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mercoledì 10 aprile 2013

Come un tuono di Derek Cianfrance

Nelle sale dal 4 aprile

Luke “Il Bello” Glanton (Ryan Gosling) è uno spericolato pilota di motociclette, insieme ad un parco di divertimenti itinerante si sposta di città in città per eseguire il suo numero migliore, la sfera della morte. Durante una delle soste a Schenectady (“il posto dietro la pianura dei pini” in lingua Mohawk) nello stato di New York, si imbatte nella sua vecchia fiamma Romina (Eva Mendes) e scopre che la ragazza ha avuto un figlio da lui, così di punto in bianco molla tutto e si stabilisce in città per adempiere ai suoi doveri paterni, e visto che le motociclette sono tutta la sua vita, decide di usare il suo talento unico per svaligiare banche, mettendo in moto un'imprevedibile catena di eventi.
E' difficile parlare in modo approfondito di Come un tuono, perché bisogna stare ben attenti a non rivelare qualche dettaglio di troppo con il rischio di rovinare alcuni dei momenti più gustosi del film. Dei passaggi chiave in cui la storia accelera bruscamente e poi infila una curva a gomito, cambiando le carte in tavola e lasciando lo spettatore intontito per qualche secondo.
La tentazione sarebbe quella di definirlo un film a episodi, e infatti qualcuno lo ha anche accostato alle pellicole di Inarritu, ma nonostante queste fratture così nette tra un blocco narrativo e l'altro, si avverte sempre un forte senso di continuità. Non solo nello sviluppo narrativo, che anzi procede sempre in modo piuttosto lineare, ma anche nei toni e nella messa in scena, che danno alle tre sotto-trame un aspetto quasi speculare, e all'intero film un andamento circolare, un po' come nella sfera della morte in cui corre Ryan Gosling, una gabbia dove i corpi o le vite si sfiorano a velocità pazzesca.

venerdì 30 novembre 2012

Holy Motors di Leos Carax

Proiettato al Torino Film Festival 
Ma anche a Locarno qualche mese fa, e ancora prima a Cannes da cui, secondo molti recensori, sarebbe uscito come vincitore morale. Apprezzatissimo dalla critica americana, e infatti subito acquistato per una futura distribuzione, ed eletto miglior film dell'anno dai Cahiers du Cinema.
Holy Motors è il ritorno dietro la macchina da presa ( di quelle enormi, a cui serve ancora un bel “motore, ciak, azione!”) di Leos Carax che dopo Pola X, il suo ultimo lungometraggio, si era preso una pausa di ben 13 anni, interrotta soltanto dalla regia di uno degli episodi di Tokyo, film a sei mani realizzato insieme a Michel Gondry e Bong Joon-ho.
E proprio Carax è il protagonista della primissima scena del film: un uomo si sveglia in una camera da letto, si avvicina ad una parete ed apre una porta nascosta (la quarta parete ? una selva oscura ?), con un dito che è anche una chiave. La porta si spalanca su una sala cinematografica, una folla siede immobile e con gli occhi chiusi davanti ad uno schermo su cui scorrono immagini ottenute con il cronofotografo di Etienne-Jules Marey, fotografia in movimento, la prima forma di cinema.
Dopodiché fa la sua apparizione Monsieur Oscar (Denis Levant, attore feticcio di Carax e suo alter ego sullo schermo, il vero nome di Carax è infatti Alex Oscar Dupont), all'apparenza un ricco e cinico banchiere. All'apparenza perché appena sale sulla sua limousine bianca (alzi la mano chi ha pensato a Cosmopolis) e inizia a chiacchierare con la sua autista Celine (Edith Scob, protagonista dello stupendo Occhi senza volto di George Franju, a cui è dedicato uno dei tanti omaggi cinematografici del film) capiamo che quello del banchiere è solo uno dei tanti ruoli che Oscar è chiamato ad interpretare. Inizia quindi un'altra giornata di lavoro, e Oscar dovrà attraversare Parigi per vestire di volta in volta i panni di una vecchia mendicante, un attore di scene in motion capture, un musicista, un assassino o Monsieur Merde, lo stesso personaggio che interpretava in Tokyo.
E' difficile parlare di Holy Motors, perché è un film proteiforme e sfuggente come il suo protagonista, un uomo, forse un attore, che trascorre le sue giornate correndo di ruolo in ruolo, interprete per pochi istanti di storie sempre diverse, incontri fugaci, brevissimi spaccati di vita. Impossibilitato o forse incapace di fermarsi, è se stesso solo nel ventre della limousine, a contatto con Celine che forse è l'unica figura reale della sua vita, l'unica oltre al misterioso personaggio interpretato da Michel Piccoli (a cui Carax deturpa quel volto così fanciullesco con una grossa cicatrice) protagonista di un bel dialogo, anche questo fugace, in cui traspare un po' dell'Oscar sotto le maschere, interprete che ha perso la passione per un cinema fatto di macchine da presa sempre più piccole, ma che continua “per la bellezza del gesto” anche se la bellezza sta tutta nell'occhio di chi guarda. Holy Motors è un film sulla finzione e sulla recitazione, che diventa un mezzo per vivere e rivivere diverse esistenze, finché questa finzione non comincia a confondersi con la realtà, o più semplicemente finché la realtà non scompare del tutto e restano solo situazioni artificiali e personaggi fittizi, copie di copie che si incontrano in ruoli diversi sulla stessa scena.
Holy Motors è un film sul cinema e sull'amore per il cinema, anche quando tenta di decostruirlo, una corsa rocambolesca che attraverso le tante interpretazioni di Oscar ci accompagna in una decina di generi cinematografici differenti: fantascientifico, sentimentale, noir, musical (la scena di canto con la bellissima Kilye Minogue, ma anche il piano sequenza con le fisarmoniche) e comico-grottesco (la lunga scena con Monsieur Merde, forse uno dei momenti più alti dell'interpretazione di Levant, di una fisicità impressionante). E' un omaggio a un certo cinema del passato, come nei riferimenti più o meno diretti al già citato George Franju o a Rene Clair, ma è anche incredibilmente moderno e fuori dagli schemi classici, il film perfetto per risvegliare dalla catatonia gli spettatori che abbiamo visto all'inizio. Risvegliare in tutti i sensi, perché Holy Motors, grazie alla struttura episodica e al suo incredibile protagonista è anche genuinamente divertente, un film che fa sorridere di gusto e appaga lo sguardo con soluzioni visive audacissime. E poi c'è Denis Levant, volto bestiale e mimica esplosiva, capace di passare in un solo film attraverso un ventaglio ampissimo di ruoli diversi, una maschera malinconica nascosta sotto tante maschere.
Per la seconda volta in una settimana mi ritrovo a dover usare l'aggettivo "unico", ma non posso proprio farne a meno, quello di Carax come quello di Rob Zombie è un film unico, l'opera di un artista che può permettersi di giocare liberamente con il mezzo cinematografico, di sconvolgerlo e strapazzarlo a piacimento, sconvolgendo e strapazzando anche lo spettatore, per scuoterlo dal torpore di un cinema tutto uguale.