Nelle sale dal 9 gennaio
La versione di Intrinseco
Abbandonati i porti sicuri della commedia italiana, Paolo Virzì tenta il colpaccio con una storia dai toni cupi e dal respiro internazionale: Il Capitale Umano, è l'adattamento dell'omonimo romanzo di Stephen Amidon, un dramma bifamiliare con qualche elemento thriller ambientato (non a caso) in Connecticut e che Virzì sposta (non a caso) in una più riconoscibile Brianza.
Non a caso perché Il Capitale Umano è una storia di medio-alta borghesia, di speculatori senza scrupoli e delle vittime delle loro speculazioni, lo spaccato di una crisi (economica e morale) dal punto di vista di due famiglie altrettanto disfunzionali. Da un lato ci sono i Bernaschi: lui industriale spietato, lei moglie oggetto (Fabrizio Gifuni e Valeria Bruni Tedeschi) e in mezzo un figlio viziato ma un po' ribelle, dall'altro c'è la famiglia di Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) un agente immobiliare tontolone quanto (pericolosamente) ambizioso. Virzì, Bruni e Piccolo, e forse l'autore del romanzo prima di loro, decidono di sbirciare dietro queste due facciate nel modo più ovvio e diretto possibile: una struttura ad episodi che racconta un arco narrativo di sei mesi attraverso lo sguardo di personaggi diversi, tutti in qualche modo legati ad un evento chiave che serve da fulcro all'intera storia. La scelta si rivela vincente e il ritmo del film ne guadagna sensibilmente nella prima parte, un po' meno nella seconda, dove la prevedibilità di alcuni risvolti tende ad allentare leggermente la tensione, che comunque si fa palpabile in più di un'occasione grazie a quelle incursioni nel thriller a cui accennavo all'inizio.
Il vero neo del film sono i personaggi: il modo in cui sono scritti, il modo in cui sono interpretati e le battute spesso surreali che pronunciano. Per la maggior parte del tempo si ha l'impressione di osservare delle fastidiose macchiette, più adatte ad una delle commedie del regista livornese che a un dramma "ambizioso" come questo; fuori luogo come poi sono fuori luogo quelle due tre parentesi comiche sparse lungo il film, che stemperano (male) la tensione quando non ce n'era alcun bisogno (penso per esempio all'incontro per stabilire il programma del teatro).
E a proposito di macchiette, il personaggio di Fabrizio Bentivoglio è al limite del sopportabile, un'interpretazione sforzatissima e del tutto innaturale che fa il paio con quella di Guglielmo Pinelli, il giovane attore che interpreta Massimiliano Bernaschi. L'ennesima dimostrazione che in Italia non è possibile scrivere o interpretare un ruolo drammatico senza infilarci grida e gigioneggiamenti. Bella e brava invece Matilde Gioli.
Preso come film di genere Il Capitale Umano fa il suo dovere, è teso, divertente, ben ritmato e ha uno stile molto internazionale, anche se, di conseguenza, finisce per proporre situazioni narrative abbastanza collaudate. Preso invece come spaccato sociale o film denuncia, funziona decisamente meno, troppo caricaturale nel tratteggiare i personaggi, troppo interessato all'intreccio e, soprattutto nel finale, troppo imbevuto di quel didascalismo che è la grande piaga del nostro cinema drammatico.
La versione del Giova (monco)
Non a caso perché Il Capitale Umano è una storia di medio-alta borghesia, di speculatori senza scrupoli e delle vittime delle loro speculazioni, lo spaccato di una crisi (economica e morale) dal punto di vista di due famiglie altrettanto disfunzionali. Da un lato ci sono i Bernaschi: lui industriale spietato, lei moglie oggetto (Fabrizio Gifuni e Valeria Bruni Tedeschi) e in mezzo un figlio viziato ma un po' ribelle, dall'altro c'è la famiglia di Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) un agente immobiliare tontolone quanto (pericolosamente) ambizioso. Virzì, Bruni e Piccolo, e forse l'autore del romanzo prima di loro, decidono di sbirciare dietro queste due facciate nel modo più ovvio e diretto possibile: una struttura ad episodi che racconta un arco narrativo di sei mesi attraverso lo sguardo di personaggi diversi, tutti in qualche modo legati ad un evento chiave che serve da fulcro all'intera storia. La scelta si rivela vincente e il ritmo del film ne guadagna sensibilmente nella prima parte, un po' meno nella seconda, dove la prevedibilità di alcuni risvolti tende ad allentare leggermente la tensione, che comunque si fa palpabile in più di un'occasione grazie a quelle incursioni nel thriller a cui accennavo all'inizio.
