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venerdì 12 luglio 2013

Speciale Sharknado: Lo squal(l)o(re) estivo.

In occasione dell'uscita del film del secolo, Sharknado (ne parlo sotto e spero di recensirlo a breve), proponiamo ora uno speciale sui "migliori" e più bizzarri film sugli squali mai prodotti.
Lo so cosa state pensando; adesso parlerai di Shark Night 3D o Bait o Deep Blue Sea o ancora Shark 3D finito al festival di Venezia chissà come. No, questi sono dei film troppo mainstream in confronto, questi sono stati discussi e accolti dalla critica internazionale (chi male, chi male), sono film anche abbastanza banali, con il solito squaletto e nulla più. No, in questo speciale si parlerà dei pesi massimi, dei colossi, di quei film con squali così ... diversi, da lasciare inermi davanti alla fantasia dell'essere umano.
Spielberg "inventò" il genere nel 1975 con il suo capolavoro Lo squalo ma ne lui ne nessun alto si sarebbero potuti aspettare il livello a cui siamo arrivati oggi. Ci serve una barca mooolto più grossa!

Direi di partire proprio da lui, Sharknado appena andato in onda, l'11 luglio sul canale americano SyFy 
(quindi reperibile a breve sul vasto illegale mondo dell'internet). Che diavolo vuol dire Sharknado? Fino a Shark ci arriviamo tutti ma -nado? Uno squalo tornado o un tornado fatto di squali? Non siamo ridicoli su. La seconda, si si, è quella corretta. Il regista Anthony C. Ferrante e lo sceneggiatore Thunder Levin se ne sono usciti con l'idea del secolo. Dietro tutto ciò c'è l'Asylum, la casa di produzione di mockbuster capace di regalarci già capilavori come Titanic 2, Transphormers, Zombie apocalypse
Non credo serva aggiungere altro. Per ora vi lascio il trailer, il link all'intervista allo sceneggiatore, Levin (aspettando quella a Ferrante, a breve), e una foto di Mia Farrow che guarda Sharknado.  E non sapete il meglio, lasciate perdere il tornado fatto di squali, c'è Tara Reid!
Nei prossimi giorni dovrei riuscire a vederlo e posterò la mia opinione a riguardo. Intanto fate un giro su Twitter, la gente sta letteralmente impazzendo.

venerdì 11 gennaio 2013

Filmbusterds Awards! Vote or die

Il 2012 è finito, viva il 2012. Siamo passati indenni attraverso le profezie Maya, i mille blockbusters targati USA e i nuovi cinepanettoni camuffati da 'non-cinepanettoni'. Per fortuna c'è stata anche molta robba bella, meritevole, in alcuni casi film da annoverare tra i migliori dell'era post 2000. Ebbene, noi Filmbusterds, per festeggiare i nostri primi sei mesi e onorare l'anno appena conclusosi, abbiamo deciso di fare la classica classificona del meglio e del peggio, ma al contrario di tutti gli altri, abbiamo deciso di fare scegliere a VOI il miglior film, regista, attore etc... Noi abbiamo deciso i nominati, voi i vincitori. Let's go!
Per un approfondimento delle categorie (perchè abbiamo messo X e perchè non abbiamo messo Y, perchè questo e perchè quello)  l'ascolto della Puntata numero 20 (http://filmbusterds.blogspot.it/2013/01/filmbusterds-episodio-20.html) registrata l'8 gennaio, è propedeutico e obbligatorio.
Sarebbe molto gradito un commento o una discussione qua sotto, nello spazio Commenti. Grazie.

