Una delle regole non
scritte del cinema Hollywoodiano è il “fallimento del terzo
episodio”: specie per quanto riguarda i cinecomics appare evidente
come, dopo secondi episodi eccellenti, gli autori o abbandonano la
nave, forse consapevoli di non poter dire altro sull'argomento
(Singer e Burton), oppure vengono colti da ipertrofia da personaggi
multipli (Raimi) combinando un casotto da bocciare senza appello.
Sarà per la difficoltà intrinseca (che non è la femmina dell'intrinseco) di colcludere una storia in maniera degna, sarà perchè il confronto con Il Cavaliere Oscuro era oggettivamente pesante, era in ogni caso lecito avere timori in relazione alla buona riuscita della conclusione della trilogia del Batman di Nolan.
Sarà per la difficoltà intrinseca (che non è la femmina dell'intrinseco) di colcludere una storia in maniera degna, sarà perchè il confronto con Il Cavaliere Oscuro era oggettivamente pesante, era in ogni caso lecito avere timori in relazione alla buona riuscita della conclusione della trilogia del Batman di Nolan.
Ne Il Cavaliere Oscuro –
Il Ritorno, Bruce Wayne ha ormai appeso il mantello al chiodo e si è
ritirato a vita privata: fisicamente provato da anni di scorribande e
mentalmente distrutto dalla perdita di Rachel Dawes, deambula nelle
stanze dell'ala est di Wayne Manor senza uno scopo ben preciso, senza
una nemesi da combattere o un'organizzazione criminale da ostacolare.
La tragica morte di Harvey Dent ha infatti spinto l'amministrazione
di Gotham ad approvare un decreto omonimo del defunto procuratore
distrettuale che permettesse alle forze dell'ordine della città di
eliminare in maniera definitiva il crimine organizzato.
Un furto delle sue
impronte digitali e l'apparizione di Bane, un mercenario che agisce
nei tunnel sotterranei di Gotham, convinceranno Bruce a indossare di
nuovo il costume per venire a capo di una situazione poco chiara.
Il cinema di Nolan è una
commistione di ideali, di ferrea determinazione con la quale vengono
sostenuti e di ossessioni che ne scaturiscono, nonché un cinema di
antagonismi: sulla scena sono sempre presenti due personalità
antitetiche che si nutrono reciprocamente l'uno dell'altro, quasi che
un personaggio esista solo in funzione del suo avversario, e che
finiscono per scontrarsi senza esclusione di colpi. Al rigurado, il
personaggio di Batman è apparso sin dal primo episodio perfettamente
calzante alla poetica del regista britannico ed è forse la
principale ragione per il quale la saga sia riuscita ad elevarsi dal
mero blocbkuster cinefumettistico. Detto ciò, Il Cavaliere Oscuro –
Il Ritorno è probabilmente la summa della trilogia dell'uomo
pipistrello e del cinema del buon Christopher.
Se nell'episodio
precedente il Joker più che mosso da un ideale intendeva dimostrare
il lato oscuro della natura umana al fine di fiaccare le ferree convinzioni del cavaliere oscuro, Bane è invece devoto a un credo
inconciliabile con i valori di Batman sebbene porti a conclusioni
tutto sommato simili: in tal senso, saggiamente, si rispolverano
molti elementi del primo episodio (non dico altro per non
spoilereare) mentre invece, per rispetto della morte di Heath Ledger,
si fa riferimento solamente a Harvey Dent per quanto riguarda The
Dark Knight. Sebbene sia costante la sensazione che, in seguito alla
tragica scomparsa, Nolan abbia dovuto pesantemente riscrivere la
conclusione della sua storia, la coerenza narrativa tra le tre
pellicole non viene mai meno e vedere i nodi arrivare al pettine, al
netto di un didascalismo forse un po' troppo marcato che si era già
intravisto in Inception e di un utilizzo quasi molesto dei flashback,
è comunque una gioia per gli occhi che a tratti lascia a bocca
aperta. Tuttavia, alcuni passaggi possono sembrare forzati, spesso e
volentieri Nolan ricorre all'espediente del MacGuffin per motivare le
gesta di alcuni personaggi; il piano diabolico di Bane sembra spesso
fare affidamento su una poco credibile “botta di culo” o su un
Deus Ex Machina e, come ci ha insegnato la Pixar, usare coincidenze
per tirare i protagonisti fuori dai guai significa barare.
Tante, quasi troppe le
sequenze da ricordare tra quelle che raggiungono notevoli vette di lirismo e
di epicità, ma la scena principe è senza dubbio il primo confronto
corpo a corpo tra i due avversari, minimale, scevro di fronzoli
effettistici di ogni sorta, di una fisicità che quasi rivaleggia con
quella della scena nella sauna de La Promessa dell'Assassino di David
Cronenberg. Per non parlare di un finale, anch'esso molto minimal,
giusto un campo lungo e un primo piano sottolineati da una colonna
sonora deliziosamente delicata, che se ci si è affezionati al
personaggio rischia di strappare una lacrimuccia.
Tanti sono anche i
personaggi sulla scena: all'ipertrofia del terzo episodio di cui
sopra non si sfugge, tuttavia appare evidente, come peraltro
costantemente nella saga, che esista una gerarchia ben marcata e che
i personaggi principali, in questo episodio sono 4 (Wayne, Selina
Kyle, Bane e John Blake), godano tutti del giusto spazio per
caratterizzarli al meglio, anche se questo significa metterli da
parte per larghi frangenti del film. Poco importa se poi i personaggi
secondari siano poco più che caratteri, quel che conta è che la
gestione dei protagonisti sia pressoché certosina.
E' il migliore dei 3? La
questione è strettamente soggettiva su quale sia l'episodio più
bello, quel che resta oggettivo è che stiamo parlando di una delle
migliori trilogie della storia del cinema Hollywoodiano e che
finalmente si possa parlare di una conclusione di una saga senza
dover versare bile e sentenziare bocciature. Il fuoco,
fortunatamente, è divampato.
Ogni settimana leggo una vostra recensione mentre sorseggio un Fernet Branca.
RispondiEliminaGrande Ornella! Non esagerare col fernet sennò fai la fine di Intrinseco.
RispondiEliminaTu non mi conosci... *hic*
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