i film divennero più lunghi e per la prima volta si andò oltre il rullo di durata (un'ora circa). Siccome la MPPC vietava la proiezioni di più rulli, i film venivano divisi in uscite di due o a volte tre settimane, creando così i primi sequels della storia.
Un altro cambiamento avvenne con la nascita dello star system. Tutti conoscevano i nomi delle grandi compagnie e vedendo il loro logo si poteva già capire cosa ci si poteva aspettare, ma nessuno conosceva i registi e gli attori. I secondi non erano ancora inquadrati da vicino e in più i produttori avevano paura che mettendo i loro nomi sui manifesti, sarebbero diventati famosi e quindi avrebbero chiesto più soldi. Tuttavia i fans incominciarono a affezzionarsi a certi volti e ben presto le compagnie cavalcarono l'onda, facendo contratti più lunghi con gli attori che tiravano di più, vendendo foto con autografi dei nuovi divi e creando nel 1911 la prima fanzine, The Motion Picture Story Magazine.
L'ultimo passaggio che porta il cinema vicino a quello che conosciamo oggi è l'approdo a Hollywood. Si perchè tutto era nato sulla costa opposta, nel New Jersey e a New York, ma siccome d'inverno fa freddo e piove spesso, il cattivo tempo insomma bloccava spesso i lavori, si decise di trasferirsi in una zona più calda e con un meteo più agevole. Fu scelta così la California.

Film più lunghi, trame più arzigogolate, messaggi da impartire, tutte cose che richiedevano un nuovo linguaggio. Nel 1905 nacquerò le prime didascalie, che fornivano qualche dialogo ai protagonisti e che fungevano da spiegazione in scene piuttosto complicate. In seguito si lavorò sulla continuità narrativa con la creazioni di diversi tipi di montaggio. Prima un film iniziava e finiva in poche scene e soprattutto in ordine cronologico, senza poi saltare da un luogo all'altro della storia. Adesso bisognava inventarsi qualcosa di meglio. Con il montaggio alternato si riusciva a raccontare una storia in maniera comprensibile, saltando da un luogo all'altro nella stessa o quasi unità di tempo. Con il montaggio analitico invece si suddivideva uno spazio unico in inquadrature diverse, per esempio, frammentando inquadrature più a largo raggio con alcune che andavano sui particolari. Infine il montaggio contiguo permetteva allo spettatore di legare due scene staccate tra loro da un taglio. Se un personaggio usciva correndo alla destra dello schermo, era lecito aspettarselo tornare dalla parte sinistra nella scena successiva. Piano piano con regole e codici, si stava istruendo il pubblico, che ovviamente all'inizo faceva molta fatica, mentr per noi sembrano cose così semplici.
Dopodichè venne il momento del colore, o meglio, del viraggio chimico, che colorava l'intero fotogramma anche qui seguendo un codice molto specifico (blu era per le scene esterne di notte, il giallo per le scene notturne ma in casa, il verde per i paesaggi etc...), il miglioramento delle scenografie e dell'illuminazione delle scene e soprattutto l'avvicinamento e la maggiore mobilità delle macchine da presa.
Tutte queste nuove regole permisero di creare un linguaggio universale del cinema comprensibile ad ogni latitudine, rendendo i film molto più esportabili.

*La guerra e il sorpasso.
Il 1913 fu un anno tra i più floridi per l'industria cinematografica europea. Uscirono a distanza di pochi mesi i capolavori: L'enfant de Paris di Perret, Die Landstrasse di von Woringen, Lo studente di Praga di Rye, Atlantis di Blom, Ingeborg Holm di Sjostrom e Cabiria di Pastrone. Ma con l'inizio della prima guerra mondiale il grande momento si interruppe di colpo lasciando campo libero agli americani, sulla rampa di lancio.
Intorno ai primi anni dieci, alcune compagnie americani provarono a buttarsi nel mercato europeo creando uffici di distribuzione a Parigi e a Londra. In inghilterra il 60-70% dei film importati erano di nazionalità americani e percentuali minori ma di una certa rilevanza si registravano in Germania, Australia a Nuova Zelanda, segno che anche senza la guerra, l'america stava piano piano rosicchiando il mercato internazionale.
Questa posizione di supremazia, conquistata per fortuna e per merito, venne consolidata grazie a una specifica pianificazione produttiva, per cui il budget di ogni film veniva stabilito in base alle aspettative di guadagno su di esso e fu mantenuta anche dopo la fine del conflitto mondiale. Con l'apertura al mercato internazionale, i budget crebbero sensibilmente. Mentre in patria si cercava di guadagnare in modo da rientrare nei costi, all'estero si vendevano poi le pellicole a prezzo molto basso così da battere la concorrenza. Gli altri paesi, con budget molti minori, incontrarono molte difficoltà nel competere con tali sontuose produzioni; e d'altra parte era quasi sempre più economico compare i film che finanziare produzioni proprie.

