Visualizzazione post con etichetta commedia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta commedia. Mostra tutti i post

sabato 5 luglio 2014

Insieme per forza di Frank Coraci

In sala dal 2 luglio.

"Deboli segnali di vita"
Negli ultimi anni Adam Sandler ha contribuito notevolmente e ripetutamente all'abbassamento dello standard -già infimo- in cui era caduta disastrosamente la commedia americana. Da esplosivo talento comico della fine anni 90 -Billy Madison, Un tipo imprevedibileWaterboy, Mr. Deeds, Terapia d'urto, 50 volte il primo bacio fino a Cambia la tua vita con un click del 2006- con una commedia campione di incassi all'anno, è passato di colpo ad essere una sciagura incapace di azzeccare mezzo film.
Era persino riuscito a darsi al genere drammatico con risultati sbalorditivi, scelto personalmente da P.T. Anderson in Ubriaco d'amore e straziante in Reign over me. Poi qualcosa si è rotto irrimediabilmente ed è iniziata una discesa agli inferi che non sembrava conoscere fondo. Io vi dichiaro marito e marito e l'inizio della collaborazione con/scoperta di Kevin James-Dennis Dugan hanno dato il fischio d'inizio, anche se il peggio doveva ancora venire, leggi "peggiore commedia del decennio", Jack e Jill, Un weekend da bamboccioni 2 (a pari merito con Comic Movie, chiaro) e "peggior commedia del secolo" Un weekend da bamboccioni 1, Indovina perchè ti odio

mercoledì 2 luglio 2014

Un milione di modi per morire nel West di Seth MacFarlane

Al cinema dal 9 ottobre.


Dopo anni e anni di serie a cartoni animati -Griffin e le meno note e meno riuscite American Dad e The Cleveland Show (oh shit...)-, Seth MacFarlane è passato nel 2012 alla regia di un lungometraggio in live action. Lo ha fatto forse nel momento migliore della sua carriera, ovvero quando il suo genio creativo e umoristico stava raschiando un barile già molto consumato. Le ultime stagioni dei Griffin sono inguardabili, insensati, non sono più divertenti e si trascinano per 22 minuti a volte senza neanche una vera conclusione. Poco importa che lui magari abbia delegato gran parte del lavoro ad altri autori, la firma sua c'è ancora. 
Era più che necessario un cambio di rotta e di medium perchè no, per un comico dal grande talento e dalla innegabile costanza -=! qualità-. Così ha fatto Ted con Mark Wahlberg, summa della sua carriera, un orsacchiotto parlante, volgare, scurrile, ninfomane e strafatto.  Umorismo un po' infantile, come livello non come sostanza, e un primo passo verso una nuova "maturità". In Ted è presente quella struttura che nei Griffin non era ormai più necessaria o prevista.

martedì 1 luglio 2014

Tutte contro lui di Nick Cassavetes

Al cinema dal 19 giugno.

Come il Pasqualone e la Pasqualina, due recensioni gender type.

Recensione per il pubblico femminile.
Il regista de Le pagine della nostra vita torna con una commedia femminista accusata di essere un plagio di un vecchio libro di Paolo Limiti, quello con il cane Flora Dora.
Carly scopre malauguratamente una sera di essere l'amante di un uomo sposato. La moglie di questi, invece che prendersela a morte, le chiede consigli su come agire e si mettono insieme per ordine una elaborata vendetta. Mentre lo pedinano e si consolano a vicenda, scoprono che c'è addirittura una terza donna, molto più giovane, più sexy, più tutto. La solidarietà femminile porterà anche la terza, Amber, ignara di tutto, a unirsi per farla pagare al bastardone. Perchè nessuna sapeva di essere un amante. 
L'inizio è incerto, il personaggio di Leslie Mann è ambiguo. E' mentalmente ritardata -oh, dice anche rinforzo celebrale- è chiaramente un diversivo comico, rispetto alla fiera Carly-Cameron Diaz, ma è poco femminista, è la classica svampita uscita dalla penna di un uomo (non Paolo Limiti) anche se la sceneggiatrice è donna, Melissa Stack.

lunedì 21 aprile 2014

Gigolò per caso di John Turturro

In sala dal 17 aprile.

