La piaga del razzismo è una ferita aperta che probabilmente mai si richiuderà e di cui l'America -il paese più civilizzato ancora oggi- si vergogna e si vergognerà sempre. Non è bastato abolire la schiavitù, riconoscere i diritti civili, dare il diritto di voto, eleggere senatori e rappresentati fino addirittura al presidente dell'intera nazione per nascondere sotto il tappeto quella macchia enorme di cui tanti si sono sporcati. Ancora oggi il problema razziale in un grandissimo, per dimensioni in questo caso, paese come gli Stati Uniti, fatto e costruito da minoranze è all'ordine del giorno. E' una banalità forse, ma vi basta passare una vacanza in una grande città del nord o del sud degli Stati Uniti e scoprirete che per tutto il tempo siete stati serviti e riveriti da una minoranza razziale. Camerieri, addetti alla cassa, commessi, etc...
Nella bianchissima America -che è soprattutto quella landa 'desolata' che va da New York a Los Angeles- la discriminazione razziale è ancora sotto gli occhi di tutti. Perciò, ogni tanto, salta fuori un film, che come una lavanderia a gettoni, smacchia la coscienza di tutti quanti. La cosa divertente è che questo tipo di film li danno sempre in mano a gente bianca. Per esempio di The Help, caso cinematografico del 2011, o 42, la storia di Jackie Robinson, o The Express o ancora The Blind Side. Se c'è una cosa wasp in USA, quella è Hollywood. Chiedere a Spike Lee.
Perchè questi film non vengono mai affidati a registi di colore? Perchè si usa la presunzione di pensare che un bianco e uno sceneggiatore bianco e un produttore bianco possano capire e trattare un tema così scabroso visto da chi quel dramma l'ha vissuto? Mistero. Eppure i registi neri non mancano.
Questo 2014 sembra seguire vagamente questa direzione. Tra un mesetto arriverà 12 anni schiavo -con locandine nuove di pacca dopo le polemiche, sacrosante, e le accuse di razzismo che mezzo mondo ci ha lanciato addosso- di Steve McQueen, e adesso c'è The Butler di Lee Daniels un afroamericano della Pennsylvania salito alla ribalta grazie a Precious.
La Storia americana dagli anni 40 a oggi, vista dagli occhi di un maggiordomo, e dalla sua famiglia, che ha servito 8 presidenti diversi, da Truman a Reagan. Dalle piantagioni di cotone e la segregazione, all'elezione di Obama, passando per le marce, le proteste, le rivolte, gli assassini e le violenze.
L'idea è nata dopo che Daniels ha letto un articolo sul Washington Post, "A Butler Well Served by This Election" uscito a novembre del 2008, quando appunto vinse Obama e racconta la storia di questo Eugene Allen, maggiordomo alla casa bianca per 30 anni. Il film era bello che pronto a partire già nel 2008, tanto per cavalcare l'onda dell'elezione storica ma i Weinstein hanno preferito aspettare. Per fortuna Obama ha bissato il suo successo.
Un film di questo genere è difficile da fare quanto facile da criticare. Non si può fare una qualsiasi opera che parli di razzismo senza scadere inevitabilmente in drammoni polpettosi, isteria, emozioni facili indotte subdolamente, faciloneria e volemose bene con tanto di morale finale. Non si può e basta, perchè se non lo fai, che cavolo stai facendo? Insensibile! Dosare la misura col bilancino è materia di grandi autori, che di solito evitano un tema così ispido.
Però si può fare tanto facilmente altro, ovvero informare e raccontare senza lasciarsi andare troppo al dramma a tutti i costi, quello forzato e costruito a tavolino. The Butler non ci riesce. Si potrebbe dire che si divide in due parti, la Storia con la s maiuscola e quella personale e privata di Cecil e famiglia. La prima è molto più riuscita, a parte che tutti i presidenti (Nixon a parte, guai, ormai è una figura infernale. Solo Frost vs Nixon ha avuto il coraggio di umanizzarlo e levargli corna e forcone) sono degli stinchi di santo, ma è un riassunto abbastanza curato.
La seconda, che stride con l'eleganza e il servilismo della gabbia dorata della casa bianca, quella che si svolge la fuori nel mondo reale, quello che i potenti amministrano dalle loro torri d'avorio, è la parte più da latte alle ginocchia. La moglie alcolizzata -una Oprah Winfrey grassa e vecchia appena si sposano, ma dico Cecil non ne hai trovata una meglio no?, che sembra Benjamin Button, più invecchia il personaggio più ringiovanisce-, le tragedie telefonate e puntuali come le tasse, il figlio morto in Vietnam -per una guerra bianca di una nazione bianca!!!-, l'altro pantera nera e radicale, così lontano dal moderato Cecil.
Ecco lo scontro di visioni tra i due è indubbiamente la cosa più interessante e meglio scritta del film. Da una parte il classico nero molto accomodante e impaurito di alzare la voce, servile per natura e professione, e dall'altra quello che agisce, protesta, non accetta la situazione ridicola imposta dal colore della pelle. Non possono conciliarsi le loro idee -non fino a quando uno dei due capisce-, troppo distanti. Si scontrano persino su Sidney Poitier, per uno un grande attore che ha persino vinto l'Oscar, per l'altro uno che recita da bianco e che in questo modo non abbatte nessuna barriera. Cecil è anche nel mezzo, è uno che ha dovuto usare due facce per vivere, e che nel bel mezzo del culmine delle rivolte non sa più dove ritrovarsi, si sente perso nella sua stessa comunità. Eppure sono semplicemente due facce della stessa medaglia, due parti che unite hanno portato benefici alla propria parte.
D'altronde come dice un rivoluzionario amico di Louis, "la figura del maggiordomo -e del servitore in generale- demolisce il razzismo molto più di quanto si pensi, fianco a fianco dei bianchi ogni giorno, cucinano per loro, lavorano per loro, per molti aspetti sono persone sovversive senza neanche saperlo".
The Butler è il polpettone che tutti ci saremmo aspettati, molto meno gita allo zoo di The Help (oh a me ha dato quella sensazione) ma molto più smielato e costruito per cercare le lacrime più bianche che nere. Come letto altrove, il cast è una raccolta di figurine. Ora speriamo che il film di McQueen sia di gran lunga migliore.
Nessun commento:
Posta un commento