*La nascita degli studios.
L'evoluzione verso lo studio system hollywoodiano spesso cominciò con la fusione di due o più piccole case di produzione o distribuzione. Carl Laemmle nel 1912 contribuì a fondare la Universal Film Manifacturing Company, una casa di distribuzione che avrebbe dovuto far circolare i film prodotti dalla sua IMP Company. L'anno successivo acquisì il controllo della società e dopo due anni riuscì a costruire uno studio a nord di Hollywood, l'Universal city, un complesso ancora esistente, e soprattutto, a dispetto dell'idea di tutti gli altri capoccia, rese gli studios visitabili dal pubblico. In questo modo la Universal adottava un modulo di concentrazione verticale, unendo in un'unica società produzione e distribuzione. Si specializzò in western, melodrammi e serials non troppo costosi.
Nonostante Laemmle fosse un innovatore per i suoi tempi non dimostrò il coraggio dei suoi colleghi. Non voleva rischiare di spendere troppo e soprattutto produceva lui tutti i suoi film, senza dover chiedere soldi a terzi e quindi andare in debito.
Nello stesso 1912 Adolph Zuckor ottenne un grande successo importando e distribuendo La reine Elisabeth, film francese con la grande attrice Sarah Bernhardt. Successivamente Zuckor diede il via alla Famous Players in Famous Play per sfruttare le possibilità dello studio system e adattare prestigiose opere letterarie. Il passoo decisivo però fu quello fatto da W.W. Hodkinson che nel 1914 riunì undici scietà di distribuzione locale nella Paramount, il primo distributore nazionale di lungometraggi. Quindi si, in effetti la Paramount avrebbe 98 anni, ma lasciamoli festeggiare.
Nello stesso periodo nasce la Jesse L. Lasky feature Play Company specializzata nella produzione dei film del regista Cecil B. DeMille. Nel 1916 la società viene assorbita dalla Paramount con il suo nuovo capo, Zuckor. Questo era un altro passo verso quella concentrazione verticale di tante piccole compagnie. In poco tempo la Paramount divenne una potenza con sotto contratto le maggiori star del muto come Gloria Swanson, Mary Pickford, Douglas Fairbanks e David Wark Griffith.
Non solo Universal e Paramount. Nello stesso periodo nascono; nel 1913 la Warner Bros. che rimase comunque una piccola compagnia fino agli anni 20; nel 1914 la Fox; nel 1914 la Metro e nel 1917 la Goldwyn e la Mayer che insieme creeranno nel 1925 la MGM.

La Paramount aveva il predominio sull'intera industria. Non solo era la maggiore forza produttiva con più di 100 film all'anno realizzati, ma imponeva addirittura agli esercenti di compare dei pacchetti da mostrare nei cinema. Insomma era una proiezione obbligatoria che portava verso un monopolio dove per le altre compagnie era molto difficile inserirsi e mostrare le proprie creature. Per tutta risposta nel 1917 nacque la First National Exhibitors Circuit, formata da un gruppo di esercenti che si impegnavano a finanziare e distribuire le pellicole degli indipendenti.
Zuckor rispose acuistando e costruendo sale direttamente legate alla Paramount alimentando così la struttura piramidale della compagnia. Questo collaudato e micidiale piano industriale fu essenziale per l'espansionismo internazionale del sistema hollywoodiano. Nessun'altra società cinematografico mondiale poteva stare al loro passo, guerra o non guerra (anche se la Pathè forse ci sarebbe riuscita).
Il sistema degli studios è stato spesso paragonato alle fabbriche in quanto pensato per sfornare film in serie, come in una catena di montaggio. Questo è vero solo in parte, perchè ogni film era diverso dall'altro. Inoltre dal 1914 gli studios avevano sviluppato un sistema che differenziava il ruolo del regista e quello del produttore. E non solo, la lavorazione di un film era sempre più divisa tra diversi specialisti; gli scrittori, tra cui i dialoghisti; gli scenografi; i tecnici per l'illuminazione etc... Nessun'altro paese poteva vantare un simile apparato produttivo e un tale avanzamento tecnologico.

