"L'italiana contro la francese, la mora contro la bionda, la pantera contro la bambola".
Mentre una cresceva a Tunisi nel pieno rigore di una famiglia italiana del meridione, l'altra era già una stellina del cinema francese e dettava la moda, seguita seguita rigidamente dalla prima. Mentre una debuttava nel cinema italiano, l'altra divorziava dal suo primo marito, il regista Roger Vadim che l'aveva trasformata nell'icona sexy del secolo. Mentre una girava 8½ e Il Gattopardo l'altra rispondeva con Il Disprezzo. Eppure non si era mai in(s)contrate.
Sempre paragonate, sempre messe in competizione ("BB viene prima di CC!" titolavano i francesi), rappresentavano non solo due nazioni, da sempre in competizione, -e a ben vedere Claudia era più francese che italiana- ma anche i due cinema europei più forti di quel periodo. Erano la versione europea del dilemma Jacqueline-Marilyn.
Un duello era necessario, tutto il pubblico lo bramava, ma dovette aspettarlo per molto, fino al 1971.
Un match per il quale si erano già fatti avanti i bookmakers. Quattro produttori, francese, spagnolo, italiano, inglese, si erano associati per un progetto da 10 milioni di franchi. Nonostante una sceneggiatura un pò debole -'na schifezza, a essere sinceri- Le pistolere prometteva di essere l'evento dell'anno.
La storia è quella di due bande rivali, i King e i Sarazin, guidate da due donne, che si sarebbero infine affrontate, con la pistola in mano, in un vecchio villaggio del Far West fondato da francesi(!). Brigitte sarebbe stata Louise King, la figlia del banditoFrenchie King, specializzato in assalti ai treni. Con le sue quattro sorelle, ruba una sacca nella quale si trova la mappa di un giacimento petrolifero promettente. Claudia invece è a capo della sua banda composta dai suoi fratelli (si, chiaramente i numeri delle sorelle pareggia quello die fratelli). Dopo lo spaghetti western, era arrivato il western fru-fru.
Si era pensato a tutto perchè la tensione raggiungesse il culmine mentre i due "pugili" si incontrano sul ring. I fotografi aspettavano il momento dell'esplosione delle due bombe, si aspettavano quanto meno che si strappassero i capelli, entrambe portavano chiome lunghissime.
Dopo la morte di Marilyn, Brigitte era diventata una sex symbol a livello planetario. Sulle sue spalle poggiava il saldo positivo dell'intera annata produttiva francese. Non era solo un'attrice, una donna, ma la bandiera di un un paese che voleva mantenere il suo legame con la storia e nello stesso tempo dimostrare la sua giovinezza. Non è un caso quindi che venne ricevuta addirittura all'Eliseo, in un'epoca in cui era l'incarnazione della più sfrenata libertà e della dissolutezza.
Claudia (la approfondisco dopo) era la brava ragazza, casa e famiglia. In realtà un maschiaccio, pronta a rotolarsi coi suoi fratelli frutto del suo retaggio nordafricano ben radicato nel dna. Tutto il contrario della bambolina di porcellana francese, era il volto del cinema italiano, la preferita dell'impossiible Visconti, la musa di Fellini, la moglie del potentissimo Cristaldi.
Il primo giorno di riprese infine arrivò. Il duellante Cardinale, fedele alla sua fama, era già presente sul set, qualche minuto prima dell'orario di inizio. Sempre professionale, era la gioia dei registi. Anche qui, Bardot era tutto il contrario, mai puntuale, a volte, assente. Non c'era verso che si riuscisse a svegliarsi in tempo. Mentre la sua sfidante, ligia al dovere, in periodo di riprese, andava sempre a letto presto, lei faceva sempre baldoria fino alle ore piccole. Ma tutto ciò le era consentito, era una diva con la D capitale e ormai il cinema le andava strettino.
Finalmente apparve. Sublime, in short e stivali che mettevano in risalto le forme perfette e le gambe da ballerina. Alla vista, Claudia ripensò alla sua adolescenza, quando al liceo in Tunisia tutte, compresa lei, copiavano lo stile di Brigitte. I capelli raccolti in una coda di cavallo, i vestiti sempre neri, i maglioni a collo alto. Quindici anni dopo, lo stile era cambiato ma inventava ancora un modo sexy per vestirsi western; capelli lunghi sotto lo Stetson e tacchi smussati. Sbalordì tutti. La prima manche andava a lei.
Il controattacco fu repentino. A fianco della sua rivale c'era una bellissima Rolls Royce, grigia metalizzata, ad uso personale, con all'interno un'autista bello come un dio greco. Faceva effetto, Bardot impallidì e incassò il colpo. Parità, palla al centro.
