Non ho una buona scusa per non aver mai approfittato del Festival di Locarno fino ad oggi, eppure la cittadina è qui a portata di mano, a meno di due ore di macchina, e nel corso degli anni mi sarà capitato di visitarla almeno una decina di volte. Forse è colpa della mia proverbiale pigrizia o forse dipende dal fatto che mi aspettavo di trovare un traffico terrificante, tanta folla e prezzi da denuncia, invece quest'anno abbiamo finalmente rotto gli indugi e ho avuto la possibilità di ricredermi.
Intanto Locarno è bella come la ricordavo, una città a misura di festival, abbastanza piccola da non farti sentire spaesato e da permetterti di raggiungere con facilità le circa dieci sale cinematografiche che ospitano le varie proiezioni. All'inizio effettivamente un po' di smarrimento lo si prova, ma poi si arriva in Piazza Grande, che ospita il gigantesco schermo per le proiezioni notturne, e ci si orienta subito, anche perché è pieno di punti informazioni, percorsi guidati e ragazzi dello staff.
Non so come sia durante il resto dell'anno ma in questi giorni (il Festival si svolge dall'1 all'11 agosto) Locarno è anche piuttosto cosmopolita, tra tedesco, francese ed inglese bisogna proprio sforzarsi per sentire qualche voce italiana, e la sensazione è piuttosto piacevole. Nulla di preoccupante comunque, non ho beccato nemmeno un cassiere che non parlasse un discreto italiano.
Visto che ho parlato di casse passiamo subito al tariffario:
Per le singole proiezioni il prezzo è di 15 Franchi, circa 12.50€, un prezzo piuttosto alto considerando che nella maggior parte dei casi si tratta di retrospettive. Per assistere alle proiezioni serali in Piazza Grande invece bisogna sborsare 32 franchi quando c'è un solo film e 42 quando ce ne sono due.
La soluzione più comoda è ovviamente il biglietto giornaliero, e con quello le cose si fanno decisamente più interessanti. Con 42 Franchi (47 se le proiezioni serali sono due) potrete accedere a tutte le proiezioni della giornata, e se come me siete studenti universitari con meno di 30 anni potrete cavarvela con circa 26€ esibendo la vostra tessera universitaria.
Visto che comunque tra benzina e biglietti qualcosina si spende, abbiamo pensato di scegliere due giorni e di farceli bastare. Per fortuna avevamo le idee abbastanza chiare e la decisione è stata relativamente indolore ma il programma di quest'anno era comunque molto sfizioso: oltre ai film in concorso infatti si poteva scegliere tra una ricchissima retrospettiva su Otto Preminger, una più modesta su Renato Pozzetto (premiato con il Pardo alla carriera) e un sacco di ghiotti ospiti: Johnnie To, Roger Avary, Ben Wheatley, Charlotte Rampling, Ornella Muti (eh si), Gianni Morandi, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Alain Delon e tanti altri.
Ma passiamo al riassuntone delle due giornate:
5 agosto
Per noi è la prima volta, quindi cerchiamo di essere delicati, non vorremmo mai che per l'agitazione la cosa finisse troppo in fretta.
Alle 8 partiamo sbadigliando verso la Svizzera verde, alle 9 e qualcosa superiamo incolumi il confine. Arrivati a Locarno ci lasciamo subito disorientare dai misteriosi “Parchimetri Collettivi” e dai minacciosi avvertimenti “Parcheggio Privato” piazzati su ogni spazio utile, è ormai chiaro che non siamo più in Italia. Finalmente troviamo posto a 15 minuti dal centro, raggiungiamo Piazza Grande, ci armiamo di biglietto e andiamo subito a sentire la conversazione con Roger Avary moderata dal direttore Olivier Père e da Manlio Gomarasca.
Forse uno dei momenti migliori di tutte e due le giornate, conosco poco Avary ma la discussione si fa subito appassionante, ricca di aneddoti personali su Quentin Tarantino, Bret Easton Ellis e Carrie Ann Mosse che a quanto pare gli ha venduto una casa infestata. Si parla principalmente di sceneggiatura, Avary infatti è soprattutto uno scrittore e ci tiene a spiegare che scrivere un film è sempre un'esperienza profondamente personale, anche quando ci si trova a rimaneggiare una sceneggiatura non originale. Simpatico, sensibile e divertente, alla fine è così disponibile da fermarsi un po' a rispondere a un sacco di domande (nonostante il tempo concesso durante l'intervista), firmare autografi e fare foto. Siccome abbiamo rimediato entrambi, ce ne andiamo tutti pimpanti.
Poi puntiamo verso il cinema Ex Rex e ci spariamo due film di Otto preminger. Il primo, Tempesta su Washington, è un audacissimo e avvincente “thriller” politico, si parla di maccartismo, omosessualità e contraddizioni del sistema politico americano. Dopo tocca a Centennial Summer, una commedia romantica che minaccia di essere un musical, genere con cui ho qualche problema, ma per fotuna le canzoni sono poco invadenti e il film è tutto sommato tollerabile. I sedili sono una delle cose più scomode su cui mi è capitato di sedermi, e insieme alla pioggia che ci siamo beccati prima mi hanno massacrato le gambe.
Saremmo già belli satolli ma ci aspetta ancora la proiezione serale, in particolare il film di Ben Wheatley che praticamente è il motivo per cui mi interessava questa giornata in particolare. Il maltempo però imperversa, e la proiezione all'aperto viene spostata nell'auditoium FEVI, o meglio, così dovrebbe essere, ma qualche coraggioso decide di rimanere. Noi che coraggiosi non siamo ci fiondiamo al coperto, sono le 21:30 siamo bagnati e stanchi morti ma affrontiamo a testa alta le oltre 3 ore di proiezione che ci aspettano: Quelques heures de printemps di Stéphane Brizé e poi Sightseers di Ben Wheatley.
