Visualizzazione post con etichetta Mario Bava. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mario Bava. Mostra tutti i post

giovedì 11 aprile 2013

L'immondo profondo #13: Amer di Hélèn Cattet e Bruno Forzani

Visto che da queste parti l'ho citato spesso,  ho pensato di riciclare una mia vecchia recensione di Amer per invogliarvi ancora di più a dargli un'occhiata (ma con chi sto parlando ?). E' un film che mi aveva fatto innamorare pazzamente alla prima visione e da allora è sempre rimasto tra i miei preferiti.
Probabilmente oggi ne parlerei diversamente e scriverei un tantino meglio, magari cogliendo nuovi riferimenti che all'epoca mi erano sfuggiti, ma mi sembrava bello lasciare tutto così, riproponendovi le mie impressioni a caldo di allora. E poi altrimenti che pigro sarei ?

Stupendo già dalla locandina
Interessantissimo progetto belga-francese del 2009, purtroppo passato un pò in sordina o quasi completamente ignorato. Un film difficile da catalogare sotto tutti i punti di vista, per metà è un'esperienza esclusivamente visiva priva di un nucleo narrativo solido, per l'altra metà è un prodotto che si regge interamente sulle citazioni e sugli omaggi al cinema italiano degli anni settanta e ottanta, in particolare al filone horror e a quello "giallo".
Hélèn Cattet e Guido Forzani arrivano freschi freschi dalla realizzazione di cinque cortometraggi, e si vede. Amer(amaro) è infatti suddiviso in tre parti fin dai titoli di testa (che scorrono sullo splendido tema musicale di Cani Arrabbiati di Mario Bava), tre brevi storie unite soltanto dalla presenza della protagonista Ana, ritratta in tre differenti fasi della sua vita: l'infanzia segnata dalla morte del nonno materno, l'adolescenza con la scoperta del proprio corpo e l'esplosione della sessualità, e infine l'età adulta, quando Ana fa ritorno ai luoghi dell'infanzia, nella villa in cui era ambientato il primo segmento.

venerdì 10 agosto 2012

L'immondo profondo #9: Barbara Steele

Di lei vi ho già parlato un pò in una delle rubriche precedenti, è considerata la prima Scream Queen del cinema italiano, eppure nella sua carriera d'attrice era lei a provocare le urla di terrore delle sue vittime, che però in molti casi erano interpretate sempre da lei. I terribili occhi neri, la lunga chioma corvina e quello sguardo magnetico l'hanno resa un fenomeno di culto ma l'hanno anche relegata in un tipo di cinema che le stava stretto.
Barbara Steele nasce a Birkenhead nel Regno Unito il 29 dicembre 1937 o 1938. Da ragazza studia pittura ma nel 1958, forse proprio per la sua inconfondibile presenza fisica, si ritrova con un contratto firmato dalla Rank Organization, una società di produzione e distribuzione fondata da J. Arthur Rank proprio nel 1937, e che in pochi anni arrivò ad inglobare gran parte delle case di produzione inglesi, tra cui la Gaumont-British, e molte delle principali sale cinematografiche del paese. Dopo una rapida preparazione nella scuola di recitazione della Rank, Barbara esordisce nel 1958 con la commedia Uno straniero a Cambridge e negli anni successivi si ricava qualche particina in pochi film più o meno dimenticabili, tra cui forse spicca I 39 scalini, sorta di remake shot-by-shot di Il Club dei 39 diretto da Alfred Hitchcock nel 1935.
Rank però non è in grado di valorizzare la giovane attrice e infatti poco dopo cede il suo contratto alla 20th Century Fox. Per Barbara è un'occasione d'oro, dopo meno di due anni e qualche comparsata in pochi film è già sbarcata ad Hollywood, ma la fabbrica dei sogni delude tutte le aspettative e la giovane attrice rimane per due anni senza lavorare. Finalmente nel 1960 prende parte alle riprese di Stella di Fuoco, probabilmente il miglior tra i film in cui compare Elvis Presley, ma le delusioni non sono finite, Barbara litiga con il regista Don Siegel e abbandona il set per non fare più ritorno, la sua parte viene poi assegnata a Barbara Eden.
Destino vuole che proprio in quei giorni ad Hollywood sia in corso uno sciopero degli attori, per Barbara quindi l'unica soluzione per tornare a lavorare è rivolgersi all'estero. L'ennesima occasione le arriva proprio dall'Italia ma le premesse non potrebbero essere meno incoraggianti, un ruolo da protagonista in un horror, la proverbiale ultima spiaggia, e come se non bastasse dietro la macchina da presa c'è un esordiente, uno che fino a quel momento ha fatto solo l'aiuto regista o il direttore della fotografia, un certo Mario Bava. Il film si intitola La Maschera del Demonio e approda nelle sale nel 1960, contrariamente alle aspettative costituirà una vera e propria svolta per l'attrice, un successo ma anche una condanna, perché Barbara troverà il ruolo che la consacrerà e anche quello in cui rimarrà per sempre incagliata.
La Maschera del Demonio si ispira vagamente al racconto Il Vij di Nikolaj Gogol, e racconta la storia della contessa Asa Vajda, una nobildonna processata e condannata come strega dai suoi stessi familiari che torna in vita dopo due secoli per vendicarsi sui suoi discendenti. La Steele, costantemente sullo schermo, compare addirittura in un doppio ruolo, quello della strega Asa e quello della sua pronipote Katia, la fluente chioma corvina, la carnagione pallida, e il suo sguardo penetrante diventano un marchio di fabbrica. Il film è un successo inaspettato, soprattutto all'estero, Bava ha confezionato un horror particolarmente esplicito e raffinato, il primo vero esponente del gotico all'italiana, un genere che godrà di moltissima fortuna negli anni successivi, anche grazie alle interpretazioni della stessa Steele, quasi sempre nelle vesti della strega in cerca di vendetta. Il suo stile piace così tanto che persino Roger Corman la affianca a Vincent Price per il primo dei suoi film ispirati ai racconti di Edgar Allan Poe, Il pozzo e il pendolo del 1962. Si racconta che durante le riprese dell'ultima scena Price la afferrò per il collo così forte da ferirla gravemente.