E' risaputo che le donne siano sempre in competizione tra loro. Figuriamoci su un set, figuriamoci quando devono recitare insieme e figuriamoci quando da sempre sono state messe contro, senza mai che nessuna delle due dicesse nulla sull'altra. La stessa Cardinale, tanto tranquilla, aveva avuto un vivace scambio di scherzi con Monica Vitti (l'altro volto femminile del cinema italiano dell'epoca) ai tempi di A mezzanotte va la ronda del piacere. Inzigata e provocata dalla musa di Antonioni, l'ultimo giorno di riprese si mise al collo un serpentello inoffensivo trovato li vicino. C'è mancato poco che non svenisse, Monica, una faccia pallida come la luna. Ma fuori dal set erano e sono tutt'ora, amiche molto legate.
Ma bisogna subito mettere le carte in tavola. Non ci fu nessun'alterco pittoresco tra le due star pistolere. L'unica lite a cui i curiosi poterono assistere fu quella tra il produttore e il primo regista, Guy Casaril, con quest'ultimo che se n'è andato sbattendo la porta.
Intanto il problema della macchina era stato risolto. A Brigitte venne assegnata una Rolls Royce bianca decappottabile. E l'autista avrebbe potuto benissimo vincere il concorso per Mister Universo. Questo rassicurava Brigitte, ma non del tutto. Il problema era proprio Claudia, quel maschiaccio, non una vera donna, un ciclone pericoloso. E doveva fare una scena di botte con quella li? Una che le avrebbe fatto davvero male? Aiuto.
Aveva saputo che la sua sfidante prendeva lezioni di lotta, equitazione, tiro a segno. Le sembrava un marziano. Aveva paura persino del cavallo e ad ogni tentativo gridava "Aiuto mamma!", con tutta la troupe che la trovava adorabile.
Ed arrivò il giorno della scazzottata. Come è ovvio era escluso che Brigitte accettasse di essere colpita. La sua educazione di giovane borghese dei quartieri alti, le sue lezioni di danza classica, non le avevano dato l'occasione di misurarsi con dei ragazzacci scatenati, e non conosceva il piacere di rincasare con i vestiti tutti sporchi e strappati.
Quando arrivò il momento che si rotolassero nella polvere, Claudia si ritrovò davanti uno spagnolo, con il petto villoso e che si era vestito come la Bardot. L'attrice gli scoppia a ridere in faccia, l'attore non sa che fare perchè la donna si è messa a sedere contro una transenna e non accenna a attaccare. Non avrebbe convinto nessuno, era troppo grottesco.
Claudia è dovuta andare da Brigitte a convincerla. Le spiegò che lei era allenata, che poteva tenere tutto sotto controllo e non c'era nessuna possibilità che le facesse de male. Le spiegò che era inutile evitare lo scontro, andava a monte il senso del film stesso. La sola cosa che dovevano fare era imparare a girare la testa nel preciso momento in cui un pugno veniva sferrato. Il tutto calcolato al millimetro. Brigitte doveva imparare in poche ore, ma non era un impresa impossibile.
Alla fine Brigitte accettò. Per quei 5-6 minuti di scontro ci volle una settimana. Una settimana senza lavarsi i capelli, perchè polvere e sudore dovevano rimanervi attaccati. Fu un grande divertimento per entrambe, anche se alla fine Claudia uscì con un livido in volto e Brigitte con un graffio sul labbro.
Dopo questo la biona capì che la mora non era una nemica, anzi. Da quel momento non aveva più paura di lei ma pensò che addirittura potesse proteggerla. E così il giorno che litigò col fidanzato corse a sfogarsi nel camerino della sua ex rivale. E qui si confessò su tutto.
Non le piaceva più il cinema. La fama, gli scandali, le storie...non ne poteva più. Inoltre, proprio durante le riprese, Anna Maria Pierangeli (l'ex fidanzata di James Dean) si era suicidata con i barbiturici. Questa cosa l'aveva scossa moltissimo, non riusciva a smettere di piangere. Aveva paura di fare quella fine, o quella di Marilyn. Non conosceva nessuna delle due ma erano attrici, come lei, come loro due. "Siamo tutte condannate a morire disperate".
Forse in quel periodo decise di terminare la sua carriera, ritirarsi dalle scene. Ancora così bella, così trionfante, ma con quel timore. Si sarebbe ritirata tre anni dopo, a soli 40 anni dopo l'insuccesso di Colinot l'alzasottane di Nina Companeez.