Prima della proiezione salgono sul palco un pò di ospiti, c'è il regista ciadiano Mahamat-Saleh Haroun, Stéphane Brizé con parte del suo cast e finalmente il mio eroe Ben Whetley, grosso come me lo immaginavo. La sua presentazione è grandiosa, dopo Mahamat-Saleh Haroun che ha chiesto un minuto di silenzio per le tragedie dell'Africa arriva lui con la camicia fuori dai pantaloni ed inizia a gridare “Vi prometto sesso, violenza, sangue, cani e sesso!”, un bel momento di rottura.
Quelques heures de printemps è stato una bellissima sorpresa, è la storia di un un uomo appena uscito di prigione che tenta di rifarsi una vita e di ricreare un rapporto con l'anziana madre, la donna però è una malata terminale e ha già deciso di ricorrere all'eutanasia grazie ad un'associazione svizzera. Un bel drammone che nello stile mi ha ricordato molto i film dei fratelli Dardenne, mentre la sceneggiatura mi ha fatto subito pensare a Million Dollar Baby di Clint Eastwood, proprio per il modo in cui il tema dell'eutanasia si innesta quasi inaspettato in una storia che sembrava andare in altre direzioni.
Su Sightseers invece avevo già letto qualcosa, dopo il portentoso horror Kill List (motivo per cui mi interessava così tanto questo regista) Wheatley torna sul terreno a lui più familiare della commedia, la vena macabra però non viene del tutto abbandonata e infatti si tratta di una black comedy davvero difficile da catalogare. I protagonisti sono l'adorabile Alice Lowe e Steve Oram due comici della tv inglese che hanno anche scritto la sceneggiatura del film, i due interpretano una giovane coppia di turisti che assassinano senza troppe esitazioni chiunque minacci di rovinare la loro grottesca vacanza. E grottesco è il termine più adatto a descrivere Sightseers, ci si ritrova ad osservare questa coppia di innamorati che visita antiche rovine, mangia, beve, litiga e uccide con la massima naturalezza. E di certo non si tratta dei soliti belli e dannati in fuga dalla polizia, non c'è nessuna ribellione o messaggio politico, è tutto assolutamente irrazionale, e forse il punto debole del film è proprio questo, nonostante la durata breve infatti l'idea inizia a perdere efficacia un po' prima del finale. Poco male comunque, perché i due attori sono veramente fenomenali, in particolare Daisy Lowe che con la sua facciotta innocente riuscirà a farvi ridere delle cose peggiori. Qualche spettatore ha ceduto e ha abbandonato la sala.
Ridendo e scherzando si sono fatte le 2 di notte e le sedie rigide dell'auditorium ci hanno dato il colpo di grazia, così decidiamo che per la seconda giornata ci tratterremo di meno e soprattutto vedremo meno film.
10 agosto
Il contesto ormai lo conoscete, quindi vado dritto al sodo. Questa volta niente biglietto giornaliero, ci fiondiamo subito allo Spazio Cinema per incontrare Johnnie To, uno dei registi più interessanti del panorama asiatico e non solo.
Si chiacchiera della sua Milkyway Image la casa di produzione attraverso cui sta dando spazio e occasioni ad un sacco di registi e sceneggiatori esordienti, e del Fresh Wave, il Festival da lui promosso che permette di finanziare i progetti di tanti giovani promettenti... Insomma i pressupposti sono ottimi e il personaggio imponente, ma il giovane giornalista Julien Gester pone solo quelle tipiche domande da studentello a cui si potrebbe benissimo rispondere con un si o con un no. Come se non bastasse il traduttore sembra piuttosto impreparato, To parla per 5 minuti e lui riassume tutto in pochi banalissimi concetti, insomma nonostante tutto una delusione. Noi comunque non ci demoralizziamo e dopo aver rimediato un altro autografo corriamo al Cinema Rialto per vedere Election dello stesso Johnnie To, un affresco del crimine organizzato di Hong Kong rappresentato con la giusta dose di ironia e di violenza, molto elegante.
A questo punto ci dividiamo, e io rimango nella stessa sala per vedere un cortometraggio e un film di Laurent Achard, che quest'anno è nella giuria dei Pardi di domani, inaspettatamente il regista è in sala ma si limita a un "Buona visione!".
Il cortometraggio si intitola La peur, petit chasseur e mostra una scena di violenza domestica, in un certo senso si può considerare una versione embrionale del film che vedrò subito dopo e in cui infatti il titolo del cortometraggio viene direttamente citato.
Il film in questione si intitola La dernier de fous ed è stato premiato con il Pardo per la miglior regia nell'edizione 2006 del Festival. Il protagonista è Martin, un bambino di 10 anni che osserva inerme il disfacimento del suo nucleo familiare, la madre soffre di qualche malattie mentale, non lascia mai la sua stanza e non sopporta la vista dei suoi stessi familiari, il fratello più grande vive di nascosto la sua omosessualità e soffre perché il suo innamorato sta per sposarsi, il padre cerca di riavviare l'attività familiare per non dover vendere tutto, ma non potendo contare sulla moglie si rifugia in un rapporto morboso con la propria madre. Nessuno insomma può fornire a Martin le risposte di cui ha bisogno in una delle fasi più delicate della sua vita.
Molto particolare, un film a metà tra il realismo più crudo e un leggero surrealismo. C'è un che di pasoliniano nei volti dei protagonisti, nel modo in cui vengono inquadrati e nella rappresentazione della sessualità. E' il proverbiale elefante in una stanza, c'è qualcosa di tragico nell'aria e la situazione precipita sempre di più ma nessuno sembra rendersene conto.
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