giovedì 7 febbraio 2013

La storia dello Studio Ghibli - 1 di 3

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"Alla base di ciò che vogliamo creare e che desideriamo mostrare non dovrebbe esserci qualcosa di prestabilito, dettato dalla moda. Ci dovrebbe essere qualcosa che ci portiamo dentro da sempre, è per questo che le mie idee sono così difficili da realizzare." 
- Hayao Miyazaki -





Gli inizi

Sebbene molti considerino Nausicaa della valle del vento il film d'esordio dello studio, in effetti la sua gestazione e la sua uscita nelle sale precedono almeno di un anno la fondazione e, anzi, fu proprio grazie al successo del film, tratto dal manga seriale pubblicato dalla rivista Animage, che il creatore Hayao Miyazaki e l'amico e collega Isao Takahata, in collaborazione con il gruppo editoriale Tokuma Shoten, trovarono i fondi necessari a mettere in piedi un'azienda dove avrebbero potuto muoversi nell'assoluta libertà creativa. Come molti sanno, Ghibli è il nome libico (la pronuncia corretta è gibli, in italiano Scirocco) del vento che soffia nel deserto del Sahara: fu così che vennero ribattezzati i Caproni ca.309, gli aerei da ricognizione italiani che sorvolavano la zona durante la Seconda guerra mondiale. Miyazaki, appassionato di aviazione, decise di battezzare così il proprio studio perché avrebbe simboleggiato alla perfezione l'ideale di portare qualcosa di nuovo e entusiasmante nel panorama dell'animazione giapponese. In parole povere, avrebbe soffiato un nuovo vento. E nuovo vento, effettivamente, soffiò: in Giappone si producevano sopratutto serie televisive o lungometraggi tratti da esse dal budget ridotto, che lasciavano agli autori spazi di manovra praticamente inesistenti. Studio Ghibli divenne non solo la casa di Miyazaki e Takahata, ma un rifugio sicuro anche per altri registi, magari meno conosciuti (sopratutto a causa di una distribuzione nei paesi occidentali meno capillare), come Yoshifumi Kondo (I sospiri del mio cuore), Tomomi Mochizuki, Hiroyuki Morita e i più recenti Goro Miyazaki (figlio di Hayao) e Hiromasa Yonebayashi, regista di Arrietty. Della “famiglia” fa anche parte il compositore Joe Hisahishi, autore delle colonne sonore della maggior parte delle opere dello studio nonché di moltissime pellicole del regista giapponese Takeshi Kitano. Il primo film dello Studio Ghibli, prodotto per un anno a partire da giugno del 1985 e uscito nelle sale giapponesi il 2 agosto 1986, fu Laputa - Castello nel cielo (Tenku no shiro Ryaputa) distribuito nelle sale italiane ben 26 anni dopo e per un solo giorno, il 25 aprile 2012, con il titolo Il Castello nel cielo.

Laputa-il-Castello-nel-Cielo-8137 Scritto e diretto da Hayao Miyazaki, il soggetto fu ispirato da una lettura giovanile del maestro, ovvero I Viaggi di Gulliver di Johnatan Swift, dove si raccontava di una città del cielo, Laputa appunto: Sheeta, una misteriosa ragazzina, è in possesso di una strana pietra che la salva da una caduta facendola fluttuare tra le braccia di Pazu, un giovane orfano che la aiuterà a fuggire dai suoi aguzzini, interessati a impossessarsi della pietra proprio per raggiungere il castello del cielo di Laputa, al fine di depredarne i leggendari tesori. Si possono già riscontrare i tratti distintivi del cinema di Miyazaki, sia dal punto di vista formale che contenutistico, fra tutti la cura per i dettagli maniacale e le influenze da culture occidentali. Le divise dei militari fanno il verso a quelle dell'esercito tedesco della prima guerra mondiale, mentre il villaggio è ispirato a un borgo del Galles che Hayao San visitò nel 1984 durante lo sciopero dei minatori: tornato a casa si dichiarò “Pieno d'ammirazione per quegli uomini che lottavano per il proprio lavoro e per la famiglia” e ammise l'intenzione di “riflettere la forza di tali comunità” nel suo prossimo film. Sul piano tematico, i macro argomenti, che tutti conoscono e che in futuro ricorreranno nella filmografia dell'autore, sono l'antimilitarismo e l'ecologismo; inoltre, è già possibile rilevare delle costanti dello stile narrativo di Miyazaki: la giovane protagonista femminile, l'amicizia con un coetaneo dell'altro sesso, l'avventura e il lavoro intesi come processo di crescita e maturazione nonché di emancipazione dal mondo dei bambini, le adorabili canaglie che finiscono per aiutare i protagonisti, l'avversione per la sete di potere umana. Sebbene il tratto e i fondali siano meno elaborati e dettagliati dei lavori più recenti, Il Castello nel cielo resta un meraviglioso esempio di animazione fantasy, immaginifico e potente, pieno di dolcezza e buoni sentimenti senza essere mai stucchevole; una pellicola che tutti dovrebbero recuperare e un ideale punto di partenza per i neofiti. In madrepatria fu un successo di pubblico, scongiurando le paure e i dubbi di Miyazaki stesso sulla sopravvivenza della propria azienda, e sopratutto di critica: ricevette infatti innumerevoli premi tra i quali il Noburo Ofuji Award ai Mainichi Film Award e il premio della rivista Animage come miglior anime dell'anno. Due anni dopo, nel 1988, Studio Ghibli si apprestava a distribuire due film che avrebbero dimostrato come la libertà di espressione e la molteplicità di stili e idee fossero dogmi incrollabili della politica aziendale.