Quando vedeva Claudia lavorare duramente per calarsi in un personaggio, le veniva spontaneo chiederle: ma perchè lo fai? Come fai a trovare ancora divertente il cinema? Allora lei per farla svagare un pò la portava con se nelle lunghe scampagnate a cavallo intorno al set naturale in Spagna, dove stavano girando. La cavallerizza ormai esperta, dopo i western e i film americani, convinse la ballerina a salire sul cavallo e a raggiungere le montagne. La produzione intanto le attendeva in fibrillazione. Se fosse successo qualcosa erano nei guai. Ma le due ritornavano sempre euforiche e illese. Ahhhh...che duello inutile!
Il film risultò essere un insuccesso. La critica lo massacrò senza riserve. Ben più foruna ebbe il singolo dove Claudia cantava e ballava. Lei con quella sua voce che per tanti anni venne bandita, ammutolita. Il disco entrò in hit parade e al primo posto in Giappone. Addirittura portò a un secondo disco, Love, Love, Love, e a diverse apparizioni in TV come cantante.
In fondo il tanto atteso duello deluse molti. Ma non è forse quello che accade sempre a questo tipo di cose? Forse anche perchè avvenuto troppo in la con gli anni e troppo a ridosso della fine, prematura, della carriera di una delle due, o forse semplicemente perchè il film era davvero pessimo. Inutile quindi designare un vincitore o un perdente. Va bene così, in fondo, non erano neanche vere avversarie.
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EXTRA CC
°Gli amici americani
A soli cinque anni dal suo debutto cinematografico -un secondo debutto perchè a essere pignoli già nel 1957 in Tunisia, era stata scelta per fare una piccola comparsata in un film francese- Claudia Cardinale era Il volto del cinema italiano, insieme a Mastroianni, Gassman, Monica Vitti e pochi altri. Con così pochi anni di esperienza e nessuna gavetta o preparazione accademica, Claudia era riuscita già a lavorare con i più grandi registi del nostro cinema e proprio quando stava per partire per gli Stati Uniti, uscivano in Italia e nel mondo i due capolavori, di Fellini e di Visconti, 8½ e Il Gattopardo.
Non male per una ragazzina che non amava troppo il cinema, nata in Tunisia da genitori italiani, che non aveva mai parlato una sola parola d'italiano fino al suo arrivo a Roma per girare con Monicelli I soliti ignoti. Già, la piccola pied noir, più arabeggiante che italiana, più maschiaccia che signorina, non gliene poteva fregare di meno di fare cinema. Andava volentieri con la famiglia a vedere qualche film, ma la sua principale aspirazione era quella di diventare una maestra, e non una semplice, ma di quelle che lavorano nel deserto, in mezzo al nulla e nelle condizioni più disagiate.
Però quei soldi che offrivano gli italiani, e quel Franco Cristaldi (poi suo marito), facevano gola. Non proprio convinta partì per l'Italia dove venne inserita a forza in una scuola di recitazione a numero chiuso -provocando diversi malumori tra gli altri aspiranti- dopo un provino in cui non disse nulla ne recitò una parte, perchè non sapeva si dovesse portare un repertorio. Fissò la commissione tutto il tempo, inferocita. I soldi di Cristaldi fecero il resto.
Iniziò a capire e ad amare il cinema più tardi, quando conobbe per la prima volta Luchino Visconti sul set di Rocco e i suoi fratelli e soprattutto Bolognini che la volle per La Viaccia, insieme a Jean Paul Belmondo. Questi due maestri le insegnarono che un ruolo si vive, non lo si indossa e basta quando si accendono le cineprese. Si mise a studiare tutti i personaggi che le venivano proposti e da semplice bellezza, diventò una apprezzatissima attrice.
L'incontro successivo con Fellini la portò a un altro miglioramento. Per la prima volta non era più doppiata ma si sentiva la sua vera voce, quella roca, sensuale, inconfondibile e indimenticabile. Fellini non volle che la sua voce così particolare fosse coperta da una più "professionale" e ormai Claudia padoneggiava l'italiano perfettamente, con solo un flebile accento francofono. Erano finiti i tempi in cui litigava con il fratello Ferribotte (Tiberio Murgia) lei in francese e lui in sardo e venivano poi doppiati entrambi in siciliano.
Divenuta una star mondiale, amata e seguita ovunque andasse, arriva nel 1963 la prevedibile chiamata a Hollywood a cui è impossibile rinunciare. E qui fece particolari incontri...molto più interessanti dei film poi realizzati.