Quinta regia per John Turturro, di ritorno in patria dopo la gitarella a Napoli per il suo Passione, il docufilm sulla canzone napoletana. Dopo qualche dramma e l'apice raggiunto con la commedia romantica Romance & Cigarettes, ritorna al genere comico, lui che in questo campo ha un vero talento, come dimostrano i suoi tanti film con i fratelli Coen. E non lo fa da solo, si porta dietro un amico concittadino, il re della commedia americana della seconda metà del '900, Woody Allen, nuovamente attore dopo la breve comparsata nel francese Paris Manhattan. Una coppia tutta che prometteva scintille, in una commedia tipicamente newyorksese, tipicamente alleniana sotto molti aspetti e con un cast di belle attrici come Sharon Stone, Vanessa Paradis e Sofia Vergara tutte clienti da soddisfare per il magnaccia Allen e il prostituto Turturro. Era legittimo avere grandi aspettative, era legittimo andare al cinema per farsi due belle risate e invece niente, una bella delusione moscissima.
Woody Allen è un libraio disoccupato, con la sua attività chiusa a causa della crisi economica.

venerdì 14 febbraio 2014

Vijay – Il mio amico indiano di Sam Garbarski

In sala dal 13 febbraio.

"Il funerale è per i vivi. Tu non ci sarai tanto".
"...vedremo"
Torna Garbarski a 6 anni dall'acclamato Irina Palm e cambia registro. Da una commedia-dramma con momenti "scorretti" e dal sapore molto british, a una commedia leggera e classica ambientata nella grande mela. 
Come si può, giunti alla quarantina, ravvivare il proprio matrimonio? Come si riesce, dopo 20 anni con la stessa donna, a riaccendere il desiderio o anche solo per un istante, sembrare una persona diversa, e non la solita (noiosa) con cui ci si sveglia ogni mattina? Dura, durissima, molti matrimoni finiscono in frantumi proprio per questo motivo: la mancanza di varietà.
Will Wilder -pronunciato all'americana, che cosa brutta-, attore tv nato in Germania e emigrato a New York si ritrova in questa situazione. Dopo tanti anni felici, riassunti da una bella animazione stile Up sui titoli di testa, con Julia, qualcosa si è rotto. Il sesso manca da 10 mesi, tanto che addirittura si dorme con due letti separati, e le chiacchiere e le gentilezze stanno a zero. In soccorso di Will arriva un'inaspettata tragedia. Il giorno del suo compleanno, mentre crede che tutti se ne siano dimenticati, gli viene rubata la macchina, con tanti di documenti e cellulare, ma il ladro, si schianta e muore sul colpo, lasciando solo un involucro carbonizzato.

mercoledì 6 novembre 2013

Questione di tempo - About time di Richard Curtis

In anteprima mondiale a Locarno il 16 agosto.
In uscita nelle sale italiane il 7 novembre.

It's about time, era anche ora che Richard Curtis tornasse alla regia e soprattutto a scrivere una nuova commedia per il grande schermo. L'autore di alcune delle più riuscite romance e cult comedy inglesi dell'ultimo decennio, da Love Actually a Notting Hill al Diario di Bridget Jones fino a Mister Bean, torna a 4 anni di distanza dalla sua ultima divertente scorribanda per mari con la sua Radio Rock e lo fa con una storia sui viaggi nel tempo ma ancora di più sulla vita, sulle nostre scelte e sulla famiglia. Fantascienza o racconto generazionale?
Il giorno dopo una delle più brutte serate della sua vita, il giovane e impacciato Tim viene chiamato dal babbo nel suo studio. Deve rivelargli un segreto riguardante tutti i maschi della famiglia: una volta compiuti i 21 anni, cioè proprio il caso di Tim, iniziano a viaggiare nel tempo. Basta poco, un luogo buio, molta concentrazione e stringere i pugni pensando a un luogo del proprio passato, quindi non troppo in là e soprattutto niente futuro. Nonostante Tim pensi sia uno scherzo, ci prova e riesce a ritornare alla sera precedente, migliorandola decisamente. Essendo un ragazzotto per bene, non pensa di usare questo potere per soldi, fama o potere, ma semplicemente per trovare finalmente una ragazza e formare così una famiglia. Una volta trasferitosi a Londra incontra Mary, forse quella giusta.

domenica 28 luglio 2013

Se sposti un posto a tavola di Christelle Raynal

Nelle sale dal 25 luglio.

