A quanto pare Hollywood sta riscoprendo i classici della letteratura. Certo non mi azzarderei a parlare di tendenza, ma è un dato di fatto che tra i candidati agli Oscar 2013 compaiano gli adattamenti di due dei più grandi romanzi dell'800, Les Miserables e questo Anna Karenina, due film molto più simili di quanto si potrebbe immaginare.
Proprio come I Miserabili, Anna Karenina è stato portato sugli schermi cinematografici e televisivi un incredibile numero di volte (circa venti), roba da far invidia ai reboot hollywoodiani dei film sui supereroi Marvel, sono così tanti che Greta Garbo ha potuto interpretare Anna per due volte, in un film muto del 1927 e in uno sonoro del 1935. Questa volta ci prova Joe Wright (anche lui inglese, come Tom Hooper) regista di Orgoglio e Pregiudizio, Espiazione e Hanna, ormai esperto di film in costume ed eroine femminili.
La storia è abbastanza nota, ma non si sa mai: l'esuberantissimo “Stiva” Oblonsky (Matthew MacFayden) ha appena tradito sua moglie Dolly (Kelly MacDonald, una professionista del pianto), e per arginare i danni invita a Mosca sua sorella Anna (Keyra Knightley) in modo che interceda presso la sposa disperata. Appena scesa dal treno Anna si imbatte nel giovane ufficiale di cavalleria Aleksej Vronsky e tra i due è subito amore, ma lei è già sposata con l'ufficiale governativo Karenin, e lui è a un passo dal chiedere la mano di Kitty (Alicia Vikander). I due cederanno alla passione sfidando le convenzioni della Russia di fine '800, ma il prezzo da pagare sarà alto.
Joe Wright e lo sceneggiatore Tom Holland (premio Oscar per Shakespeare in Love) da questo punto di vista non ci riservano sorprese e si limitano a ricalcare fedelmente la trama del romanzo, senza stratagemmi narrativi particolari o aggiunte sostanziose, ma anzi, riassumono il più possibile e tagliano brutalmente intere parti della storia non proprio trascurabili. La conseguenza più vistosa è che la storia d'amore tra Levin (Domhnall Gleeson, figlio di Brendan Gleeson) e Kitty, che nel romanzo funzionava da contraltare a quella tra Anna e Vronsky, diventa un elemento del tutto marginale, relegato a un paio di scenette e chiuso in fretta e furia nel finale.
E così la questione “fedeltà al romanzo” è liquidata, dopotutto stiamo parlando di classici della letteratura portati sullo schermo decine e decine di volte. L'unico motivo sensato per riesumarli è tentare di proporre qualcosa di nuovo, Tom Hooper con il suo Les Miserablés aveva portato il teatro e il musical nel cinema, Joe Wright invece porta il cinema nel teatro, letteralmente.
Anna Karenina si apre con l'inquadratura di un sipario, che subito si alza mostrandoci un fondale su cui è disegnato il titolo del film, poi anche questo si alza e finalmente vediamo Oblonsky mentre si fa tagliare la barba al centro del palcoscenico. Allora chi come me ha letto il romanzo potrebbe pensare istintivamente che si trovi lì perché è andato a trovare l'attricetta con cui ha una relazione, è strano ma plausibile. E invece no, perché in scena compare un cameriere con una gigantesca pera finta in mano, e allora ti rendi conto che in realtà siamo a casa di Oblonsky, e le pareti sono delle scenografie teatrali, con delle porte finte che a loro volta si aprono su altre scenografie che rappresentano le strade di Mosca.
Proprio come I Miserabili, Anna Karenina è stato portato sugli schermi cinematografici e televisivi un incredibile numero di volte (circa venti), roba da far invidia ai reboot hollywoodiani dei film sui supereroi Marvel, sono così tanti che Greta Garbo ha potuto interpretare Anna per due volte, in un film muto del 1927 e in uno sonoro del 1935. Questa volta ci prova Joe Wright (anche lui inglese, come Tom Hooper) regista di Orgoglio e Pregiudizio, Espiazione e Hanna, ormai esperto di film in costume ed eroine femminili.
La storia è abbastanza nota, ma non si sa mai: l'esuberantissimo “Stiva” Oblonsky (Matthew MacFayden) ha appena tradito sua moglie Dolly (Kelly MacDonald, una professionista del pianto), e per arginare i danni invita a Mosca sua sorella Anna (Keyra Knightley) in modo che interceda presso la sposa disperata. Appena scesa dal treno Anna si imbatte nel giovane ufficiale di cavalleria Aleksej Vronsky e tra i due è subito amore, ma lei è già sposata con l'ufficiale governativo Karenin, e lui è a un passo dal chiedere la mano di Kitty (Alicia Vikander). I due cederanno alla passione sfidando le convenzioni della Russia di fine '800, ma il prezzo da pagare sarà alto.
Joe Wright e lo sceneggiatore Tom Holland (premio Oscar per Shakespeare in Love) da questo punto di vista non ci riservano sorprese e si limitano a ricalcare fedelmente la trama del romanzo, senza stratagemmi narrativi particolari o aggiunte sostanziose, ma anzi, riassumono il più possibile e tagliano brutalmente intere parti della storia non proprio trascurabili. La conseguenza più vistosa è che la storia d'amore tra Levin (Domhnall Gleeson, figlio di Brendan Gleeson) e Kitty, che nel romanzo funzionava da contraltare a quella tra Anna e Vronsky, diventa un elemento del tutto marginale, relegato a un paio di scenette e chiuso in fretta e furia nel finale.
E così la questione “fedeltà al romanzo” è liquidata, dopotutto stiamo parlando di classici della letteratura portati sullo schermo decine e decine di volte. L'unico motivo sensato per riesumarli è tentare di proporre qualcosa di nuovo, Tom Hooper con il suo Les Miserablés aveva portato il teatro e il musical nel cinema, Joe Wright invece porta il cinema nel teatro, letteralmente.