venerdì 3 agosto 2012

L'immondo Profondo #8: Dan O'Bannon Parte 2

Dove eravamo rimasti ? Ah giusto, Dark Star trova un distributore, Carpenter si prende tutto il merito del progetto e O'Bannon rimane con un pugno di mosche. Dopo aver smaltito l'incazzatura però l'artista non rimane con le mani in mano e inizia subito a lavorare su una nuova sceneggiatura, e ancora una volta sceglie un soggetto fantascientifico.
Mi piace pensare che la decisione non sia casuale, forse O'Bannon ha ancora in mente l'idea originale alla base di Dark Star, ovvero quella storia fantascientifica a cui aveva lavorato con John Carpenter e che con il tempo si è trasformata in una parodia a basso budget. O forse, e questa è la possibilità più intrigante, sta cercando di rifarsi della delusione economica e personale di Dark Star; tirando fuori una sceneggiatura geniale dimostrerà agli altri e a se stesso di non avere niente da invidiare a Carpenter, e soprattutto attraverso il suo talento potrà provare che Dark Star è anche farina del suo sacco. Insomma il giocanotto vuole soddisfazione, e si può dire che in un certo senso se la sia presa, perché come vi ho anticipato nella prima parte lo script in questione è quello di Alien di Ridley Scott. Il ragazzo che in Dark Star aveva creato un alieno con un pallone da spiaggia e un po' di vernice è lo stesso che ha contrinuito a creare una delle creature più celebri dell'immaginario horror.
Dan O'bannon e Hans Ruedi Giger
Contribuito perché come sicuramente saprete il design del terribile xenomorfo è stato ideato da Hans Ruedi Giger ma Dan O'Bannon ci ha comunque messo lo zampino. Secondo quanto racconta in varie interviste fu infatti lui a proporre alla Fox di affidare il lavoro all'artista svizzero, la casa di produzione però non prese la cosa troppo seriamente e così O'Bannon fu costretto a contattarlo personamente e a pagarlo di tasca propria per realizzare dei disegni dimostrativi per il design dell'alieno. Sempre secondo le sue dichiarazioni, qualche tempo dopo ricevette una telefonata dalle autorità doganali dell'aeroporto di Los Angeles che lo contattavano riguardo ad una busta indirizzata a lui contenente “illustrazioni pornografiche”. La pornografia in questione erano i primi schizzi del celeberrimo facehugger, evidentemente abbastanza impressionanti da far cambiare idea alla Fox. Giger venne subito coinvolto nel progetto e visto che si dedicò immediatamente alla realizzazione dello xenomorfo fu proprio O'Bannon a rifinire il facehugger secondo le richieste di Ridley Scott.
Ma facciamo un salto indietro di 14 anni e qualche migliaio di chilometri, siamo in Italia nel 1965 e al cinema sta per uscire Terrore nello spazio (Planet of the Vampires in America), il primo e unico film fantascientifico diretto da Mario Bava. La trama si ispira vagamente al racconto breve Una notte di 21 ore di Renato Pestriniero (Bava come O'Bannon è un voracissimo lettore di racconti fantascientifici), e secondo molti ha a sua volta ispirato la sceneggiatura di Alien.
Effettivamente i punti in comune sono numerosi e abbastanza evidenti, piuttosto che elencarveli preferisco farvi un breve riassunto della trama, sperando così di mettervi un po' di curiosità:
L'artigianalissimo Terrore nello spazio
Due astronavi, la Argos e la Galyot, atterrano su un pianeta sconosciuto completamente ricoperto di nebbia (ovviamente i mezzi a disposizione del regista sono limitatissimi, ma non si scappa, la morfologia del pianeta è quella) attirate da un segnale radio indecifrabile (in Alien era una richiesta di soccorso), ma durante la discesa i membri dei due equipaggi perdono i sensi e, quando si risvegliano, iniziano ad uccidersi l'un l'altro senza motivo. L'equipaggio della Argos viene però salvato dall'intervento del capitano (Barry Sullivan) che è riuscito a rimanere cosciente durante la discesa, ma il deflettore di meteore della nave, indispensabile per viaggiare nello spazio, è andato distrutto. Così i superstiti devono raggiungere la nave gemella per recuperare pezzi di ricambio e ripartire, ma improvvisamente i soldati caduti tornano in vita e iniziano ad uccidere.