"Magari nella vita ci fosse il rewind come in Forza Motorsport!". Lo sceneggiatore di questo film.
Dai su, voglio battere il record di minor letture per singolo post. Ahhh i matrimoni, l'evento perfetto per fare nuove conoscenze, tra una sbevazzata e l'altra, le danze, l'atmosfera di gioia, quante coppie felici sono nate così, per caso. Due perfetti sconosciuti uniti da una remota conoscenza o parentela con lo sposo o la sposa, si incontrano e scoprono la propria dolce metà.
Ma è un caso? E soprattutto il caso esiste? O siamo noi che delineiamo il nostro futuro, attraverso le nostre scelte, perché una scelta c'è sempre. Ed è così che le vite di un gruppo di persone al matrimonio di amici vengono scombussolate come i segnaposto a loro assegnati, rimescolati -e anche no- maldestramente o con giudizio da uno di loro. I possibili scenari futuri sono infiniti, chissà come finirà per ognuno di loro.
Mo ecco che riattacca con la solita tiritera del filmetto francese scritto bene, diretto bene, con un bel gruppo di attori, e la classica storiella che in mano ai cugini transalpini diventa interessante. Eh si.... quindi...bè....CIAO!

No stavolta l'entusiasmo è un po' minore. Ribadisco più o meno i soliti giudizi, anche se stavolta mi ha fatto innamorare molto meno.

venerdì 7 giugno 2013

Paulette di Jérôme Enrico

Nelle sale dal 6 giugno.
Va bene, io c'ho provato. Ho provato a partire con più pregiudizi (negativi) possibili, a fare un pò lo snob, il superiore, avevo prontissima la matita rossa e non quella blu, volevo per una volta non fare l'entusiasta, ma non ce l'ho fatta. Dopo un tot di tempo sono stato vinto e ho ammesso la sconfitta. La Francia vince ancora, Paulette è l'ennesimo film tra il guardabile e il bellissimo di questa ultima decade. No, stavolta i risparmio il pippone "sono dei geni, fanno solo buon cinema, sono tutti belli, bravi e perfetti", la sto facendo troppo spesso, e neanche un impietoso paragone con il cinema italiano.
Paulette è una anziana signora rimasta vedova, da dieci anni esatti, dal suo Francois. Il florido risotrante che gestivano insieme è stato rilevato da un sushi bar gestito da giapponesi, vive in quei palazzoni fatiscenti della periferia parigina dove lei e circa il 10% degli inquilini sono di nazionalità francese, mentre il resto -parroco compreso- sono marocchini, algerini, magrebini, o comunque un generico africani. Paulette è razzista come poche. Li odia più che mai -parroco escluso che "si merita di essere un bianco"- e colmo dei colmi, sua figlia ha sposato Ousmane, un simpatico ragazzo di colore, da cui hanno avuto Lèo, più nero che bianco. 
La bisbetica vecchina, insopportabile, violenta e sboccata è rimasta senza un soldo in tasca, addirittura sono arrivati quelli del tribunale per l'esproprio e le hanno portato via mobili, tv e sedie. Giunta alla canna del gas, ma non per questo costretta all'umiliazione di mendicare, scopre per caso che nel suo palazzo si spaccia e alla grande, con cifre enormi alzate giornalmente. Grazie indirettamente a Ousmane, poliziotto, viene a scoprire chi comanda la zona, prezziario della roba e metodi di spaccio. Inizia così una scalata al potere e al benestare economico che manco Scarface e che la porterà a stare fianco a fianco con i "marronji" e "mangia banane" che lei odia tanto. Persino davanti ai problemi e alle lotte intestine, l'indomita vecchiaccia troverà come battere la concorrenza.

martedì 4 giugno 2013

Tutti pazzi per Rose di Régis Roinsard

Nelle sale dal 30 maggio.




TITOLO ORIGINALE: Populaire.
SCENEGGIATURA: Régis Roinsard, Daniel Presley, Romain Compingt.
ATTORI: Romain Duris, Déborah François, Bérénice Bejo.
DISTRIBUZIONE: BIM.
PAESE: Francia 2012.
DURATA: 111 Min.


OGGETTO: Tutti pazzi per Rose è un film delizioso.

ALL'ATTENZIONE DI: amanti del buon cinema.




Trama: Primavera 1958. Rose Pamphyle, 21 anni, vive con il padre, un burbero vedovo che gestisce una drogheria in un piccolo villaggio della Normandia. Deve sposare il figlio del meccanico e le si prospetta un futuro da casalinga docile e applicata. Ma Rose non vuole questa vita. Parte per Lisieux, dove Louis Échard, 36 anni, carismatico proprietario di una compagnia di assicurazioni è alla ricerca di una segretaria. Il colloquio è un fiasco. Ma Rose ha un dono: lei batte a macchina a un velocità impressionante. La ragazza risveglia l'ambizioso atleta che dorme in Louis... Se vuole il lavoro, lei dovrà partecipare ad una gara di velocità di battitura. Non importano i sacrifici che dovrà affrontare per arrivare in cima. Louis s'improvvisa suo allenatore e decide che farà di lei la più veloce battitrice del paese se non del mondo! E l'amore per questo sport non necessariamente si concilia con l'amore stesso...

