Visto che l'ultimo film di Scorsese dura quanto una puntata media del podcast, abbiamo deciso di dedicare questa chiacchierata solamente a lui.
Qualche news, la posta del cuore e poi ci buttiamo subito sul colossale The Wolf of Wall Street.
AVVISO: Nell'ultima parte si è verificato un problema di connessione, durante il discorso del Monco l'audio salta un po', ma la cosa dura poco.
Buon ascolto!
[00:00:35] L'angolo del tripudio
[00:13:45] La posta del cuore
[00:28:52] Scorsese
[00:54:45] The Wolf of Wall Street
Potete
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martedì 28 gennaio 2014
domenica 26 gennaio 2014
The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese
In sala dal 23 gennaio.
"Vendimi questa penna / Sell me this pen"
Lo confesso, da piccolo il mio sogno era quello di fare il broker. Altro che pompiere, veterinario o gelataio, io volevo lavorare in borsa. I motivi erano semplici: la borsa -anzi, il Nasdaq, ero già preciso- erano a New York, avrei quindi avuto una bella casetta vicino Wall Street, e sarei stato impaccato di soldi. No non sono ebreo di origini -che cosa brutta da dire nella settimana della memoria- ma ho sempre adorato i soldi, senza mai averli, purtroppo. Quante cose avrei potuto avere: giochi, macchine, case, viaggi, per le donne era forse ancora un po' presto, almeno da quel punto di vista. Si, probabilmente avevo visto troppo volte Una poltrona per due e Ricki e Barabba. Immaginavo la vita del broker come quella del classico yuppie rampante, con la barca da 70 piedi posteggiata nel molo, i vestiti elegantissimi (ma non disdegnavo neanche quelle coloratissime dei contrattatori), le partite a golf, un mondo di divertimenti ed eccessi. Poi sono cresciuto e ho fatto il percorso inverso di qualsiasi bambino, ho trovato che quel mondo fosse noiosissimo. I numeri, i conti, stare attento ad ottenere in anteprima le informazioni sui raccolti di arance (diamine Poltrona per due!), gli studi da ragioniere. Noia, era troppo persino per quel mondo pieno di lustrini, rolex d'oro e verdoni di grosso taglio.
"Vendimi questa penna / Sell me this pen"
Lo confesso, da piccolo il mio sogno era quello di fare il broker. Altro che pompiere, veterinario o gelataio, io volevo lavorare in borsa. I motivi erano semplici: la borsa -anzi, il Nasdaq, ero già preciso- erano a New York, avrei quindi avuto una bella casetta vicino Wall Street, e sarei stato impaccato di soldi. No non sono ebreo di origini -che cosa brutta da dire nella settimana della memoria- ma ho sempre adorato i soldi, senza mai averli, purtroppo. Quante cose avrei potuto avere: giochi, macchine, case, viaggi, per le donne era forse ancora un po' presto, almeno da quel punto di vista. Si, probabilmente avevo visto troppo volte Una poltrona per due e Ricki e Barabba. Immaginavo la vita del broker come quella del classico yuppie rampante, con la barca da 70 piedi posteggiata nel molo, i vestiti elegantissimi (ma non disdegnavo neanche quelle coloratissime dei contrattatori), le partite a golf, un mondo di divertimenti ed eccessi. Poi sono cresciuto e ho fatto il percorso inverso di qualsiasi bambino, ho trovato che quel mondo fosse noiosissimo. I numeri, i conti, stare attento ad ottenere in anteprima le informazioni sui raccolti di arance (diamine Poltrona per due!), gli studi da ragioniere. Noia, era troppo persino per quel mondo pieno di lustrini, rolex d'oro e verdoni di grosso taglio.
Indagando meglio scoprii che i veri broker erano noiosi e si divertivano poco ed erano sempre impomatati, non più giovani, sempre in ipertensione, con il rischio di essere accusati di frode o di chissà quale altra magagna finanziaria in ogni momento. Forse non ero cambiato solamente io, era cambiato anche quel mondo, erano finiti gli anni 80, stava arrivando una crisi economica globale che avrebbe investito tutto e tutti.
domenica 19 maggio 2013
Il grande Gatsby di Baz Luhrmann
Nelle sale dal 15 maggio
Mi cavo subito il
dente: Baz Luhrmann non lo reggo proprio, lo trovavo estremamente
sopravvalutato già prima del disastroso Australia, e in generale ho
sempre faticato a considerarlo un buon regista, forse perché il suo
talento si manifesta quasi esclusivamente nella regia interna alla
scena, quindi nella gestione delle coreografie e in tutto ciò che
riguarda la costruzione dello sfondo, mentre il resto mi ha sempre
lasciato un po' freddino.