Il primo assaggio lo ebbe a...Roma. Qui si giravano alcune scene in interni della nuova commedia del regista Blake Edwards, La pantera rosa. Lavorava con attori come Peter Sellers e David Niven (che di lei disse "E' la migliore invenzione italiana dopo gli spaghetti") e ovviamente era molto nervosa, nonostante il suo caratterino. Per di più l'inglese lo parlava si, ma si bloccava spesso, incespicava e interpretare una principessa indiana ubriaca in una lingua non sua, non era semplicissimo. Edwards allora la prese da parte per tranquillizzarla. Due paroline e poi la invitò a entrare in una stanza, li a fianco per rilassarsi un pò. L'avrebbe chiamata lui in seguito.
La stanza, spoglia e piuttosto piccola, aveva al suo interno due sedie, una vuota per lei e una di fronte dove era seduto uno strano tizio che stava fumando e con un cane al guinzaglio al suo fianco. Un quadro surreale. L'uomo non parlava e si limitava solo a fumare in quella stanzetta minuscola e senza finestra. L'aria si fece subito pesante e Claudia non aveva idea di cosa stesse succedendo. Ogni tanto si affacciava Edwards che guardava di sfuggita e diceva "Ah ok, ancora 5 minuti, va bene?". Dopo la terza o quarta volta la portò a girare e tutto filò liscio. Il metodo bizzarro aveva funzionato, lei si sentiva più sciolta e distesa e la battute uscivano con più naturalezza. Anni dopo, quando i due si reincontrarono per Il figlio della pantera rosa, il regista le confidò che quella sigaretta che stava fumando l'uomo nella stanza era hashish e il segnale che la stanza fosse abbastanza "fumosa" sarebbe stato quando il cane si fosse addormentato. Un metodo anticonvenziale quanto funzionante e in piena linea con gli anni 60.
In seguito avvenne il vero sbarco in America per le riprese del dramma Il circo e la sua grande avventura di Henry Hathaway dove interpretava una trapezista figlia di John Wayne e Rita Hayworth (puntata 7), hai detto niente. Per Comencini aveva imparato a andare in bicicletta durante La ragazza di Bube, per Edwards ad andare con gli sci (in entrambi i film non è che imparò, ma quando la macchina da presa era accesa recitava la parte di una che sa fare quelle cose, subito dopo cadeva, ma la ripresa era andata) e ora doveva imparare a fare l'artista circense a 10 metri d'altezza.
Ci fu qualche screzio iniziale, volevano cambiarle l'aspetto, truccarla così, tagliarle i capelli cosà, ma lei si impuntò, "non mi toccate di una virgola". Alla fine si sedette al trucco, nello stesso posto dove si era seduta Marilyn, come la conosciamo noi, senza cedere alle richieste.
E a fianco a lei c'era Rita, un volto segnato, dalle delusioni e dall'alchol e dalla sua terribile malattia, l'Alzheimer. A volte si presentava sul set con grossi lividi sul viso. Non si sapeva chi la conciasse così, ma le forti bevute potevano far si che fosse proprio lei a autoinfliggerseli. Le due dive davanti allo specchio erano il giorno e la notte: una bella, giovane, nuova, l'altra vecchia, sfiorita, appassita. Un giorno guardando Claudia, Rita disse piangendo "Anche io sono stata bella" e le due si abbracciarono lacrimando come fontane.
Wayne invece era l'ultimo dei giganti. Quasi due metri di altezza, una presenza che incuteva timore e rispetto. Rod Steiger, con Claudia in Gli indifferenti, la mise in guardia sul cowboy e non fu il solo. Ma non c'era pericolo. John andava pazzo per lei, era la sua bambina in scena e fuori. La prendeva sempre per mano e le spiegava le cose. Gli piaceva perchè era una dura, non voleva la controfigura, non si tirava indietro davanti alle scene più difficili. Era il suo ideale di donna, anzi "Non sei una donna, sei un maschiaccio!" le disse, uno dei complimenti più belli mai ricevuti a detta dell'attrice.
Quando lei si trasferì in seguito a Hollywood per un periodo, lui la chiamò dicendo "Per qualsiasi cosa, io ci sono sempre" e alla fine delle riprese le regalò una sedia tutta in pelle con appoggi per gli stivali da cowboy, identica alla sua, e il suo nome ricamato sullo schienale.
Nel 1966 rincontrò il suo grande amico, Burt Lancaster per il film I professionisti di Richard Brooks. Burt era rimasto in amicizia anche con Luchino che andava a trovare molto spesso a Roma. Nonostante una certa età, l'ex equilibrista non aveva perso l'abitudine di fare ogni mattina i suoi esercizi acrobatici.
Claudia è l'unica pupa in mezzo a tante facce da duri, tra cui spicca Lee Marvin. Se la sera lo trovavate al bar a bere, potevate stare pur certi che era li la mattina dopo, stesso posto, molti bicchieri dopo e pronto a girare.