Breve Regolamento.
-Il sondaggio non richiede iscrizione, è del tutto anonimo, ma sarebbe gradito un Mi piace alla pagina http://www.facebook.com/Filmbusterds o un follow su Twitter https://twitter.com/Filmbusterds.
-Potete votare un elemento per ogni categoria, non più di uno. 
-Potete votare tutte le volte che vorrete, da qui alla chiusura del sondaggio. Anche più volte consecutivamente, basta aggiornare la pagina.  
-Potete votare anche solo una parte delle categorie, non tutte. Se non avete visto alcuni film o siete indecisi, potete saltare. Ma su dai, votate anche per simpatia.
-I film in questione sono tutti usciti nelle sale italiane nel 2012, salvo rari casi, tuttavia di facile reperimento. 
-Durata del sondaggio: fino al giorno 22 gennaio verso le ore 18.
-I risultati verranno annunciati nella prossima puntata, la numero 21.

Qui sotto trovate tutte le nove nomination, scrollate a gradimento.
SONDAGGIO CHIUSO (in grassetto i vincitori)

sabato 5 gennaio 2013

The Master di Paul Thomas Anderson

Nelle sale dal 3 gennaio
Premiato alla Mostra del cinema di Venezia
Leone d’argento per la Miglior Regia
Coppa Volpi ex-aequo a Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix per il Miglior Attore.

Osservando Joaquin Phoenix che si muove attraverso le primissime sequenze di The Master mi è venuto subito in mente The Howl, di Allen Ginsberg, e il suo celeberrimo incipit: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade negre all’alba in cerca di droga rabbiosa [...]”. E il Freddy Quell di Phoenix è proprio una di queste menti, un marinaio di ritorno dal Giappone al termine del secondo conflitto mondiale. Del suo passato non traspare ancora niente, sappiamo solo che quello che gli è successo, gli orrori della guerra e l'abuso di alcolici prodotti artigianalmente, lo hanno trasformato in una bestia, un concentrato di tic e nevrosi che lo sconvolgono sia nella mente che nel fisico. Ingobbito, praticamente storpio, con il volto perennemente contratto in una smorfia terribile, vive solo per assecondare le pulsioni e gli istinti più elementari. E un individuo del genere non può che che essere attratto irrimediabilmente verso il suo opposto, Lancaster Dodd, il leader di La Causa, un vero e proprio culto che si propone di allontanare l'essere umano dal baratro attraverso un uso molto poco ortodosso dell'ipnosi.
Ancora una volta un incontro/scontro quindi, perché il cinema di Paul Thomas Anderson, almeno quello delle ultime due pellicole, è anche un cinema di personaggi, figure colossali che si scontrano e deflagrano facendo piazza pulita intorno a loro. Come Daniel Plainview si imbatteva nella sua nemesi Paul/Eli, guarda caso anche lui al centro di un culto, così Freddy è calamitato quasi inconsapevolmente verso il suo maestro. Ma mentre il petroliere era metodico e geniale nella sua follia, Freddy è un personaggio brutale e privo di ogni freno, un cane sciolto pronto a sbranare chiunque si avvicini al suo padrone, padrone che ancora una volta si illude di poter domare e controllare la bestia. Due forze inconciliabili insomma, forse davvero due anime che si sono incrociate in un'esistenza precedente, ma che ogni volta che si incontrano sono destinate a cozzare violentemente e a rimbalzare uno lontano dall'altro, come suggerisce lo stesso Dodd.

sabato 15 settembre 2012

Pietà di Kim Ki-duk

Nelle sale dal 14 settembre.
Kim Ki-duk è tornato e non solo formalmente -quello lo aveva già fatto un anno fa con Amen, un prodotto troppo personale che non lo convince e lo ritirò dalla visione al pubblico dopo poco tempo- ma letteralmente. Ne è valsa la pena aspettare quattro anni, tanto è passato dal suo ultimo film, Dreams, per poter godere a pieno del meraviglioso Pietà.
Ancora più gioia si prova nel vederlo trionfare alla 69esima mostra del cinema di Venezia dove ha sbaragliato la concorrenza composta da nomi come P.T. Anderson e Terrence Malick e festeggiare intonando un piccolo assaggio di Arirang.
Kim è rinato, dopo una pausa autoimposta in seguito a un incidente accaduto sul set (proprio di Dreams) che ha causato una crisi sia produttiva sia esistenziale. Non si riconosceva più, non capiva in che direzione il suo cinema e la sua vita stessero andando. Ha avuto il bisogno di isolarsi, di una lunga autoriflessione per comprendersi e anche perdonarsi (qualora ci fossero delle reali colpe), per perdere quella pressione che sentiva sulle spalle, diventato in pochi anni il più fulgido esponente del cinema asiatico post 2000, con una folla sempre più grande e sempre più in attesa del suo prossimo lavoro. Lo ha fatto nell'unico modo che conosce, con la macchina da presa, in Arirang.