Commento: No no, non fatevi fregare dal titolaccio italiano, dalla locandina, dal trailer o dal vostro intuito. Non è un film romantico. Certo l'amore c'è ed è centrale, ma è un altro genere. Eh si, è un film sportivo. Ne ha tutti, e dico tutti, gli elementi. L'atleta (Rose) che deve vincere per mantenere/tenere/ottenere qualcosa (il lavoro), gli allenamenti estenuanti con un montaggio musicale, l'ex atleta ora allenatore che le insegna tutti i trucchi del mestiere, i primi fallimenti, la super campionessa stronza, gli scontri e i litigi tra allievo e maestro, un atleta con uno stile particolare (il dito singolo fulmineo) da ammaestrare e tanto tanto tifo da parte dello spettatore.
Impossibile rimanere comodi in poltrona, quando Rose affronta gli avversari di maggiore calibro, ci si alza sulla poltrona in piedi e si applaude, si urla, si fa la ola. 

sabato 9 febbraio 2013

Warm Bodies di Jonathan Levine


Warm Bodies streaming torrent
Nelle sale dal 7 febbraio.

Il modo peggiore di vendere un prodotto è renderlo oggetto di feroci pregiudizi e diffidenze: a chi si è occupato del marketing della trasposizione cinematografica di Warm Bodies, romanzo scritto da Isaac Marion, deve essere sembrata un'occasione ghiottissima quella di poterla accostare a un'altra famigerata trasposizione di grandissimo successo economico quale la saga di Twilight.
Stesso produttore, la Summit Entertainment, stesso concept di rielaborazione in chiave romantica di un mito del cinema horror, perfino l'approvazione dell'autrice Stephanie Meyer, innamorata del romanzo del collega!
Tuttavia, il rischio di scontentare tutti è altissimo: i detrattori della saga vampiresca e gli aficionados dello zombie movie, bene che vada, decideranno semplicemente di non vederlo, mentre le orde di teenager si ritroveranno per le mani qualcosa che non è esattamente ciò che gli era stato promesso.
Perché il pregio più grande di Warm Bodies è di non essere una copia carbone di Twilight.
La premessa è di quelle che fanno girare la testa (o qualcosa più in basso) ai fondamentalisti dell'ultra codificato genere: R è uno zombie che, sebbene non ricordi il proprio nome, conserva dentro di se un barlume di umanità e qualcosa che somiglia a un sentimento di rimorso nei confronti delle proprie pulsioni cannibalesche. Addirittura riesce a produrre, di tanto in tanto e grazie a enormi sforzi, dei suoni che sembrano parole. Si ciba del cervello delle proprie vittime per accedere ai loro ricordi ed avere una parvenza di vita e per non arrendersi alla propria condizione e diventare come le creature senz'anima affettuosamente ribattezzate Ossuti.
I pochi sopravvissuti all'apocalisse vivono barricati in una città fortificata da cui escono in piccoli gruppi solo per procacciarsi cibo e farmaci. E' durante una di queste pericolose gite che R divora il cervello di un malcapitato, acquisendone ricordi e sentimenti e innamorandosi, di conseguenza, della di lui fidanzata, Julie, al punto da salvarla dall'aggressione del branco e portarla con se. Per Julie che, essendo da sempre convinta dell'esistenza di una cura all'epidemia zombie, mal sopporta gli atteggiamenti da gestapo del padre, capo militare dei sopravvissuti, si presenta l'occasione di dimostrare la fondatezza delle proprie idee, nonché la possibilità di rivalsa nei confronti del genitore.
Cosa rendeva Twilight un film orribile?
I sentimenti strillati, le pose plastiche dei protagonisti, l'atteggiamento irrispettoso nei confronti del mito del Vampiro, la produzione sciatta e poco curata. Ma sopratutto la totale assenza di ironia.
Basterebbe dire che Warm Bodies non è nulla di tutto questo e chiudere la recensione qui, ma scendiamo nel dettaglio.
Innanzitutto, trattasi di pellicola fortemente auto ironica che non ha bisogno di stravolgere le caratteristiche  dello zombie, facendolo sbrilluccicare alla luce del sole, e che piuttosto scherza sui cliché del mostro, va detto non sempre in maniera intelligentissima ma concedendosi di tanto in tanto discese nello slapstick già percorso da altri (Shaun of the Dead). Essere una creatura ciondolante e verdognola non è né figo né degno di ambizione, non conferisce particolari abilità né offre prospettive desiderabili, anzi è piuttosto una condizione malinconica e degradante dal quale il protagonista tenta di sollevarsi tramite il più nobile dei sentimenti. Più Frankenstein che zombie classico, R è una creatura incompresa che anche quando riesce a tenere a freno i propri istinti resta un cadavere dagli occhi vitrei e la bocca sporca del sangue delle proprie vittime; i riferimenti alla tragedia di Romeo e Giulietta sono evidenti, come ogni amore impossibile che si rispetti, e si palesano nei nomi dei protagonisti e in una scena simbolo. 
Sorprende la bontà della produzione, nessun elemento denuncia la ristrettezza di budget (30 milioni di $) a parte alcuni effetti speciali digitali non esattamente riuscitissimi: buonissime la fotografia, la colonna sonora (a base di pezzi dei Guns 'n' Roses, Scorpions, Springsteen e Bob Dylan) e, sopratutto, le scenografie squisitamente desolanti e decadenti; decente la regia di Jonathan Levine, già autore dell'acclamato 50 e 50, che sebbene si conceda qualche ridondanza, non è affatto uno sprovveduto mestierante. Meritano una menzione anche le scelte di casting: se John Malkovich appare leggermente sprecato nella particina del padre padrone, i due giovani protagonisti convincono senza riserve, soprattutto Teresa Palmer. Evidentemente chiamata per la somiglianza con Kirsten Stewart, fortunatamente ne condivide solo l'aspetto e non le risibili doti recitative.
Qualcosa però non funziona, se nel già citato L'alba dei morti dementi l'equilibrio tra i vari registri era pressoché perfetto, in Warm Bodies spesso e volentieri la parodia e la love story tendono ad essere preponderanti nei confronti del dramma e dell'horror (quasi inesistente), conducendo la pellicola verso un finale a tratti accomodante e tutto sommato prevedibile. Sia chiaro, non si scade mai nella frase fatta stile Baci Perugina che contraddistingueva ogni singola battuta della saga vampiresca della Meyer, e considerato il target di riferimento è già tanto, ma resta un briciolo di rammarico per quello che aveva le potenzialità (non del tutto inespresse, brillante il ribaltamento di prospettiva e la scena madre del “sanguinamento”) per essere qualcosa di più di un buona teen rom-comedy.