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Difficile pensare che Il Mio vicino Totoro di Miyazaki e Una Tomba per le lucciole di Isao Takahata, usciti lo stesso giorno (il 16 aprile 1988) nelle sale giapponesi, fossero entrambi prodotti della stessa factory; e invece le due pellicole furono addirittura concepite come due mediometraggi da distribuire nelle sale insieme, in una Double Feature simile all'operazione Grindhouse di Tarantino e Rodriguez. Quando infatti Miyazaki propose il soggetto di Totoro alla Tokuma Shoten, i piani alti dell'azienda risposero con un secco no; piuttosto, il direttore di Animage, Hideo Ogata propose un film luminoso ed esaltante che parlasse della vitalità dei bambini giapponesi nel dopoguerra. Nell'attesa che si trovasse un soggetto adatto all'idea di Ogata, Toshio Suzuki, produttore che nel 1991 entrerà nello Studio Ghibli, lesse un racconto semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka intitolato Una Tomba per le lucciole, basato sulle esperienze vissute durante la Seconda guerra mondiale, e ne propose la produzione alla Tokuma che rispose di nuovo con un no. Tuttavia la casa editrice del racconto, la Shinchosha, si dimostrò interessata a trarne una pellicola d'animazione. Fu così che nacque l'idea di accompagnare al mediometraggio da 60 minuti tratto da un bestseller (il racconto vendette ben un milione e trecentomila copie) quello della stessa durata basato sul misconosciuto soggetto di Totoro. Tuttavia durante la lavorazione i film si "ingigantirono" e nacquero i due lungometraggi indipendenti che oggi tutti conosciamo. Il Mio vicino Totoro è una pellicola bucolica, minimale e spensierata in cui due piccole sorelline, Mei e Satsuki, si trasferiscono insieme al padre in una città di campagna vicina all'ospedale dove è ricoverata la madre gravemente malata. Le lunghe giornate diventano così l'occasione per scoprire la natura circostante e fare la conoscenza con una serie di strane e simpatiche creature tra le quali il Totoro, uno spirito buono che assomiglia a un incrocio tra un orso, una talpa e un procione (e che diventerà il simbolo dello studio) e il Gattobus, un autobus con il muso di gatto e dodici zampe al posto delle ruote. Il film è in parte autobiografico, infatti quando Miyazaki era bambino fu costretto a trasferirsi insieme ai fratelli per stare più vicini alla madre, malata di tubercolosi spinale; le protagoniste del film sono ragazzine perché, secondo l'autore, sarebbe stato troppo duro scrivere e dirigere una pellicola del genere con personaggi maschili che gli avrebbero inevitabilmente fatto riaffiorare ricordi dolorosi. Inizialmente la protagonista doveva essere la sola Mei, nome giapponese per indicare il mese di maggio, ma poi la produzione decise di inserire una sorellina più piccola e di chiamarla Satsuki, che è il nome in giapponese arcaico dello stesso mese.

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Una tomba per le lucciole, scritto e diretto da Takahata, è invece uno dei film d'animazione più crudi, realistici e disincantati della storia del cinema. Denuncia tutta la sua spietata durezza sin dall'incipit dell'opera: a raccontare la sua storia è il fantasma di un adolescente morto di inedia per strada a Kobe il 21 settembre del 1945, fra l'indifferenza dei passanti. Tramite un flashback, Seita ci racconta di essere rimasto orfano, insieme alla sua sorellina Setsuko, durante il bombardamento aereo di Kobe nel giugno dello stesso anno e di aver dovuto sopravvivere senza l'aiuto di nessuno per mesi, fino all'epilogo che già conosciamo. Un film tremendo, che strapperebbe fiumi di lacrime a chiunque, ma anche un film che denuncia la mentalità retrograda e autolesionista della società giapponese bellica, nonché gli orrori di una guerra che non risparmia nessuno, nemmeno chi come i bambini andrebbe salvaguardato. All'uscita nelle sale il 16 aprile 1988, molte scene ancora non erano pronte e furono montate in bianco e nero; Takahata sostenne che fosse un effetto voluto, tuttavia i lavori furono terminati il 30 aprile e la versione definitiva vide luce solo successivamente in VHS. Altra piccola curiosità: i contorni dei personaggi sono colorati in marrone che, a differenza del tradizionale nero, rendono le figure più morbide e realistiche. I genitori dei bambini in lacrime, terrorizzati dalla crudeltà delle immagini di Una Tomba per le lucciole, non mancarono di protestare nei confronti di una scelta tanto infelice; ironico che senza questo film, la favola di Totoro non sarebbe mai potuta esistere. E' una delle geniali "contraddizioni" di uno dei migliori studio d'animazione della storia del cinema. [Continua...]

Articolo originariamente pubblicato sul sito www.themovieshelter.com

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