Anna Karenina si apre con l'inquadratura di un sipario, che subito si alza mostrandoci un fondale su cui è disegnato il titolo del film, poi anche questo si alza e finalmente vediamo Oblonsky mentre si fa tagliare la barba al centro del palcoscenico. Allora chi come me ha letto il romanzo potrebbe pensare istintivamente che si trovi lì perché è andato a trovare l'attricetta con cui ha una relazione, è strano ma plausibile. E invece no, perché in scena compare un cameriere con una gigantesca pera finta in mano, e allora ti rendi conto che in realtà siamo a casa di Oblonsky, e le pareti sono delle scenografie teatrali, con delle porte finte che a loro volta si aprono su altre scenografie che rappresentano le strade di Mosca.
Per farla breve, il film si svolge all'interno di un teatro. Direi “è ambientato” ma non è così, perché i personaggi non se ne rendono conto, nemmeno quando scenografie e oggetti di scena si spostano intorno a loro per costruire la nuova “location”. Insomma è un po' come Dogville di Lars Von Trier ambientato in un unica stanza che però cambia continuamente intorno agli attori, in basso tra palco e platea ci sono i nobili, nella soffitta, in “cielo”, ci sono i poveri.
Il risultato è visivamente spettacolare, un'opera in costante movimento che si costruisce e de-costruisce continuamente, spesso senza tagli tra una scena e l'altra. E' qui che Wright si può veramente sbizzarrire, lui che ci ha abituato a piani sequenza lunghi e articolatissimi (pazzesco quello di Espiazione) può giocare quando e come vuole con queste scenografie su cui ha un controllo totale (viene in mente un Nodo alla gola di Hitchcock all'ennesima potenza). E allora non ci sono più regole, l'ufficio di Oblonsky può trasformarsi nel ristorante Ermitage in un istante, mentre gli impiegati escono e i camerieri entrano come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma Anna Karenina è anche un film musicale, praticamente un musical senza il canto. Soprattutto nella prima parte, quando il tono è ancora festoso e ci si muove tra ristoranti di lusso e salotti dell'alta società, sembra quasi di osservare una danza senza fine, come se ogni movimento degli attori fosse coreografato da Pina Bausch e ritmato da una musica che solo loro possono sentire (invece la splendida colonna sonora di Martinelli possiamo sentirla per fortuna), oppure da suoni di scena che diventano strumenti di percussione, come il rumore dei timbri su un tavolo o il battere ritmico del ventaglio di Anna, che sostituisce il suono degli zoccoli nella scena della corsa dei cavalli. Persino un normalissimo ballo diventa un insieme di movimenti surreali, una lotta seducente di piroette e braccia intrecciate che poi ritroviamo nella scena di sesso tra Anna e Vronsky.
Ma Anna Karenina è anche un film musicale, praticamente un musical senza il canto. Soprattutto nella prima parte, quando il tono è ancora festoso e ci si muove tra ristoranti di lusso e salotti dell'alta società, sembra quasi di osservare una danza senza fine, come se ogni movimento degli attori fosse coreografato da Pina Bausch e ritmato da una musica che solo loro possono sentire (invece la splendida colonna sonora di Martinelli possiamo sentirla per fortuna), oppure da suoni di scena che diventano strumenti di percussione, come il rumore dei timbri su un tavolo o il battere ritmico del ventaglio di Anna, che sostituisce il suono degli zoccoli nella scena della corsa dei cavalli. Persino un normalissimo ballo diventa un insieme di movimenti surreali, una lotta seducente di piroette e braccia intrecciate che poi ritroviamo nella scena di sesso tra Anna e Vronsky.
Insomma nel teatro della vita e delle convenzioni sociali tutto è posa e finzione, e l'unico squarcio di verità sembra essere proprio alle spalle di quel palcoscenico, che ad un certo punto del film si apre fisicamente (sempre senza stacchi) su immense distese d'erba, un mondo più puro e più vero che Anna e Vronsky cercano nel posto sbagliato, o che forse non cercano affatto.
Tirando le somme: Anna Karenina è originalissimo e tremendamente barocco, il divertissement di un regista che sceglie una particolare impostazione stilistica e decide di portarla all'esasperazione. Per l'occhio è un autentico spettacolo, ma lo stile è talmente appariscente che schiaccia tutto il resto sullo sfondo. Per fortuna Joe Wright è un grandioso direttore d'orchestra, supportato da un cast tecnico in stato di grazia, dalla scenografa Sarah Greenwood alla costumista Jaqueline Durran, entrambe candidate agli Oscar. Ma contro Les Miserablés sarà una bella sfida.
Tirando le somme: Anna Karenina è originalissimo e tremendamente barocco, il divertissement di un regista che sceglie una particolare impostazione stilistica e decide di portarla all'esasperazione. Per l'occhio è un autentico spettacolo, ma lo stile è talmente appariscente che schiaccia tutto il resto sullo sfondo. Per fortuna Joe Wright è un grandioso direttore d'orchestra, supportato da un cast tecnico in stato di grazia, dalla scenografa Sarah Greenwood alla costumista Jaqueline Durran, entrambe candidate agli Oscar. Ma contro Les Miserablés sarà una bella sfida.
Keyra Knightley secondo me un po' cagna, sia lei come attrice, sia il suo personaggio.
RispondiEliminaComunque film davvero molto bello.
Neanche a me fa impazzire. Poi questi film in costume li fa praticamente in serie, le cambiano il vestito e la buttano in scena.
EliminaDiciamo che, come molte altre cose, la sua interpretazione passa un po' in secondo piano in un film così visivo.