sabato 24 novembre 2012

Il bianco e il nero #24: L'impassibile Buster Keaton

*(causa impegni, lunghi viaggi e poco tempo, questa puntata andrà "in onda" in edizione breve).

"Il silenzio è degli dei: solo le scimmie ciaccolano".

Da discreto appassionato di film muti e fervente spettatore di commedie, uno dei miei attori (e registi) preferiti è il funambolico Buster Keaton. Con i suoi film riesce sempre a farmi spuntare un sorrisone a 32 denti e a spazzare via in un colpo tutte le delusioni di una giornata storta. La magia terapeutica del cinema! 
Aimè, Keaton è famoso si, ma vuoi perchè appartiene a quei "brutti filmacci senza audio" e vuoi perchè, normalmente viene eclissato dalla mole del collega Charlie Chaplin (anche lui silenzioso ma famoso anche e soprattutto per le pellicole sonore), non ha tutta quella gloria che meriterebbe, ed inoltre raramente il pubblico guarda interamente i suoi film. 
Con questo però non voglio sminuire Chaplin, un altro dei miei preferiti, nè voglio fare un'analisi delle diverse comicità dei due (forse più profonda e celebrale quella di Chaplin, mentre più fisica e malinconica quella di Keaton), voglio solo scrivere due righe su uno dei miei eroi e darvi dei link giusti.

Con una faccia simile si potrebbe pensare tutto di Keaton fuorchè sia un attore da commedia che ha fatto ridere milioni di persone e diverse generazioni. Eppure, senza mai fare la benchè minima espressione, è riuscito a firmare le più belle e divertenti pellicole della storia del cinema. Capolavori come Io e il ciclone, Io e la vacca, oppure Come vinsi la guerra, Calma, signori miei! ed ancora Il cameraman e Il navigatore sono in grado ancora oggi di surclassare commedie infarcite di grandi dialoghi e situazioni spassosissime. Grandi come Woody Allen, Orson Welles, e poi Maurizio Nichetti e Carmelo Bene hanno sempre sottolineato, e omaggiato talvolta, l'importanza di Keaton nel loro modo di fare cinema e di esprimersi. Molti invece hanno voluto lavorare con lui, come Wilder che l'ha inserito nel suo ritratto nostalgico del cinema del passato in Viale del tramonto, o Chaplin con cui ha fatto coppia nel celeberrimo Luci della ribaltà, o ancora Samuel Beckett nell'unico corto da lui scritto ed infine persino gli italianissimi Franco e Ciccio in Due marines e un generale.

