-It's Carrie!
Ormai è quasi un appuntamento fisso, almeno un paio di volte all'anno mi ritrovo a dover parlare di qualche remake, preferibilmente di un classico dell'horror. Remake che nella stragrande maggioranza dei casi, se non sempre, si confermano degli sterili tentativi di rivendere la stessa storia a una nuova generazione (ma anche agli appassionati come il sottoscritto, che prima gridano la loro indignazione sul web e poi puntualmente ci ricascano, per una strana e inguaribile forma di masochismo). L'unica cosa peggiore di doverli vedere è doverne parlare, forse perché dopo tanti anni e tante visioni si esauriscono i giri di parole, le battutacce e le iperboli, forse perché sono film così poveri di idee che finiscono per prosciugare anche la creatività di chi li guarda. Fatto sta che ci risiamo, ma prendiamola alla larga:
Carrietta N. White nasce nel 1974 dalla pena di un giovane e squattrinato Stephen King, sulle pagine di un racconto breve destinato alla rivista Cavalier (il sesto ad essere scritto e il primo ad essere pubblicato). Come molte creature/creazioni del re del brivido, Carrie si insinua nella mente dell'autore a partire da un fatto realmente accaduto, in questo caso la vita delle studentesse del liceo di Hampden nel Maine (duh!?), dove King insegnava inglese. Ma al re Carrie non piaceva affatto, forse perché era la prima volta che raccontava un punto di vista femminile, o forse perché era un punto di vista particolarmente tormentato, fatto sta che la abbandona dopo poche pagine, finché la Moglie Tabitha, a cui verrà dedicato il romanzo, non lo incoraggia a terminarlo.
Il resto è storia, ma quella di Carrie, purtroppo e per fortuna, non finisce qui. Oltre ad essere il primo successo letterario di King, è anche il primo suo romanzo ad essere trasformato in un film (il primo di molti, ma uno dei pochissimi degni di nota). La regia viene affidata a Brian De Palma, che aveva appena infilato uno dietro l'altro Sisters, Il Fantasma del Palcoscenico e Complessi di colpa, il suo stile quindi era già pienamente consolidato e infatti in Carrie ritroviamo già tutti gli echi hitchcockiani e le geniali intuizioni visive che lo hanno reso grande. Carrie è un successo straordinario, un ulteriore consacrazione per il regista, che due anni dopo tornerà sull'argomento con The Fury, ma anche per Stephen King, che, intascato l'assegno, continuerà a macinare romanzi e a portarli sullo schermo con risultati altalenanti.
Eh si... |
di uno scialbissimo teen drama che incarna il peggio degli anni '90 televisivi e cinematografici. Anche la conclusione non riserva sorprese, e a parte qualche momento splatter la messa in scena è così povera che ci si chiede dove siano finiti i 21 milioni di dollari di budget (mentre quello di De Palma ne costò a malapena due). Da segnalare la presenza di Amy Irving, che torna ad vestire i panni di Sue Snell. Naturalmente è un flop, ma evidentemente non abbastanza grande da scoraggiare altri tentativi. Nel 2002 un certo David Carson dirige Carrie, l'ultimo di molti adattamenti televisivi delle opere di King, più lungo (circa due ore e dieci) e per certi versi molto più fedele al romanzo, che era scritto sotto forma di epistolario e includeva diversi episodi tagliati dal film del '76 per questioni di budget (la famosa pioggia di sassi per esempio), il finale invece, aperto e meno tragico, avrebbe dovuto aprire le porte ad una serie televisiva mai realizzata, o almeno così si vocifera. Questa volta la protagonista è la promettente Angela Bettis già vista in Storia di una capinera di Zeffirelli e in Ragazze Interrotte, che nello stesso anno interpreta un ruolo molto simile nell'ottimo May di Lucky McKee, il piccolo cult che lancerà lei e il regista nel panorama dell'horror indipendente.
Direte voi: perché questa lezione di storia ? Intanto perché nel bene o nel male questi film in Italia sono poco conosciuti, e poi per arrivare ad una premessa che reputo abbastanza importante: Carrie, il film del 2013 che arriva nelle sale italiane domani, è il quarto film sullo stesso personaggio e il terzo remake in meno di quarant'anni. Un lasso di tempo abbastanza breve certo, ma abbastanza lungo da coprire cambiamenti e rivoluzioni piuttosto significative, soprattutto per quanto riguarda il modo di vivere l'adolescenza. Ma di questi cambiamenti nei remake come Carrie non c'è nessuna traccia. Non solo non si può parlare di ri-contestualizzazione dell'opera, ma nemmeno di banalissimo "aggiornamento", perché la modernità, il nuovo, vengono intesi nel significato più ovvio e superficiale del termine. Ed ecco quindi la grande intuizione: l'aggressione nelle docce, la bellissima sequenza che apriva il film di De Palma, viene immortalata con un telefonino e caricata su youtube (un upload sorprendentemente veloce tra l'altro) con conseguenze telefonatissime. Uno dei cliché più sfruttati dal cinema post 2000, ma anche pre, perché la stessa idea con gli stessi identici risvolti veniva già utilizzata in Carrie 2.
Non ci crede nemmeno lei. |
"e per farci capire che sta usando i suoi poteri deve agitare le mani e fare smorfie ridicole"
RispondiEliminaAHAHAHAHAHAH! No, via, è un Bmovie?
Ma magari fosse un b-movie, è costato pure un patrimonio.
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