"I bastardi siete voi, che vi indebitate senza ragionare e poi non saldate i debiti".
Torna con un film rischioso, come hanno sottolineato molti. Un'opera contemporanea, legata al presente e alla situazione economica che la nostra epoca sta attraversando. Un film fortemente sentito, viscerale e capace di colpire in più punti, al cuore, allo stomaco, al cervello. 

Lee Kang-do lavora per uno strozzino che ogni giorno lo sveglia con la foto di un nuovo malcapitato in ritardo coi pagamenti da andare a trovare. Per ogni cifra richiesta, gli interessi sono del mille per cento, in pratica, impossibile saldare il debito. Ma Gan-do non si fa problemi e soprattutto non ci rimette di certo di tasca sua. Se uno dei poveri artigiani locali non può pagare, viene reso invalido di modo che i soldi dell’assicurazione potranno ripagare il debito. Un giorno però si presenta a casa sua una donna, sostenendo di essere la madre che lo abbandonò appena nato. Kang-do non si fida e sottopone la donna a prove disgustose. Una volta ottenuta la fiducia, inizia per i due una nuova vita. Finalmente riuniti, passano le giornate come fossero tornati indietro nel tempo, all'infanzia del ragazzo e tornano a essere una vera famiglia. Kang-do conosce il perdono e la pietà appunto, davanti alle sue vittime. Questo idillio si rompe quando uno dei debitori storpiati rapisce la madre e minaccia di ucciderla. Il carnefice che si riscopre vittima.

Nel piccolo quartiere di Cheonggyecheon si vive in povertà, nella sporcizia, chiusi nelle officine che fungono anche da casa, con la città, Seoul, e i suoi grattacieli che stanno per sommergerlo, distruggerlo, mangiarselo vivo. Non c'è più spazio per i piccoli professionisti con la propria torneria o la modesta officina. Il capitalismo sta per inghiottirli e il suo unico mezzo e arma infallibile è il denaro, il vero protagonista del film. Li colpisce con i debiti, li elimina. E' una situazione senza via d'uscita. Persino un povero coniglio, simbolo di innocenza, una volta liberato, non riesce a salvarsi, a sfuggire al suo destino prestabilito.
Non c'è quindi salvezza per Kim, nel suo film più nero, più atroce. Non c'è salvezza per questa gente, perchè non esiste un altra realtà nel film, non la vediamo. I grattaceli e il benessere sono lontani, sono solo uno sfondo, irraggiungibile e intoccabile. 

A Cannes vinse l'amour, a Venezia vince la pietà.
La pietà del titolo -ispirata da quella di Michelangelo, scultura vista dal regista in diverse occasioni durante le sue visite in Vaticano- si dirama verso tre direzioni. Pietà per un uomo, uno strozzino, violento, senza morale, senza coscienza, ma vissuto senza una famiglia, senza una madre amorevole. Pietà verso una madre che ritorna dal figlio, pentita, addolorata. Pietà per la condizione umana, per i commercianti, che la invocano a gran voce, invano. Pietà insieme alla vendetta, l'altra faccia della medaglia, l'altra reazione. Perchè non tutto può essere perdonato, non tutto merita pietà.