Non è quindi con
il migliore degli atteggiamenti che mi sono avvicinato alla sua
ultima fatica, Il grande Gatsby (in 3D!), adattamento di uno dei
grandi classici della letteratura americana, che, consciamente o
inconsciamente, asseconda il recente interesse di Hollywood nei
confronti dei grandi romanzi del passato (vengono in mente I
Miserabili e Anna Karenina).
Siamo nei ruggenti
anni '20, e l'aspirante scrittore Nick Carraway (un pessimo Tobey
Maguire) si è appena trasferito a Long Island (nella fittizia West
Egg). Accanto alla sua modesta casetta sulla spiaggia si erge la
colossale villa di Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio), giovane e
misterioso miliardario di cui tutti sanno tutto e nessuno sa niente.
Un giorno Nick viene finalmente invitato ad una delle leggendarie
feste del suo vicino di casa, e qui scopre un vecchio legame tra sua
cugina Daisy (Carey Mulligan) e Gatsby. Sarà proprio Nick a far
rincontrare i due innamorati, ma gli anni sono passati e Daisy ormai è sposata con Tom (Joel
Edgerton).
Quando si parla di
rifacimenti, che li si consideri remake o nuovi adattamenti (questo
per Gatsby è il quarto), la domanda è sempre la stessa: se ne
sentiva la necessità ? La risposta è quasi sempre no, eppure ogni
tanto capitano anche pellicole che fanno crollare qualche certezza,
come l'Anna Karenina di Joe Wright, che giustificava la sua esistenza
con una messa in scena originalissima e una regia fenomenale.
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domenica 20 gennaio 2013
Django Unchained di Quentin Tarantino
Nelle sale dal 17 gennaio
Dopo Bastardi senza gloria, credo siano rimasti pochissimi spettatori che ancora non hanno imparato a conoscere e capire il cinema di Quentin Tarantino. Amarlo certo è un altro discorso, ma è diventato sempre più raro sentire qualcuno che scambia omaggi per plagi e si indigna davanti a scambi di battute così poco convenzionali. Certo c'è ancora qualcuno che magari a fasi alterne cede e sprofonda nella poltrona, ma sono pochi e spesso non lo ammettono. Insomma con il meritatissimo successo di Bastardi senza gloria Tarantino è stato finalmente metabolizzato dal grande pubblico, quindi non perdo tempo a ricordarvi l'importanza degli spaghetti western nella sua formazione di spettatore prima e regista poi, la conoscete già, e chi ormai lo conosce sa che quando Tarantino mette le mani su un genere cinematografico, in realtà sta facendo tutt'altro; di conseguenza saprete anche che il suo omaggio agli spaghetti western lo ha già girato, disseminato lungo tutta la sua filmografia. E Django Unchained naturalmente non costituisce l'eccezione, perché del western all'italiana veste solo gli abiti, o forse nemmeno quelli.
L'irresistibile Christoph Waltz interpreta il Dottor King Shultz, che come tutte le leggende del far west ha un passato avvolto nel più fitto mistero. Immigrato tedesco, ex artista circense, ex dentista e ora temibilissimo cacciatore di taglie finito nel profondo sud a dare la caccia ai fratelli Brittle. Purtroppo non ha mai visto in faccia i ricercati in questione, così si rivolge allo schiavo Django (un Jamie Foxx che in quanto a glacialità non ha nulla da invidiare a Franco Nero) per poterli identificare. Oltre alla libertà, Schulz gli promette di aiutarlo a liberare sua moglie Broomhilda dalle grinfie del negriero Calvin Candie (un esplosivo Leonardo di Caprio). Così, riscosse le taglie, questo eroico e incazzatissimo Sigfrido parte alla volta di Candieland.
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