Quasi non sembrerebbe, ma dall'11 settembre 2001 sono già passati più di undici anni, undici anni in cui il tema del terrorismo si è gradualmente allontanato dalle nostre pagine di cronaca fino quasi a scomparire, almeno qui in Europa. In America naturalmente le cose sono andate in modo leggermente diverso, e la questione è rimasta sempre a galla, spesso sussurrata con un po' di deferenza, ogni tanto gridata a squarciagola in qualche talk show dissacrante. Ma le domande erano sempre le stesse: che fine ha fatto il terrorista più pericoloso e ricercato del mondo ? E perché una potenza bellica come gli Stati Uniti dopo dieci anni non è ancora riuscita a stanarlo ?
Già nel 2008 Kathryn Bigelow aveva iniziato a tastare il terreno iracheno con il suo The Hurt Locker, che sicuramente ha rappresentato un buon campo di prova per la messa in scena realistica di operazioni militari più o meno complesse. Oggi, sempre affiancata dal cronista investigativo Mark Boal, porta sullo schermo questo Zero Dark Thirty (mezzanotte e mezza in gergo militare, l'ora in cui si svolge l'assalto), nato come ricostruzione di una ricerca infruttuosa durata oltre dieci anni e poi riscritto da zero in seguito all'eliminazione di Osama Bin Laden avvenuta il 2 maggio 2011.
I fatti più importanti li conosciamo tutti, ma la trama li costeggia dal punto di vista di Maya (Jessica Chastain, sempre più bella, ma come fa ? Come ?) personaggio liberamente ispirato alla vera agente della CIA che ha dedicato dodici anni della sua vita e della sua carriera alla ricerca di Osama Bin Laden, rendendo possibile il suo ritrovamento. E la prima metà del film riassume come meglio può questi dodici anni, soffermandosi in particolar modo sui principali attentati terroristici che li hanno segnati, da Madrid nel 2004 fino a quello di Camp Chapman nel 2008, in cui persero la vita vari agenti della CIA. Parallelamente assistiamo ad una lunga estenuante indagine che procede a passo di lumaca tra lungaggini burocratiche, scarsità di fondi e scandali sulla pratica della tortura, fino all'irruzione dei Navy Seals nella fortezza di Abbottabad.
Un po' come Lincoln, Zero Dark Thrty prestava facilmente il fianco a speculazioni sulle eventuali dosi di retorica patriottica e melensaggini, mentre in patria qualcuno lo aveva addirittura etichettato come film propagandistico fortemente voluto dall'amministrazione Obama. La realtà è che quando si sceglie di raccontare una storia del genere è impossibile non incappare in questo tipo di critiche, e forse proprio per questo Kathryn Bigelow rinuncia ad una struttura corale e concentra tutta l'attenzione sulle spalle di un un unico personaggio, non a caso una donna, che, proprio come la regista, lotta per affermarsi in un mondo di soli uomini. E non una donna qualsiasi, ma Jessica Chastain, bellezza elegante e delicata che sembra completamente fuori posto nel caldo soffocante di una lurida camera di tortura, tra figure maschili molto simili ai tostissimi soldati dall'animo tormentato di The Hurt Locker. Una donna che deve tapparsi il naso e accettare terribili compromessi pur di portare a termine la missione a cui ha dedicato una vita intera, ma soprattutto per soddisfare un'inguaribile ossessione, perché Maya, e forse con lei tutta l'America, non cerca più Bin Laden per proteggere il proprio paese e sventare il prossimo attacco terroristico, ma per mettere in atto una giustizia che ormai ha assunto l'aspetto meno nobile della vendetta, o forse perché arrivati a quel punto, nel mezzo di una guerra senza senso, non è rimasto più nulla a cui aggrapparsi.
Zero Dark Thirty si può dividere idealmente in due parti quasi uguali. Nella prima vengono condensati i primi dieci anni della ricerca, un'indagine articolatissima che si è svolta tra Iraq, Afghanistan e Pakistan. La ricostruzione è spaventosamente accurata e trasmette tutto il sapore di quest'impresa titanica, mesi e anni di lavoro spesi alla ricerca dei dettagli più insignificanti, interrogando testimoni sparpagliati su un'area vastissima o analizzando quintali di fotografie e registrazioni, con il rischio di finire nell'ennesima falsa pista costruita ad arte da Al Qaeda. E' qui che la durata si fa sentire di più, eppure, forse per colpa (o merito) del montaggio e della sceneggiatura, questi dieci anni sembrano trascorrere in un attimo, e quasi dispiace che il film si soffermi tanto su fatti di cronaca più noti, come l'esplosione dell'autobus a Londra, e tralasci dettagli magari meno rilevanti ma che avrebbero sicuramente arricchito la ricostruzione. Niente di grave comunque, il ritmo e l'interesse rimangono più vivi che mai, anche grazie a delle piccole parentesi action o alle tesissime scene d'interrogatorio, in cui tra l'altro assistiamo all'ormai tristemente noto waterboarding.