giovedì 15 novembre 2012

The Angel's Share - La parte degli angeli di Ken Loach

Nelle sale italiane dal 13 dicembre, in concorso a Cannes 2012.
"All'alcol! La causa di e la soluzione a tutti i problemi della vita!" è un famoso motto di molti alcolisti coniato da Michel Zamacoïs. Che l'alcol sia un problema serio lo sanno bene nel Regno Unito dove la lotta alla sbronza, soprattutto a livello giovanile, è all'ordine del giorno. Nella patria dei pub, degli hooligans e della pinta i dati sull'alcolismo, o per meglio dire sull'abuso di alcolici, sono surreali. Solo nel 2011 sono stati 200mila i ricoveri ricollegabili a drinks, cocktail e birre, mentre nel solo 2007 sono stati spesi 2,7 miliardi di sterline (3,3 miliardi di euro) dal servizio sanitario nazionale per assicurare cure, trattamenti e servizi agli etilisti. Potrebbe sembrare uno stereotipo razzista ma i dati parlano da soli. Il problema è stato spesso sottovalutato dal governo britannico che ora sta correndo ai ripari con aggiunta di tasse su ogni sostanza alcolica e ingenti divieti e controlli per evitare che anche i minorenni si "sballino" in questo modo.
Quello che è ovvio, tuttavia, è che l'alcol non è di per sè un male. Quando avviene un abuso, qualsiasi cosa diventa un male. Ken Loach, il prolifico regista inglese (e speriamo continui a esserlo. Prolifico, non inglese. Inglese lo rimarrà sempre) è uno dei più attenti osservatori della realtà contemporanea mondiale ma soprattutto nazionale. Da sempre impegnato nel portare al cinema vari aspetti della classe operaia britannica, e recentemente impeganto anche a livello politico con il partito Respect, dopo aver trattato il difficile tema del precariato e della globalizzazione in In questo mondo libero..., decide di buttarsi sull'alcol.
Prende il motto iniziale di Zamacoïs e invece di parlare di cause di problemi, parla piuttosto di alcol come soluzione ad essi. Protagonisti sono quattro ragazzi sui vent'anni, tutti molto problematici che sono riusciti a scampare la galera e che dovranno scontare la loro pena con dell ore di lavoro socialmente utile. Robbie sta per diventare padre, ma finisce sempre in risse violente, a volte causate dal suo caratterino, a volte solo perchè è odiato dall'entourage famigliare della sua fidanzata. Ragazzo intelligente, vede nella nascita del figlio un motivo per rigare dritto e essere un padre modello. Albert è un beone, per lui ubriacarsi è la normalità, lui che di normale non ha nulla. Rhino sembra ed è una persona sanissima ma si diverte a imbrattare i monumenti nazionali. E infine c'è Mo, taccheggiatrice incallita, ruba cose di cui neanche ha bisogno. E' una vera malattia.
Vengono presi sotto l'ala protrettrice di Albert, il simpatico responsabile del gruppo per cui dovranno lavorare. Albert ha una passione, il whisky, e per lui l'alcol è appunto un motivo di studio, di condivisione, è una gioia non una necessità per evadere dalla realtà. Un giorno decide di portare i suoi sottoposti a una gita premio a una distilleria, un rischio dato che molti alzano facilmente il gomito. Per Robbie è una rivelazione, conosce un nuovo mondo che lo salverà. Un mondo dove ci sono molti esperti e collezionisti, dove si assapora e si giudica, non si ingolla e si vomita, dove c'è rispetto e rigore e non casino e sbornie del giorno dopo. Dove infine, una bottiglia di buon whisky può costare anche 1 milione di sterline ed è qui che la sua mentalità criminale entra in gioco. Un furto per sistemare la sua vita e quella dei suoi amici, e tuttavia un furto senza troppe vittime.