Dopo poche scene i protagonisti realizzano che i morti resuscitati sono in realtà posseduti da forme di vita aliene incorporee che possono sopravvivere solo all'interno di un ospite (anche qui è difficile non notare una grossa somiglianza, qui si tratta di entità eteree che si appropriano di un corpo, in Alien una creatura si serve di un ospite per completare la sua fase embrionale). Ad un certo punto del film scopriamo anche che questi parassiti avevano già attirato altre vittime sul pianeta, e infatti i protagonisti si imbattono in una nave aliena popolata da scheletri giganteschi che ricordano parecchio lo space jockey (per i non addetti: il gigantesco cadavere alieno che vediamo all'inizio di Alien).
Chi vi ricorda ?
Ho parlato di ispirazione ma si può tranquillamente dire che Alien sia una versione riveduta e corretta del film di Bava, un Terrore nello spazio ad alto budget con tutte le conseguenze del caso, ma queste forme di “ispirazione” sono piuttosto frequenti nel mondo del cinema, l'importante non sono tanto le idee quanto più il modo in cui queste idee vengono utilizzate, o'bannon e Scott comunque dichiararono di non aver mai visto Terrore nello spazio. Resta solo il dubbio su cosa avrebbe potuto fare uno come Mario Bava se avesse avuto gli stessi mezzi a disposizione, ma di questo magari si potrebbe parlare in una delle prossime rubriche.
Tornando a O'Bannon, con Alien arriva finalmente il colpaccio che tanto aspettava e che gli permette di diventare a tutti gli effetti uno sceneggiatore hollywoodiano, negli anni successivi collabora alla realizzazione degli altri episodi della saga degli xenomorfi, compresi i terrificanti Alien vs Predator, e tra le varie cose scrive film come Tuono Blu, Atto di forza, Screamers – Urla dallo spazio, Hemoglobin e Space Vampires.
Nel 1985 scrive e dirige il suo primo film, Il ritorno dei morti viventi, a metà tra horror e parodia romeriana. I fatti di La notte dei morti viventi sono realmente accaduti, ma Romero (anzi, “quello lì” come lo chiamano i protagonisti) ha dovuto cambiare e ridimensionare la storia dopo aver ricevuto pressioni dall'esercito. I morti viventi sono stati incapsulati e spediti in varie località, alcune delle capsule però sono andate perdute e alcune sono finite proprio nel magazzino di materiale sanitario in cui lavorano i protagonisti. Ovviamente i due liberano inavvertitamente uno dei morti viventi provocando la solita inarrestabile reazione a catena che farà risvegliare tutti gli abitanti del vicino cimitero. E qui sta l'innovazione di O'Bannon, i suoi zombie corrono (ma forse il primato spetta a quella chiavica di Fragasso o al Lenzi di Incubo sulla città contaminata, anche se in questo caso non si tratta di veri e propri zombie) non possono essere uccisi con un colpo in testa (anche ridurli in pezzi serve a poco) e sopratutto parlano, anzi, si lamentano di quanto è terribile essere morti e di quanto sia necessario mangiare cervelli per placare la loro tremenda agonia. Uno stranissimo mix di humor e dramma insomma, e secondo me questa citazione vale più di mille parole:

-Hai mai pensato a quanti modi ci sarebbero per morire in maniera violenta ? Oppure Spider, hai mai pensato a quale sarebbe la morte più atroce ?
-Ma io a morire non ci penso per niente.
-Secondo me il modo peggiore sarebbe circondata da vecchiacci, che mi mordono... mi sbranano... mi mangiano viva...
-Si, e poi ?
-Prima mi strappano i vestiti...
-Hey, portate qua le torce, Trash ci fa un altro spogliarello...

Nel 1992 fa un secondo tentativo alla regia con The Resurrected, ispirato ad un racconto di H.P. Lovecraft, ma i produttori gli tolgono il film dalle mani e lo completano con scene che lui aveva precedentemente deciso di tagliare. La cosa lo tormenterà per anni e contribuirà a peggiorare le sue condizioni fisiche e psicologiche, verrà colpito da varie infezioni intestinali che i conoscenti attribuiranno ad una grave forma di ipocondria. Dopo la sua morte, avvenuta il 17 settembre 2009, la moglie rivelerà che O'Bannon soffriva del morbo di Crohn da quasi 30 anni.