Quando lo spettatore è cotto a puntino, con una precisione quasi matematica, comincia la seconda parte del film che si trasforma a tutti gli effetti in una spy story al cardiopalma, con inseguimenti, gadget ipertecnologici e ambientazioni esotiche finalmente sfruttate a dovere. E poi arriva finalmente il gran finale, una sequenza di circa quaranta minuti all'insegna del più crudo realismo e diretta in modo magistrale che mostra minuto per minuto l'irruzione dei Navy Seals nella residenza dello “sceicco del terrore”. Una botta di adrenalina che arriva nel modo giusto e al momento più giusto, ma che una volta conclusa, quando l'uomo più ricercato del mondo diventa semplicemente un corpo senza vita, lascia intontiti e scossi come il personaggio di Jessica Chastain. Ecco, forse il difetto principale di Zero Dark Thirty è che punta troppo in alto e cerca di essere troppe cose. Vorrebbe essere un film dal taglio documentaristico, ma per esigenze drammatiche e cinematografiche crea ellissi e dilata i tempi narrativi. Vorrebbe essere un film drammatico, la storia di una donna che si nutre della propria ossessione, ma questo aspetto viene subordinato alla ricerca del realismo e alla necessità di raccontare un'impressionante mole di fatti. Forse è semplicemente imperfetto, ma pur sempre un ottimo film: crudo, divertente, coraggioso e incredibilmente solido.
Già nel 2008 Kathryn Bigelow aveva iniziato a tastare il terreno iracheno con il suo The Hurt Locker, che sicuramente ha rappresentato un buon campo di prova per la messa in scena realistica di operazioni militari più o meno complesse. Oggi, sempre affiancata dal cronista investigativo Mark Boal, porta sullo schermo questo Zero Dark Thirty (mezzanotte e mezza in gergo militare, l'ora in cui si svolge l'assalto), nato come ricostruzione di una ricerca infruttuosa durata oltre dieci anni e poi riscritto da zero in seguito all'eliminazione di Osama Bin Laden avvenuta il 2 maggio 2011.
I fatti più importanti li conosciamo tutti, ma la trama li costeggia dal punto di vista di Maya (Jessica Chastain, sempre più bella, ma come fa ? Come ?) personaggio liberamente ispirato alla vera agente della CIA che ha dedicato dodici anni della sua vita e della sua carriera alla ricerca di Osama Bin Laden, rendendo possibile il suo ritrovamento. E la prima metà del film riassume come meglio può questi dodici anni, soffermandosi in particolar modo sui principali attentati terroristici che li hanno segnati, da Madrid nel 2004 fino a quello di Camp Chapman nel 2008, in cui persero la vita vari agenti della CIA. Parallelamente assistiamo ad una lunga estenuante indagine che procede a passo di lumaca tra lungaggini burocratiche, scarsità di fondi e scandali sulla pratica della tortura, fino all'irruzione dei Navy Seals nella fortezza di Abbottabad.
Un po' come Lincoln, Zero Dark Thrty prestava facilmente il fianco a speculazioni sulle eventuali dosi di retorica patriottica e melensaggini, mentre in patria qualcuno lo aveva addirittura etichettato come film propagandistico fortemente voluto dall'amministrazione Obama. La realtà è che quando si sceglie di raccontare una storia del genere è impossibile non incappare in questo tipo di critiche, e forse proprio per questo Kathryn Bigelow rinuncia ad una struttura corale e concentra tutta l'attenzione sulle spalle di un un unico personaggio, non a caso una donna, che, proprio come la regista, lotta per affermarsi in un mondo di soli uomini. E non una donna qualsiasi, ma Jessica Chastain, bellezza elegante e delicata che sembra completamente fuori posto nel caldo soffocante di una lurida camera di tortura, tra figure maschili molto simili ai tostissimi soldati dall'animo tormentato di The Hurt Locker. Una donna che deve tapparsi il naso e accettare terribili compromessi pur di portare a termine la missione a cui ha dedicato una vita intera, ma soprattutto per soddisfare un'inguaribile ossessione, perché Maya, e forse con lei tutta l'America, non cerca più Bin Laden per proteggere il proprio paese e sventare il prossimo attacco terroristico, ma per mettere in atto una giustizia che ormai ha assunto l'aspetto meno nobile della vendetta, o forse perché arrivati a quel punto, nel mezzo di una guerra senza senso, non è rimasto più nulla a cui aggrapparsi.
