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lunedì 10 marzo 2014

Fruitvale Station di Ryan Coogler

In sala dal 13 marzo.

Ogni anno ha il suo indie "peso massimo", quel film indipendente che attira l'attenzione dei media, del pubblico generico, che viene invitato ai grandi e piccoli festival, dove vince pure qualcosina, e ottiene così una distribuzione internazionale. L'anno scorso fu il caso di Beasts of the Southern Wild di Behn Zeitilin, vincitore a Cannes, lodato da tutti i critici, finito addirittura ad essere pluricandidato agli Oscar (forse primissimo caso di un film indie così piccolo ad essere candidato come miglior film). Quest'anno tocca a Fruitvale Station, che ha moltissime cose in comune con il film di Zeitlin: indirettamente, ma neanche tanto, parla di razzismo, ha vinto al Sundance e a Cannes, molti lo inseriscono nella loro top 10 annuale e vede protagonisti un padre a una bambina afroamericani con un rapporto molto forte, costretti a dividersi.
Fruitvale Station si basa su un fatto realmente accaduto e parte proprio da un real footage, da immagini reali riprese da un cellulare. Notte dell'ultimo dell'anno 2008, in seguito ad alcuni disordini, la BART (la linea metropolitana che collega tutta la baia di San Francisco) deve fare una fermata prolungata alla stazione Fruitvale, in modo da permettere alla polizia di arrivare sul luogo e intervenire. I poliziotti fermano cinuqe giovani ragazzi di colore, probabilmente collegati ai disordini. Alle ore 2 circa, dalla pistola di un agente parte uno sparo che colpisce in piena schiena Oscar Grant. Il film ripercorre le sue ultime ventiquattro ore di vita.

sabato 4 gennaio 2014

The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca di Lee Daniels

Nelle sale dal 2 gennaio.

La piaga del razzismo è una ferita aperta che probabilmente mai si richiuderà e di cui l'America -il paese più civilizzato ancora oggi- si vergogna e si vergognerà sempre. Non è bastato abolire la schiavitù, riconoscere i diritti civili, dare il diritto di voto, eleggere senatori e rappresentati fino addirittura al presidente dell'intera nazione per nascondere sotto il tappeto quella macchia enorme di cui tanti si sono sporcati. Ancora oggi il problema razziale in un grandissimo, per dimensioni in questo caso, paese come gli Stati Uniti, fatto e costruito da minoranze è all'ordine del giorno. E' una banalità forse, ma vi basta passare una vacanza in una grande città del nord o del sud degli Stati Uniti e scoprirete che per tutto il tempo siete stati serviti e riveriti da una minoranza razziale. Camerieri, addetti alla cassa, commessi, etc... 
Nella bianchissima America -che è soprattutto quella landa 'desolata' che va da New York a Los Angeles- la discriminazione razziale è ancora sotto gli occhi di tutti. Perciò, ogni tanto, salta fuori un film, che come una lavanderia a gettoni, smacchia la coscienza di tutti quanti. La cosa divertente è che questo tipo di film li danno sempre in mano a gente bianca. Per esempio di The Help, caso cinematografico del 2011, o 42, la storia di Jackie Robinson, o The Express o ancora The Blind Side. Se c'è una cosa wasp in USA, quella è Hollywood. Chiedere a Spike Lee.

venerdì 26 luglio 2013

42 - Jackie Robinson di Brian Helgeland

Non uscito al cinema ma disponibile dal 4 luglio per il download in HD e in italiano su ITunes.

"Jackie sei la nostra medicina".
Nel 1946 la Major League di baseball americana contava 16 squadre e 400 giocatori, tutti bianchi. All'inizio del campionato del 1947 i giocatori bianchi erano 399, "un uno in meno che non passò inosservato". Come tante cose, nel dopoguerra, anche il baseball cambiò. Branch Rickie, storico proprietario dei Brooklyn Dodgers (da decenni oramai a Los Angeles), decise che era giunto il tempo di prendere un giocatore di colore in squadra, fino a quel momento relegati in leghe minori e impossibilitati per legge (! la legge Jim Crow) a giocare nello stesso campo con i bianchi.
Toccò a Jackie Robinson, talento puro dell'Alabama, uno dei migliori ruba basi del mondo. Dopo un anno a Montreal per fargli fare un rodaggio, venne promosso nei Dodgers. Jackie dovette affrontare il razzismo feroce all'interno e fuori dal campo, le minacce, le violenze, gli insulti peggiori di una società troglodita (quella che vota Lega ancora oggi) ma tirò avanti e vinse, vinse tutto quello che poteva cambiando le mentalità di un intera nazione.
Nel celebrare i propri eroi, reali o fittizi (i supereroi), gli Stati Uniti non hanno rivali. Sarà per la loro storia relativamente breve o perchè questi personaggi hanno in qualche modo influenzato il mondo intero e non solo il continente americano, o semplicemente ce l'hanno nel sangue, ma non hanno rivali. Talvolta viene criticata questa loro pomposa retorica ma se c'è da fare un film/evento/concerto/etc... per celebrare una persona, perchè non calcare pesantemente la mano?