E' inevitabile che mi esprima ora in due scontatissime quanto adatte metafore. Ken Loach è come il buon vino, più invecchia e meglio è. Succede spesso che più un artista invecchi e più la sua lucidità e la sua grandezza appassiscano. Nessuno li costringe a ritirarsi, ma nessuno costringe il critico o lo spettatore a roteare gli occhi e a pensare al glorioso passato. Non è il caso di Loach che più passano gli anni e più continua a sfornare fenomenali film e per di più con una certa regolarità.
Inoltre il cinema di Loach sta a un ottimo vino o a un ottimo whisky, come un filmaccio di cassetta sta a una birra da supermercato. Il secondo va visto così tanto per, a tempo perso, magari mentre si fa altro, magari perchè non c'è altro da vedere. Rimane poco dentro di noi, e soprattutto non rimane il sapore, l'esperienza. Tutto il contrario di un buon vino, un buon Loach, che va assaporato, fatto decantare, a cui va data la giusta attenzione e il giusto rispetto. Ogni sua pellicola è una piccola perla che fa breccia nel nostro cuore. Ogni volta, con quel suo mix di facce, umorismo, impegno sociale e corretta e spietata analisi della società moderna, riesce a infiammarci come un buon alcolico che scende piano piano nell'organismo. E siamo inebriati, felici e soddisfatti.
E' notevole come in questo caso riesca a trasformare un argomento spinoso in una commedia di grande profondità. Una pellicola che andrebbe mostrata ai tanti ubriaconi britannici come programma di riabilitazione, perchè ammantata di un amore e un fascino, di una passione per il whisky, che trasformerebbe anche il peggiore dei tracannatori. Invece di mostrare storie tristi e di riscatto, Loach usa un altro stratagemma, prende un'altra strada, molto più funzionale. Prende per la gola e con la curiosità lo spettatore, tramite aneddoti (the angel's share non è altro che la parte di alcol che viene fatta evaporare, circa il 2% ogni anno, dalle enormi botti di whisky lasciate a riposo per decine di anni. L'alcol disperso nell'aria viene regalato agli angeli) e descrizioni particolareggiate composte dai nasi dei sommelier più acuti.
Con quel finale poi, dopo una storia che prende una piega tra le più surreali dei suoi film, chiude dicendo che comunque non basta la passione e un gruppo fidato di amici, ma serve anche un cervello e chi ce l'ha può continuare sulla buona strada imboccata, mentre chi non ce l'ha, torna quello che era prima.
Ancora più realismo è dato dal classico uso del regista di attori non professionisti. Nessuno eccelle ma sono tutti dei volti perfetti e in alcuni casi simpaticissimi, soprattutto il terribile Gary Maitland nella parte di Albert (come si fa a non odiarlo a pochi minuti dalla fine!). Inutile poi sottolineare come un film del genere andrebbe visto in lingua originale, in quello scozzese così incomprensibile. Vederlo doppiato sarebbe come aggiungere dell'acqua al proprio drink. Va bene adesso le ho finite tutte le metafore.
The Angel's Share -uscirà sicuramente in Italia, grazie alla BIM, ma in un periodo sovraffolato di blockbuster e film prenatalizi- è in definitiva una dei migliroi film dell'anno, una di quelle pellicole europee sottotraccia che fanno impallidire le maggiori produzioni hollywoodiane. Un film con grande cuore, una commedia divertentissima e una pellicola che rimane dentro e che lascia molto su cui riflettere.
Viva Ken Loach, regista da assaporare senza alcuna moderazione.

lunedì 18 giugno 2012

Benvenuto a bordo di Eric Lavaine


(in sala dal 15 giugno)
I francesi stanno sempre sul pezzo, non c’è che dire. A meno pochi mesi dall’incidente della Costa Concordia, fanno uscire nelle sale (italiane, perchè in Francia è sucito a ottobre, quindi premonitore addirittura) una commedia estiva con protagonista uno Schettino transalpino.
Remy Pasquier è infatti il neo assunto a bordo di una crociera (una Costa Crociere). No non è capitano ma un semplice animatore, peccato però che sia un vero imbecille. Non conosce le lingue, non ha mai fatto questo genere di mestiere (la sua unica esperienza è al Luna Park), si presenta al colloquio con 3 ore di ritardo e senza scusarsi e gran finale, il suo curriculum è sporco di sugo. Allora perchè lo assumono? Perchè Isabelle, resposanbile risorse umane, lo usa come vendetta contro il suo capo e ex amante che l’ha appena mollata e licenziata. 
Remy ne combinerà di ogni sulla nave,  ma non potrà essere licenziato altrimenti Isabelle rivelerà alla moglie del capo di essere stata per mesi la sua amante. L’imbranato e fancazzista Remy però porterà anche molta allegria a tutta la ciurma, rivelandosi non proprio quel disastro ambulante che sembra.
Va bene, lo ammetto, ho un debole per le commedie francesi, ma d’altronde come non si può? Dopo prodotti come Quasi amici o Benvenuti al nord, ti fidi di tutto no? Questo film dell’esordiente Lavaine è molti gradini in basso rispetto ai suoi predecessori. E’ una commedia quasi commediaccia, sciocchina e prettamente estiva  nonche una bella marchetta per le compagnie di crociera, un pò finite in disgrazia ultimamente.
Ci sono di sicuro molte battutine e gag simpatiche, moltissime già sventolate nel trailer, il trio Franck Dubosc-Philippe Lellouche-Valerie Lemercier non ammette rivali nel far ridere o almeno sorridere, ma siamo davanti a un tipo di ironia infantile, basata sul gioco di parole o sulla infinità stupidità di Remy. Alcune trovate sono poi fin troppo sceme, per una pellicola che riesce anche a emozionare con le molteplici storie d’amore che si intrecciano.
Eppure, pur impegnandosi poco, i francesi sfornano il perfetto prodotto estivo che rimane di gran lunga superiore a un qualsiasi cinepanettone estivo italiano. E questo perchè sono privi di cafonaggine, volgarità, nudo, o volti stantii che ogni natale-ferragosto ci vengono propinati in location esotiche diverse. 
Infatti la Francia mostra come al solito un certo modo e un certo tatto, magari infantile in questo caso, ma mai deprecabile. Insomma, mille volte meglio un Remy Pasquier che  il solito De Sica puttaniere. Vive La France! ma con moderazione.