 Non solo Kim Ki-duk è tornato ma è ritornato alle origini. Pietà è molto simile ai suoi primi lavori (The isle o Adress unknown, Bad guy) dove nel connubio violenza e poesia, la prima prende un leggero sopravvento. Come se fosse animato da un nuovo vigore, un nuovo furore, il regista è ringiovanito risponde così alle critiche di una immobilità creativa e stilistica, e di una certa ripetitività nelgi ultimi lavori. E' quini un film di rottura, anche di più di Arirang.
Pietà è un film meraviglioso per la gamma di sensazioni che riesce a far trapelare dalla pellicola. Lo shock della violenza nuda e cruda, la compassione per un povero neo-papà, capace di farsi amputare entrambe le mani pur di dare al figlio un futuro decente, il disgusto per la scena più forte del film, quello stupro-incesto tra madre e figlio, e l'amore e la gioia di rivedere una famiglia riunita, gli abbracci che si scambiano nel ritrovarsi insieme, di nuovo. Poesia e violenza, sempre presenti, come nei migliori Kim Ki-duk.

Fenomenale il duo presente su schermo. Lee Jung-jin è una maschera di violenza e fragilità. E' iraggionevole, furioso, impassibile davanti alle suppliche e al dolore dei poveri abitanti del suo quartiere ma una volta ritrovata la madre straripa tutta la sua insicurezza e fragilità. Jang Mi-sun anche lei fantastica, per mille ragioni che non possono essere rivelate qui, senza andare in spoiler. 

Mi rendo conto di aver fatto davvero fatica a scrivere di questo film meraviglioso -anche Ghezzi, forse a causa degli antidolorifici per la gamba rotta, riusciva solo a ripete un "è bellissimo, è bellissimo"- ma è anche questo Kim Ki-duk. Sensazioni, emozioni, difficile mettere su carta quello che riesce a trasmetterti con così tanta facilità, senza ricercare espedienti particolari o complicati. Va visto, va vissuto, con quel finale che ti lascia tanto dentro e allo stesso tanto vuoto. 
Se la cura Arirang funziona così bene, ci si dovrebbero sottoporre moltissimi registi. Bentornato Kim.

giovedì 13 settembre 2012

Dalla "nostra" inviata speciale a Venezia

E anche per quest'anno, Venezia è finita. Ha vinto Kim Ki-duk, ci sono state polemiche, l'Italia è uscita con le ossa rotte. Il solito. Noi, se n'era parlato in una puntata speciale qualche settimana fa, una sorta di antipasto e presentazione. Avremmo voluto tanto esserci, vedere, fischiare, gioire, ma siccome siamo pigri e al verde, siamo rimasti a casa. Nessun problema però, perchè la "nostra" inviata speciale, Beatrice Fiorentino live from the Lido, ci confida adesso, le sue impressioni finali, a leoni in gabbia.

