A dispetto di quanto lasci pensare il
gran numero di pellicole sull'argomento, i viaggi del tempo sono una
materia difficile da trattare al cinema. Sia che li si affronti con
fare scanzonato come in Ritorno al Futuro che con toni più seriosi,
come in Terminator, il rischio di incombere in paradossi e incoerenze
assortite è sempre altissimo, ma ancor più alto è il rischio di
scontentare il saputello in sala con il ditino pronto ad alzarsi alla
benché minima sensazione di buchi di sceneggiatura.
Il plot di Looper è molto semplice:
nel 2074 verrà scoperto e immediatamente dichiarato fuorilegge il
viaggio del tempo; tuttavia, le associazioni criminali troveranno il
modo di utilizzarlo per compiere omicidi altrimenti impossibilitati
dai moderni strumenti di indagine, mandando indietro di 30 anni la
vittima che sarà giustiziata da killer detti Looper, così chiamati
perché, dopo un certo numero di omicidi si vedono recapitare il
proprio io dal futuro insieme a una cospicua quantità di lingotti
d'oro per vivere 30 anni da nababbi. Qualcosa va storto quando Joe
lascia scappare il suo doppio invecchiato, intenzionato a uccidere il
bambino che da grande diventerà lo spietato boss Rainmaker.
Il regista e sceneggiatore Rian
Johnson, già autore del drammatico Brick e del caper movie inedito
in italia The Brothers Bloom sapeva che, perché il giocattolo funzionasse a dovere, era fondamentale che almeno un paio di componenti
fossero oliati alla perfezione: innanzitutto, le “ristrettezze
economiche” imposte dal budget di produzione (30 milioni di
dollari) non permettevano lo sfoggio di sfarzosi effetti speciali.
Inevitabile dunque la scelta di ambientare quasi per intero il film
nel “presente”, un 2044 sporco, distopico, dove il divario tra
ricchezza e povertà è netto e c'è giusto qualche
elemento, una moto avveniristica o un nuovo grattacielo qua e là, a
suggerirci la distanza con i nostri tempi.
In tale contesto, Johnson ha la
saggezza di realizzare un film d'azione ben ritmato e coinvolgente
che fa il verso alla grande fantascienza, quella intelligente, che
sapeva porre quesiti morali sulla realtà umana e che è andata
diluendosi nel mare magnum di pellicole tutte identiche che si
fregiano, senza criterio né rispetto, dell'appartenenza a un genere
così nobile, mettendo in mostra mirabolanti e trasbordanti sequenze
in computer grafica totalmente prive di contenuto. L'autore zittisce i sapientoni citati in apertura
tramite un suggestivo espediente narrativo, che garantisce la persistenza della sospensione dell'incredulità, e sposta il focus della
vicenda su questioni come il libero arbitrio e la possibilità di
forgiare il proprio futuro senza condizionamenti o ancora sul fatto
che gli intenti più nobili, mossi dai sentimenti più genuini e
positivi come l'amore, possano tradursi in reiterate mostruosità.
Semmai vanno denunciate una certa freddezza di Nolaniana memoria,
quella mancanza di trasporto e di empatia con cui il tutto viene
gestito, e un didascalismo fin troppo evidente, che raggiunge il picco in una sequenza al tavolino di un bar che doveva essere una scena madre
e che invece si risolve in uno spiegone lento e prolisso che fa
precipitare il ritmo.
Non per colpa dei due attori
protagonisti, sia chiaro: l'ottimo casting, altro elemento che doveva
funzionare alla perfezione, è frutto della scelta della produzione
di non mirare alla somiglianza somatica quanto piuttosto di
costruirne una, reclutando due grandi attori e servendosi delle
moderne tecniche di trucco prostetico. Joseph Gordon Levitt
interpreta il Bruce Willis cinematografico, quello che abbiamo
imparato ad amare in anni e anni di onorata carriera, senza
scimmiottarlo ma mettendoci anche del proprio e rispolverando la
serafica indifferenza caratteristica del personaggio interpretato in
Inception. Buonissimi anche gli interpreti dei personaggi di
contorno, in primis un trasandato e cattivissimo Jeff Daniels e il
piccolo inquietante Pierce Gagnon, già visto nel remake de La Città
verrà disturtta all'alba.
Looper è un film divertente e ben
orchestrato, per merito di una regia certosina, di una sceneggiatura
intelligente, che ha il coraggio di osare e che tratteggia personaggi
ambigui e privi di scrupoli, e di un cast in stato di grazia. Una
pellicola, basata su un'idea semplice, ben lontana dalla faciloneria
della fantascienza odierna, che non lascia spazio allo sfruttamento
seriale essendo perfettamente autoconclusiva, ma che soffre di
momenti didascalici troppo consistenti per essere trascurabili, e
che aveva fortemente bisogno di essere realizzata leggermente più di
pancia che di testa. Senza dubbio sentiremo ancora parlare di Rian
Johnson, un autore che ha dimostrato ampiamente di avere il talento e
la poliedricità necessarie per sfondare.
Non vedo l'ora di vederlo. Da quando ho letto che l'idea è frutto di pomeriggi passati a leggere Philip Dick, m'è salito un certo hype.
RispondiElimina