Voto 5.

Il Monco.

giovedì 14 giugno 2012

21 jump street di Phil Lord e Chris Miller

(da domani, 15 giugno, nelle sale italiane)
Vi ricordate quella serie TV  andata in onda a cavallo tra fine anni 80 e inizio anni 90 con Johnny Depp? No neanche io, però su Tumblr sono mesi che circolano immagini di questo 21 jump street e allora ho deciso di beccarmelo. Ovviamente trattasi della versione lungometraggio della serie.
Shmidt (Jonah Hill anche produttore e co-soggettista) e Janko (Channing Tatum pure lui produttore) sono due poliziotti che si completano a vicenda. Il primo è grassoccio e imbranato ma molto intelligente, il secondo è bronzo di riace, atletico e spettacolare in qualsiasi cosa, ma una capra. Dopo aver fallito un arresto vengono mandati a 21 jump street sede della Chiesa koreana Aroma di Cristo ma anche della sezione sotto copertura. Vengono quindi infiltrati in un liceo, perchè ancora giovani d'aspetto, per scoprire chi spaccia la Holy Shit, una droga che uccide, e chi la produce.
Janko non vede l'ora, tornare a essere il figo della situazione, il re del ballo, il bullo della scuola mentre Shmidt, secchione nerd, non ne vuole sapere di tornare a rivivere quegli anni di soprusi, imbarazzi e pestaggi. Ma le cose cambieranno, perchè la scuola è cambiata e lo sfigato Shmidt, aiutato anche da uno scambio di profili, diventerà cool, mentre Janko se la farà con gli sfigati. Ahhh cosa non si fa per fare il primo arresto...
Commedia-action sul filone di The other guys o Fratellastri a 40 anni (per il tipo buddy buddy), infatti ci si aspetta da un momento all'altro che esca il mitico Will Ferrell da qualche parte (no). Ma gli elementi ci sono tutti; lunghi dialoghi non sense, esagerazioni, amicizia molto bizzarra ai limiti dell'omosessualità, per non parlare dei tipici attori macchietta, come Chris Parnell (Hot Rod) o Rob Riggle (sempre nei film di Ferrell). Insomma c'è tutto, e pure di più. Jonah Hill è già un veterano nei ruoli comici (molto bravo anche nel "drama" Cyrus) ma Channing Tatum è la vera sorpresa. Il bel palestrato rinomato per quella valanga di pop-rom-com, si scopre come decente e simpatico attore, capace di strappare più volte, non solo qualche risata ma anche la scena al ciccio Hill, dimostrando quindi una certa versatilità inaspettata. Insieme formano una gran bella coppia, confermando l'esperimento già riuscito con Mark Wahlber per The other guys.
Certo, non è al livello delle migliori commedie del genere, non è una risata continua ma ha dei momenti ben costruiti. Come le molte imitazioni dai cop movies, per fare un esempio l'esilarante inseguimento in autostrada e le esplosioni assenti, o il geniale cameo finale di...bè un attore della famosa serie sopra citata.
Scritto bene, divertente, molto ben ritmato. Consigliato per chi cerca una commedia adrenalinica, senza battute facili o sciocche, o a chi ama il genere Will Ferrell o ancora a chi è piaciuto il recente 30 minutes or less.

Voto: 6.5+

EXTRA: l'Eric del film vi ricorda qualcuno? E' il fratello minore di James Franco.

Il Monco.