Non riesce mica semplice dare un giudizio sull’edizione appena conclusa della Mostra del Cinema di Venezia, che è stata, soprattutto, l’edizione “Barbera bis”. Al banco di prova una gestione che ha dato l’impressione generale di essere ancora un oggetto “in divenire”, poche le certezze e sbiaditi i punti di riferimento. Tralasciamo la logistica che comprendeva connessione internet a singhiozzo e porte dei bagni con le serrature rotte dal primo all’ultimo giorno (ma un fabbro che fa riparazioni urgenti, al Lido, non c’è?). Lasciamo da parte anche il Market che, lungi dall’essere il tanto auspicato fiore all’occhiello, a quanto si dice, lascia un po’ il tempo che trova. E parliamo di cinema. Mi tocca fare una doverosa premessa perché all’ora di stendere un bilancio complessivo, mi trovo nell’imbarazzo che deriva dall’aver dovuto necessariamente sacrificare più di una visione, perché si sa, quando si va a un festival per scrivere bisogna mettersi il cuore in pace, ma poi come si fa a sputar sentenze? Ok, ci provo, ma dovrò per forza restare sul visto (e cioè su un’impressione, ahimè, parziale della manifestazione). Allora, quando tutti ormai lamentavano un’edizione scadente, moscia, piatta, innegabilmente rabbuiata dal drastico calo di presenze che ha reso sì l’atmosfera un po’ dimessa, ma ha altresì consentito di non rimanere esclusi da nessuna proiezione, ecco finalmente arrivare quei “gran bei film” a tirarci sul il morale! E non si può certo dire che i titoli siano mancati… anche se potrebbe venire da dire: oh, bè, ma ci mancherebbe altro!
Ecco. Io sono felice, ho visto “The Master” (in 70 mm.) e per me tanto basta. Magnifico. Enorme. Inarrivabile (come Joaquin Phoenix, trasfigurato e claudicante come un Riccardo III). Ho visto Kim Ki-Duk tornare in forma dopo il buio che lo ha tenuto in ostaggio per anni, ho visto Bellocchio in super forma con un film che s’incastra alla perfezione nel suo personalissimo percorso di indagine. Ho visto il tripudio ultra-pop di Harmony Korine che con il suo “Spring Breakers” (wow!!) ha sedotto un po’ tutti. Diamine, finalmente una scossa! Forma che diventa contenuto, ironia, vento di novità. Basta questo per accaparrarsi un leone d’oro? In effetti, forse no…
Ancora gioia? Eh sì, lo ammetto, a me è piaciuto. So anche che siamo forse dieci in tutta Italia…ma nessuno mi tocchi Terrence Malick e la sua Meraviglia! Ssssh, silenzio, non si aggiunga altro e chi preferisce non vederlo, ne ha piena facoltà!
 Ho visto anche altri film piacevoli: “Après Mai” di Olivier Assayas, “Outrage Beyond” di Takeshi Kitano (che solo a vederlo ti mette allegria, benedetto sia per sempre Beat Takeshi, con quella faccia un po’ così), “Passion” del maestro della discontinuità Brian De Palma (ma a copiare Hitchcock qualcosa salta sempre fuori…); e altri film tanto tanto tanto piacevoli: “Wadjda”, “Disconnect”, non innovativi ma tra i più belli (e meno male che qualche sorpresa c’è!); delusioni kolossali: “Linhas de Wellington” di Valeria Sarmiento su un progetto lasciato incompiuto dal marito Raoul Ruiz; sostanzialmente inutili: “At Any Price”, “Cherchez Hortense”; e ciofeche inguardabili: “Una giornata speciale” di Francesca Comencini, il punto più basso (in concorso!?)… Stop. Abbiamo capito. Come ad ogni Festival c’è stato un po’ di tutto. E allora, dove sta il problema? Il problema c’è e non è banale: manca un’idea di cinema, manca una proposta intellegibile. Film da concorso stavano “fuori concorso”, film in concorso che, a esser generosi avrebbero potuto stare nell’abolito ghetto “Controcampo italiano”, film da Orizzonti “fuori concorso” e viceversa…. Insomma: che confusione! E arriviamo quindi ad un punto cruciale, alla punta di diamante della stagione Müller chiamata “Orizzonti”, corsia parallela dal nome evocativo che aveva ospitato i film di Shinya Tsukamoto, James Franco, Amiel Courtin-Wilson, Amira Naderi, Tusi Tamasese, e Ben Rivers… cos’è diventato oggi “Orizzonti”? Cito testualmente dal sito della Biennale: "Le nuove correnti del cinema mondiale”. Dev’esserci qualcosa che mi sfugge.

E scoop clamoroso, coprirà per noi anche il prossimo Festival di Roma. Evviva!

Beatrice lavora per il sito http://www.cineclandestino.it/it/, buttateci un occhio.

sabato 8 settembre 2012

Dossier Harmony Korine: il narratore della generazione zero.

"I never cared so much about making perfect sense. I wanted to make perfect nonsense. I wanted to tell jokes, but I didn't give a f*ck about the punch line."