Il vero neo del film sono i personaggi: il modo in cui sono scritti, il modo in cui sono interpretati e le battute spesso surreali che pronunciano. Per la maggior parte del tempo si ha l'impressione di osservare delle fastidiose macchiette, più adatte ad una delle commedie del regista livornese che a un dramma "ambizioso" come questo; fuori luogo come poi sono fuori luogo quelle due tre parentesi comiche sparse lungo il film, che stemperano (male) la tensione quando non ce n'era alcun bisogno (penso per esempio all'incontro per stabilire il programma del teatro).
E a proposito di macchiette, il personaggio di Fabrizio Bentivoglio è al limite del sopportabile, un'interpretazione sforzatissima e del tutto innaturale che fa il paio con quella di Guglielmo Pinelli, il giovane attore che interpreta Massimiliano Bernaschi. L'ennesima dimostrazione che in Italia non è possibile scrivere o interpretare un ruolo drammatico senza infilarci grida e gigioneggiamenti. Bella e brava invece Matilde Gioli.
Preso come film di genere Il Capitale Umano fa il suo dovere, è teso, divertente, ben ritmato e ha uno stile molto internazionale, anche se, di conseguenza, finisce per proporre situazioni narrative abbastanza collaudate. Preso invece come spaccato sociale o film denuncia, funziona decisamente meno, troppo caricaturale nel tratteggiare i personaggi, troppo interessato all'intreccio e, soprattutto nel finale, troppo imbevuto di quel didascalismo che è la grande piaga del nostro cinema drammatico.
La versione del Giova (monco)
Capitale mio capitale (da leggere con accento da bauscia).
Uè ma tè capì il Virzì? Erano anni che ci propinava le sue
commedie, romantiche e non, tanto che sembrava non sapesse fare altro. Figa, va
bene tutto, va ben che molte erano anche carine e che una è stata anche pompata
oltremodo da Medusa (produttore) per gli Oscar, ma ogni tanto fa anche bene
cambiare genere, cambiare aria, no?
E allora eccolo qui con un bel noir, perche del thriller gli
manca il thrilling, ben scritto, che intrattiene, e ben girato e taaaaaac
arrivano finalmente i consensi giusti e un successo anche di critica. Il Paolo
l’è nacia a prendere un libro degli americani, del Conetticà tipo, una di quelle
storie che sono in tutto e per tutto tipiche della nostra bella penisoletta.
Ci son tutti sti borghesucci snob e ricchi da far schifo, in quelle zone
industriali dove non c’è nulla a parte la nebbia, tutti personaggi viscidi, i
classici furbetti da quartierino, che una volta cresciuti, il quartierino se lo
sono comprati a furia di dar giù sghei.
Gente che non ha nessuna remora di scommettere forte sulla vita propria
e quella dei propri figli. Un po’ una metafora della classe dirigente italiana
insomma.
Il film è suddiviso in 4 capitoli (3 più quello conclusivo),
ognuno che racconta, attraverso un personaggio diverso, gli ultimi sei mesi che hanno legato due famiglie della Brianza e
soprattutto che hanno portato a un incidente mortale. Non so quanti meriti si
debbano attribuire al Virzì per questa scelta così azzeccata dei punti di
vista, che rende la narrazione più fluida e la trama molto più interessante, ma
il film scorre che è un piacere, grazie anche a una certa ironia amara di fondo, che si fa beffe di questi personaggi, dei loro modi, della loro parlata.
Nella prima parte, nei capitoli degli adulti, di Dino
e Carla tutto fila molto bene. Nella seconda parte quando entrano in gioco i giovani, vuoi per una
recitazione in generale di livello infimo, vuoi per alcuni dialoghi un po’
rivedibili, mi cala leggermente, salvo riprendersi mica male nel finale.
Il Capitale Umano è uno spaccato abbastanza inquietante di
una certa Italia di oggi, però quello che è più interessante è che se si va a
sondare più profondamente i personaggi, i più ricchi, quello che più si
vorrebbe mettere in croce, sono sostanzialmente non colpevoli, di nulla. Adesso
senza spoilerare, ma nessuno obbliga Dino a fare quello che fa, e non è di certo quello a portare la vicenda ad una situazione tragica. Insomma, la colpa non la si butta addosso a nessuno, o forse la si butta addosso a tutti,
ma chi sbaglia paga e deve pagare (come da logica noir) anche se c'è sempre chi si salva in corner.
In tutto questo mi chiedo, ma come fa Valeria Bruni Tedeschi
ancora a lavorare? Pessima pessima attrice.
Ecco, il cinema italiano è vivo, quando fa film del genere, non quando incassa 100 milioni con Zalone.
Concordo soprattutto con la pessima recitazione della Valeriona, per me una mimica da pesciolina avariata :-) E dire che in questi giorni, in svariate recensioni, ho letto, ebbenesì, dell'ottima prova recitativa della Tedeschi!
RispondiEliminaCiao da Susanna!