Il regista voleva che Claudia si mostrasse nuda in una scena, un seno fuori dalla camicetta. Ecco, voi non la vedrete mai nuda, in neanche un fotogramma in tutta la sua carriera, ancora attiva. Dopo mille discussioni stupì tutti il giorno della ripresa di tale scena, indossando un body color carne. Brooks era incazzato nero ma doveva dargliela vinta.
A parte i film, c'è tempo anche per divertirsi a Hollywood. Si stabilì nella casa che fu di Paul Newman, trasferitosi a New York. Tra un concerto dei Beatles e in giro per le boutique aveva modo di ospitare i tanti suoi eccentrici amici americani. Cary Grant le spiegava ogni domenica le regole dle baseball e ogni volta desisteva, Steve McQueen le portava rombando sulla sua moto una cassa piena zeppa di calzini ogni mese -un gesto bizzarro-, e poi c'era il suo vicino di casa, il suo migliore amico, Rock Hudson.
Oltre che vicini si erano anche divisi la scena nel film di Philipp Dunne, L'affare Blindfold. Rock era sempre a casa di lei e le preparava sempre qualche manicaretto da mangiare. Tra i due non c'erano secondi fini sessuali, lei sapeva benissimo della sua omosessualità nascosta e questo lo metteva a suo agio. Le regalò un pullover grigio che ancora conserva con cura.
Tutto il contrario di Marlon Brando, il divo numero uno al mondo e uno dei suoi preferiti. Un giorno, mentre Claudia era in sala doppiaggio per gli esterni di Nè onore, nè gloria di Mark Robson, qualcuno le disse "Vieni presto, c'è Brando al telefono per te". Lei pensa subito a uno scherzo e inizia a lamentarsi, ma quella voce, inconfindibile era proprio quella di Marlon. "Ci possiamo incontrare?" dice lui, ad una domanda del genere non si dice no, si chiede "dove?". Nel mio hotel è la risposta che riceve.
Così si ritrova in camera con lui. La guarda, la fissa, con il suo metodo da Actor's studio. Sembra che sta recitando. Poi esordisce "Puoi alzarti? Camminare verso di me...". Sicurissimo di se, aspetta solo che lei le cada tra le braccia. E invece ecco che esce fuori l'orgoglio e la fuerezza di lei. Non le piace tutta quella sua sicurezza, il sapere che per lui vali quanto chiunque altro, di essere nella sua trappola. Gli resiste e resiste anche ai suoi tentativi di farla bere. Poi si fissano, lui ha capito e sbotta in una risata. Il clima diventa più disteso, si capiscono al volo, sanno di essere fin troppo simili. Brando finisce così nella lista, lunga, dei tanti rifiutati, tra cui figura anche un certo Hitchcock.
Poi una volta sola, al pensiero di quanto si sarebbe potuta divertire con Brando, si è data dell'idiota, ma mai avere rimpianti! questo è il suo motto.
C'era una volta il West rappresenta l'ultimo grande successo girato, anche se per poche scene, in terra statunitense. Un ultimo spensierato viaggio se lo gustò a inizio anni 70 con il suo nuovo compagno, il regista napoletano Pasquale Squitieri. Questi voleva girare tutto il vastissimo territorio americano su dei pullman, con la sua amata cinepresa sempre al suo fianco.
Il suo obbiettivo finale era arrivare poco fuori Los Angeles a Pendelton dove c'era un campodove i rifugiati vietnamiti erano ammassati in condizioni miserabili. Squitieri, da sempre impegnato socialmente, era persino senatore, voleva denunciare questa indecenza, come veniva trattati i prigionieri.
Ovviamente era una base inaccessibile e lontana, nel deserto. Noleggiarono una macchina e percorsero una strada molto lunga, non asfaltata che portava proprio al cancello principale. In meno di pochi minuti un elicottero li seguiva a pochi cm dalle loro teste. Un uomo armata di mitraglietta era a bordo, pornto a sparare. Giunti davanti alla guardia, Pasquale chiese di parlare con il loro capo, al quale disse "Claudia Cardinale è qui. Vuole fare visita ai carcertai, giriamo per la televisione".
Il direttore non aveva mai sentito parlare di questa Cardinale ma li fece entrare. Riuscirono a girare qualche minuto di riprese quando un uomo si è rivolto a loro gridando "Comunisti! Sono comunisti!" e vennero cacciati immediatamente. Poco tempo dopo il campo fu spostato in località ignota.
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Nella prossima puntata, New York al cinema.
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