Werner Herzog lo ama così tanto da voler partecipare in un paio di suoi film, Gus van Sant ha prodotto la sua prima fatica, Bernardo Bertolucci lo ha elogiato più volte, Oliver Stone ha cercato di farsi scrivere una sceneggiatura, ma invano, Roger Ebert lo ha definito come l'unica vera cosa nuova e innovativa uscita da molti anni a questa parte, ha pure scritto una canzone insieme a Bjork. Ha vinto a Venezia, a Rotterdam, a Gijon. Quest'anno è stato invitato di nuovo al festival di Venezia con il suo Spring Breakers, destando le risate di alcuni e lo storcere di nasi di altri. Eppure al momento è la più grande sorpresa della mostra e la gente non ride più. Un curriculum niente male per un ex punkettone skater nullafacente di Manhattan. 
Korine con soli quattro film (aspettando quello nuovo) e un paio di sceneggiature si è affermato come uno dei più eversivi filmmaker del mondo. C'è chi parla di weirdo, trasho e chi parla di neorealismo americano, di cinema veritè. Uno stile riconoscibile che divide, o lo si ama o lo odia, impossibile rimanere nel mezzo, lo specchio del nuovo cinema contemporaneo.
Vediamo di scoprire un pò di più di questo enfant prodige (ormai 39enne) capace di far pippare cocaina alle star di Disney Channel.

-Comincia dal principio e quando hai finito, fermati.
Harmony Korine, vero nome e vero cognome, nasce nel 1973 a Bolinas in California, ma non è importante. Dopo poco lo ritroviamo a Nashville, Tennessee, dove rimane fino al suo nuovo trasferimento a New York. E' nella grande mela che nasce, di nuovo, il vero Harmony. Per dirla alla Principe di Bel Air, tra un giro in skate per i mille parchi della città e un film notturno in qualche cinema d'essai, Korine è cresciuto. Punkabbestia ma intellettuale, straccione ma colto, si iscrive ai corsi di cinema della NY University. E li molla dopo solo un mese. A instradarlo verso il cinema è il babbo, Sol, documentarista e i suoi veri insegnanti sono Godard, Cassavetes, Herzog, Fassbinder, tutti autori stranieri che può trovare solo in cinemini di quart'ordine a orari astrusi della notte. 
Certo rimane una passione, perchè la sua aspirazione, in quel momento, è diventare un ballerino di tip tap*, un pò il sogno di tutti. Il caso, la fortuna, la teoria del caos, vuole però che mentre è in giro a skate-are con i suoi amici a Washington Park, NYC, viene notato dal fotografo Larry Clark. Qualche foto, due chiacchiere, c'è feeling. Allora Harmony tira fuori una robetta che ha scritto in due settimane, un copione di qualche pagina, a conti fatti una sceneggiatura vera e propria. L'argomento è semplicissimo: inizia con un padre che porta il figlio a vedere una prostituta, il resto è cronistoria delle avventura quotidiane dei suoi amici nella megalopoli americana. Non è altro che Kids, secondo alcuni, IL film per eccellenza della MTV generation.

mercoledì 1 agosto 2012

Filmbuster(d)s - Episodio#8



Episodio più lungo del previsto, ma dovrete farvelo bastare per 2 settimane visto che ci prendiamo una piccola vacanza per tornare durante la settimana fra il 13 e il 19 agosto.
Nella ricchissima ottava puntata di Filmbuster(d)s:

TRAILERS
Anna Karenina[00:03:00]
Baby Call[00:12:15]
Cloud Atlas[00:16:30]

NEWS
Indiana Jones 5? Jurassic Park 4![00:30:32]
Lo Hobbit in 3 film[00:38:15]
69°Festival del cinema di Venezia[00:46:15]

FILM
La memoria nel cuore[01:11:00]
Contraband[01:18:00]
Bed Time[01:26:32]

CONSIGLI[01:49:00]


Potete ascoltare l'episodio al link diretto al file MP3 (per scaricarlo basta cliccare col destro e poi "Salva link con nome"): Clicca qui

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