venerdì 7 giugno 2013

Paulette di Jérôme Enrico

Nelle sale dal 6 giugno.
Va bene, io c'ho provato. Ho provato a partire con più pregiudizi (negativi) possibili, a fare un pò lo snob, il superiore, avevo prontissima la matita rossa e non quella blu, volevo per una volta non fare l'entusiasta, ma non ce l'ho fatta. Dopo un tot di tempo sono stato vinto e ho ammesso la sconfitta. La Francia vince ancora, Paulette è l'ennesimo film tra il guardabile e il bellissimo di questa ultima decade. No, stavolta i risparmio il pippone "sono dei geni, fanno solo buon cinema, sono tutti belli, bravi e perfetti", la sto facendo troppo spesso, e neanche un impietoso paragone con il cinema italiano.
Paulette è una anziana signora rimasta vedova, da dieci anni esatti, dal suo Francois. Il florido risotrante che gestivano insieme è stato rilevato da un sushi bar gestito da giapponesi, vive in quei palazzoni fatiscenti della periferia parigina dove lei e circa il 10% degli inquilini sono di nazionalità francese, mentre il resto -parroco compreso- sono marocchini, algerini, magrebini, o comunque un generico africani. Paulette è razzista come poche. Li odia più che mai -parroco escluso che "si merita di essere un bianco"- e colmo dei colmi, sua figlia ha sposato Ousmane, un simpatico ragazzo di colore, da cui hanno avuto Lèo, più nero che bianco. 
La bisbetica vecchina, insopportabile, violenta e sboccata è rimasta senza un soldo in tasca, addirittura sono arrivati quelli del tribunale per l'esproprio e le hanno portato via mobili, tv e sedie. Giunta alla canna del gas, ma non per questo costretta all'umiliazione di mendicare, scopre per caso che nel suo palazzo si spaccia e alla grande, con cifre enormi alzate giornalmente. Grazie indirettamente a Ousmane, poliziotto, viene a scoprire chi comanda la zona, prezziario della roba e metodi di spaccio. Inizia così una scalata al potere e al benestare economico che manco Scarface e che la porterà a stare fianco a fianco con i "marronji" e "mangia banane" che lei odia tanto. Persino davanti ai problemi e alle lotte intestine, l'indomita vecchiaccia troverà come battere la concorrenza.

lunedì 1 aprile 2013

Il bianco e il nero #31: Dorothy Dandridge, la D è muta.

Il bianco e nero è tornato e siccome per ora ha dominato il bianco, è in arrivo un pò di nero, in tutti i sensi.
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"Quella bellissima attrice di colore che si è sempre rifiutata di fare ruoli da domestica e la cui carriera fu distrutta dalla Hollywood bianca".
Wesley Snipes alias Noxeema Jackson in A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar.

In questo semplice ricordo della drag queen Noxeema, seguito dall'elenco di tutti i film più importanti interpretati, è concentrata tutta l'essenza della mitica, e sconosciuta ai più, Dorothy Dandridge. La prima donna di colore a essere candidata come miglior attrice protagonista agli Oscar, soprannominata la Marilyn Monroe nera per la sua prorompente bellezza, -o cafe au lait dalla stampa nera- come tutte le dive ha avuto una vita difficile, fatta di amori infranti, tragedie e qualche successo. L'unica differenza con una Vivien Leigh o una Gene Tierney è che lei era nera, e negli anni 50, particolare non di poco conto. Per di più era una tipetta tosta  e si rifiutò sempre di fare i classici ruoli di "colore", fra cui lo schiavo, la serva o l'uomo della jungla, una scelta ampissima e di grande livello. Nonostante tutti questi ostacoli, grazie alla sua tenacia riuscì ad arrivare in vetta, seppur per poco tempo, come ricorda Noxeema, prima che la bianchissima Hollywood la sbattesse fuori dalla porta e dall'industria. La sua breve carriera è il più fulgido esempio del perchè nessun attore di pelle scura abbia mai sfondato prima degli anni 70 e quale trattamento veniva riservato ai più talentuosi non-bianchi.

Dorothy nacque nel 1922 a Cleveland nell'Ohio, figlia di Ruby, un'attrice che trovò spazio in piccoli ruoli in alcuni film minori. 5 mesi prima dalla nascita di Dorothy, mamma Ruby prese Vivian, l'altra figlia, e fagotto e mollò il marito per iniziare una vita tutta sua, una rinascita (un particolare anche della vita futura della figlia). Non erano sole, le raggiunse Geneva, un'amica, o per meglio dire l'amante di mammà. La donna divenne una vera e propria figura paterna ed incoraggiò, con il benestare e il supporto di Ruby, o forse sarebbe più corretto dire, inculcò a forza nelle due bambine, il talento artistico e la voglia di esibirsi in pubblico. Ogni giorno le costringeva a esercitarsi fino a che non stramazzavano al suolo. 
Effettivamente le due avevano dimostrato fin dalla più tenera età un certo talento e una certa presenza scenica. Il loro primo "ingaggio", in piena Depressione, fu quello di intrattenere le povere signore anziane, e non, nelle varie chiese della zona seguendo il tour del National Baptist Convention sotto il nome di The Wonder Children. Per ben 3 anni girovagarono per le chiese di tutto il sud fino a che queste bambine non divennero ragazze e le curve iniziano a mostrarsi. Fu allora che subentrò una terza ragazza, Etta Jones, e nacquero le Dandridge Sisters nonche un tour che le portò a visitare tutta la California e a finire addirittura al Cotton Club e all'Apollo Theatre di New York City.
In tutto questo vagare da città a città nessuna delle ragazze ottenne un'onesta educazione, un altro classico.  Inoltre mamma Ruby stava ingranando a Hollywood e lasciò il gruppo improvvisamente. Dorothy si ritrovò a 16 anni, più bella che mai, a dividere un'appartamento con la perfida Geneva nella grande mela.