*Il cinema degli studios; registi, star e generi.
Le cifre del "bisiniss" dallo studio system in poi sono impressionanti: tra il 1922 e il 1930 la somma totale dei capitali investiti nell'industria cinematografica balzò da 78 a 850 milioni di dollari; la frequenza media settimanale nelle sale cinematografiche americane raddoppiò da 40 a 80 milioni; l'esportazione all'estero aumentò a livelli vertiginosi fino a metà anni 20 quando subì un leggero rallentamento causato dalla saturazione dei mercati. Ma torniamo di qualche anno indietro.
La Paramount guidava ancora le file ed era proprietaria di 1210 sale solo nel Nord America, tanto da divenire oggetto di diverse inchieste antitrust. Le piccole sale di provincia o non convenzionate o addirittura di proprietà con le grandi case, dovevano aspettare diverso tempo prima di poter mostrare i nuovi film. Per poter controllare anche queste sale, le società ricorsero a un sistema di block booking, ovvero, se volevano un film di successo, erano obbligato a compare anche altri film minori. In questo modo venivano costretti a comprare in anticipo l'intera programmazione annuale.
Ora la fetta del mercato era divisa tra le tre grandi sorelle (Paramount, MGM, Fist National) e piccole sorelle (Universal, Fox, Warner Bros., Producers Distributing Corporation e Film Booking Office) e totalmente separata da esse la United Artist appena nata e fondata da Pickford-Chaplin-Fairbanks-Griffith che si limitava a produrre e distribuire i film dei propri artisti/fondatori.
La Universal continuava nella sua politica di spese contenute producendo film diretti alle sale più piccole degli Stati Uniti. Ciononostante aveva tra le sue file alcuni tra i migliori artisti, tra i quali John Ford, Eric von Stroheim, Lon Chaney e il giovane produttore esecutivo Irving Thalberg, ma tutti erano destinati a lasciarla, perchè attirati da contratti ben più onerosi offerti dalle altre compagnie.

In contrapposizione a questa politica sorgevano i primi colossi del cinema. Primo esempio lampante è rappresentato da I quattro cavalieri dell'apocalisse della Metro e con protagonista Rodolfo Valentino (poi acuistato dalla Paramount per Lo sceicco). Il fiore all'occhiello della Paramount era il regista già acclamato, Cecil B. DeMille, con a disposizione budget infiniti. I suoi film furono accusati di essere l'emblema della Hollywood peccaminosa, e quindi dovette confezionare meodrammi con soggetti religiosi come I dieci comandamenti o Il re dei re.
Eric von Stroheim, già assistente di Griffith negli anni dieci, era il corrispettivo di DeMille alla Universal. Film costosissimi e scabrosi, come Femmine folli e Mariti ciechi gli portarono grande fama ma allo stesso tempo fecero sudare freddo il parsimonioso Laemmle (il primo film venne pubblicizzato come la prima pellicola ad essere costata un milione di dollari).

I generi minori diventano rispettabili. I cappa e spada con Douglas Fairbanks, i western di John Ford (che abbandonerà poi il genere fino al 1939), gli horror della Universal, i film dedicati ai ganster e alle gang crminali, riscontravano molto successo tra il pubblico. Questo cinema fuori dagli schemi non veniva scartato a priori da Hollywood, a patto però che riuscisse a ottenere dei profitti. Gli studios dimostrarono una certa disponibilità alla sperimentazione chiamando importanti registi stranieri: ma se alcuni ebbero successo, molti riuscirono a dirigere solo pochi film in America.
"Tutti" i Paramount-iani in posa
I pionieri furono l'inglese Chaplin e il francese Maurice Tourneur (papà di Jacques), e questo scatenò la corsa degli studios alla scoperta di sorprese dall'Europa. La Warner Bros. riuscì a sfilare il maestro della commedia, Ernst Lubitsch, alla United Artist, la Universal si accaparrò i servigi di Paul Leni (Il castello degli spettri, L'uomo che ride) e Paul Fejos (L'ultimo istante, Primo amore), la Fox invece aveva tra le sue file il migliore del mazzo, Fredrich Willem Murnau, che nel 1927 diresse Aurora, per anni identificato come il più bel film di tutta la storia del cinema.

Mi fermo qui per non andare troppo oltre e il resto, come si suol dire, è storia. Se volete sentirne qualcuna bella sul passaggio dal muto al sonoro, vi consiglio di rileggervi la puntata 20 dove ritroverete molti dei nomi citati qui.
Vale la pena spendere le ultime due parole sulle tante pellicole prodotte dalla Universal e dalla Paramount nel corso del loro secolo, e su quelle a cui sono più affezzionato. Ogni volta che penso alla Paramount non riesco a non immaginare l'inizio de Il Padrino, è un riflesso incondizionato, o addirittura al logo riadattato per l'inizio de Il principe cerca moglie. Senza poi dimenicare la famosa entrata, i cancelloni con la scritta a lettere cubitali che introducono negli sterminati studios hollywooodiani.
Della Universal  invece ho ricordi più "nuovi". Non essendo molto appassionato di horror, non la ricordo principalmente per i mostri (anche se la ringrazio per Il mostro della laguna) ma di certo la ricordo con affetto per le commedie e i classici anni 80-90, come ET, Jurassic Park, Animal House o i mitici Gli uccelli, Il buio oltre la siepe e tanti altri.
Grazie per tutto il tempo passato assieme e auguro ancora una lunga linghissima vita, a voi, a Hollywood e al cinema!




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Nella prossima puntata mi toglierò uno sfizio personale. Pochi giorni fa ha compiuto 58 anni, vanta la saga cinematografica con più capitoli in assoluto (e è tuttora attiva, aspettando il numero 29), ha accompagnato e terroizzato diverse generazioni di spettatori giapponesi e non solo; sto parlando di Gojira, il re dei mostri.

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