Nelle sale dal 19 settembre.
“Wong Kar Wai has turned martial arts into a modern dance, The Grandmaster, arranged with both elegance and fury, left me mesmerized.”
Martin Scorsese*.
A volte capita. A volte succede che un film di genere, esca dal suo ristretto recinto, sfondi le pareti imposte dalle definizioni da dizionario del cinema, dai pregiudizi degli spettatori e dalle stesse regole del genere cui appartiene, e si elevi a qualcos'altro. A film d'autore, a capolavoro, ad Arte, con la a maiuscola.
Non accade spesso, i generi sono per definizione di un livello più basso, di serie B, ma qualcuno ogni tanto ci riesce. Terrence Malick con il suo La sottile linea rossa, ha posto l'asticella del genere guerra, ad un livello poetico. Kubrick ha rivoluzionato la fantascienza con 2001 Odissea nello spazio. Friedkin (eh mica posso sempre citare Kubrick) e L'esorcista hanno mandato in pensione un'intera epoca dell'horror. Leone ha definitivamente ammazzato il western con (uno spaghetti western e) l'ammazza west per eccellenza, C'era una volta il West, senza citare i suoi altri. Film di genere sicuramente, ma liberatisi dalle catene, scevri da qualsiasi definizione a parte quella di capolavoro.
Anche le arti marziali hanno avuto il loro Maestro, colui che le ha portate nell'olimpo del grande Cinema, colui che le ha sdoganate e che da filmettini per movie geek da videoteca, le ha portate all'attenzione del grande pubblico. Zhang Yimou ha realizzato tre quadri, tre affreschi, tre sublimi opere d'arte che hanno polverizzato il pregiudizio legato al film di kung fu. E poi è arrivato Wong Kar-wai e The Grandmaster.
Happy together (again at last)!