Zero Dark Thirty si può dividere idealmente in due parti quasi uguali. Nella prima vengono condensati i primi dieci anni della ricerca, un'indagine articolatissima che si è svolta tra Iraq, Afghanistan e Pakistan. La ricostruzione è spaventosamente accurata e trasmette tutto il sapore di quest'impresa titanica, mesi e anni di lavoro spesi alla ricerca dei dettagli più insignificanti, interrogando testimoni sparpagliati su un'area vastissima o analizzando quintali di fotografie e registrazioni, con il rischio di finire nell'ennesima falsa pista costruita ad arte da Al Qaeda. E' qui che la durata si fa sentire di più, eppure, forse per colpa (o merito) del montaggio e della sceneggiatura, questi dieci anni sembrano trascorrere in un attimo, e quasi dispiace che il film si soffermi tanto su fatti di cronaca più noti, come l'esplosione dell'autobus a Londra, e tralasci dettagli magari meno rilevanti ma che avrebbero sicuramente arricchito la ricostruzione. Niente di grave comunque, il ritmo e l'interesse rimangono più vivi che mai, anche grazie a delle piccole parentesi action o alle tesissime scene d'interrogatorio, in cui tra l'altro assistiamo all'ormai tristemente noto waterboarding.
Quando lo spettatore è cotto a puntino, con una precisione quasi matematica, comincia la seconda parte del film che si trasforma a tutti gli effetti in una spy story al cardiopalma, con inseguimenti, gadget ipertecnologici e ambientazioni esotiche finalmente sfruttate a dovere. E poi arriva finalmente il gran finale, una sequenza di circa quaranta minuti all'insegna del più crudo realismo e diretta in modo magistrale che mostra minuto per minuto l'irruzione dei Navy Seals nella residenza dello “sceicco del terrore”. Una botta di adrenalina che arriva nel modo giusto e al momento più giusto, ma che una volta conclusa, quando l'uomo più ricercato del mondo diventa semplicemente un corpo senza vita, lascia intontiti e scossi come il personaggio di Jessica Chastain. Ecco, forse il difetto principale di Zero Dark Thirty è che punta troppo in alto e cerca di essere troppe cose. Vorrebbe essere un film dal taglio documentaristico, ma per esigenze drammatiche e cinematografiche crea ellissi e dilata i tempi narrativi. Vorrebbe essere un film drammatico, la storia di una donna che si nutre della propria ossessione, ma questo aspetto viene subordinato alla ricerca del realismo e alla necessità di raccontare un'impressionante mole di fatti. Forse è semplicemente imperfetto, ma pur sempre un ottimo film: crudo, divertente, coraggioso e incredibilmente solido.
Approvo: è piaciuto molto anche a me e non gli avrei dato un centesimo, anche se ho comunque un occhio di riguardo per Bigelow.
RispondiEliminaDi contro, il mio entusiasmo per Chainstain è decisamente frenato. Non saprei come dirlo altrimenti: mi è sembrata molto più preoccupata di recitare che di essere plausibile come personaggio. Il taglio registico è perfetto, in questo (il dettaglio dello spolverare la scrivania, ad esempio, l'ho trovato azzeccatissimo)così come la sua ostinazione, la caparbietà e la forza con cui si impone, e non sembra alla fine nemmeno durare troppa fatica in un ambiente prettamente maschile. Sono grata che non ci siano commenti sessisti.
Boh: forse è troppo pettinata, troppo bella, troppo elegante.
Non mi vergogno nel dire che l'ho visto in lingua originale: ormai il doppiaggio non lo sopporto più e questo potrebbe diventare un problema. Zero Dark Thirty avrei anche potuto vederlo al cinema, ma l'idea di sentirli parlare in italiano mi ha fatto desistere.
Anche io partivo scettico, e invece... Si conferma quello che dicevi sul forum, quest'anno non è ancora capitato un filmaccio o una delusione, almeno tra quelli che sono riuscito a vedere.
EliminaSul discorso Chastain credo di aver capito cosa intendi, ma la cosa mi ha infastidito relativamente, la trovo sempre molto brava, o forse non sono obiettivo, è una bellezza che distrae. In effetti lei rientra un po' in quel discorso realismo/dramma.
Non c'è niente di cui vergognarsi. Io cerco sempre di vederli o rivederli in lingua originale, però mi piace ancora un sacco andare al cinema. Sarebbe bello avere sale che proiettano in lingua originale qui nei paraggi.
Il fascino alla sala non lo toglie nessuno. A Firenze credo esista qualche cinema che passa la versione originale, ma non sempre coi sottotitoli e personalmente ho due handicap: l'inglese parlato non lo capisco e ho problemi di orario e spostamenti.
RispondiEliminaCirca i film di inizio anno avrei solo un commento: sono dimenticabili, almeno per me. Non lasciano nulla "dentro". Io sono una che i film li guarda e li riguarda, ma fra i vari Miserabili, Looper, The Impossible (lasciamo perdere Schwarzy che è meglio)francamente non saprei a quale dare una seconda possibilità. Uno è cantato in maniera per lo più fastidiosa, l'altro non presenta tematiche interessanti (non è brutto, solo povero di contenuti), e quello con lo tsunami sembra fatto su misura per un pubblico americano, con gli annessi e connessi, e poi trovo davvero inappropriato il confronto con Hereafter, su cui nutro comunque delle riserve.
Forse sono troppo esigente, visti i tempi. E mi sa di aver sforato l'argomento^^