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lunedì 3 giugno 2013

Solo dio perdona di Nicolas Winding Refn

Nelle sale dal 30 maggio

Vorrei poter dire "io lo conoscevo già quando ancora non era famoso!", ma sarebbe una bugia, in realtà, come molti, ho cominciato a conoscere ed apprezzare Nicolas Winding Refn soprattutto grazie a Drive. Certo mi ci ero già avvicinato con Bronson e Valhalla Rising, ma è stata l'ultima sua fatica a far scoccare definitivamente la scintilla, il film che ha fatto innamorare praticamente tutti, a partire dal pubblico e dalla giuria del Festival di Cannes, che nel 2011 lo hanno accolto con una standing ovation per poi consacrare definitivamente l'autore con il premio per la miglior regia.
Quest'anno le cose sono andate abbastanza diversamente, dopo la proiezione di Only god forgives il pubblico si è diviso tra timidi applausi e qualche sonoro fischio, e Refn non si è portato a casa niente.
Del film se ne parla da mesi, e fino a poco prima dell'uscita era quasi circondato da un alone di leggenda, alimentato dalle dichiarazioni del regista che lo descriveva di volta in volta come un film di arti marziali ambientato a Bangkok e come un omaggio a Se sei vivo spara, spaghetti western diretto da Giulio Questi. L'unica certezza era che Refn era scappato a Bangkok, un po' come i suoi personaggi protagonisti:
Julian (Ryan Gosling) e Billy sono fratelli, americani migrati o forse fuggiti in Thailandia per gestire una palestra di Thai boxe che funge da copertura ad un vasto traffico di droga. Una notte Billy si mette sulle strade di Bangkok in cerca di compagnia femminile, e dopo aver contrattato con una prostituta minorenne la massacra senza pietà. Il padre della ragazza si presenta sul posto e lo uccide a sua volta con la complicità del capo della polizia locale (Vithaya Pansringarm), un uomo che amministra la giustizia in modo del tutto personale.
L'affronto spinge Crystal (Kristin Scott Thomas), madre di Billy e Julian, a raggiungere Bangkok per sistemare la cosa, ma le sue decisioni metteranno in moto una catena di vendette una più sanguinaria dell'altra.

mercoledì 10 aprile 2013

Come un tuono di Derek Cianfrance

Nelle sale dal 4 aprile

Luke “Il Bello” Glanton (Ryan Gosling) è uno spericolato pilota di motociclette, insieme ad un parco di divertimenti itinerante si sposta di città in città per eseguire il suo numero migliore, la sfera della morte. Durante una delle soste a Schenectady (“il posto dietro la pianura dei pini” in lingua Mohawk) nello stato di New York, si imbatte nella sua vecchia fiamma Romina (Eva Mendes) e scopre che la ragazza ha avuto un figlio da lui, così di punto in bianco molla tutto e si stabilisce in città per adempiere ai suoi doveri paterni, e visto che le motociclette sono tutta la sua vita, decide di usare il suo talento unico per svaligiare banche, mettendo in moto un'imprevedibile catena di eventi.
E' difficile parlare in modo approfondito di Come un tuono, perché bisogna stare ben attenti a non rivelare qualche dettaglio di troppo con il rischio di rovinare alcuni dei momenti più gustosi del film. Dei passaggi chiave in cui la storia accelera bruscamente e poi infila una curva a gomito, cambiando le carte in tavola e lasciando lo spettatore intontito per qualche secondo.
La tentazione sarebbe quella di definirlo un film a episodi, e infatti qualcuno lo ha anche accostato alle pellicole di Inarritu, ma nonostante queste fratture così nette tra un blocco narrativo e l'altro, si avverte sempre un forte senso di continuità. Non solo nello sviluppo narrativo, che anzi procede sempre in modo piuttosto lineare, ma anche nei toni e nella messa in scena, che danno alle tre sotto-trame un aspetto quasi speculare, e all'intero film un andamento circolare, un po' come nella sfera della morte in cui corre Ryan Gosling, una gabbia dove i corpi o le vite si sfiorano a velocità pazzesca.