Nelle sale dal 5 dicembre.
"I don't want realism. I want magic! Yes, yes, magic. I try to give that to people. I do misrepresent things. I don't tell truths. I tell what ought to be truth." Blanche Dubois.
Jasmine, nata Janet, è la moglie di un ricco uomo d'affari dell'alta società newyorkese. Quando questi, dopo essere stato smascherato a truffare i suoi investitori e a frodare il fisco, si impicca in galera, la donna è costretta a trasferirsi a San Francisco dalla sorella, Ginger, caratterialmente agli antipodi rispetto a lei. Qui vorrebbe ricominciare una nuova vita, ma mettere da parte gli agi e le sciagure del passato sembra un'impresa ardua.
La prima volta che incontriamo Jasmine è proprio sull'aereo che la sta portando ad ovest, in prima classe. E' uno degli ultimi lussi che inconsciamente si regala. E' una donna di gran classe, ben vestita, che ci sta raccontando, a noi e a una anziana vicina di posto, qualche racconto della sua vita; come ha conosciuto il marito Hal, la loro canzone "Blue Moon", l'abbandono degli studi pur di rimanere con il suo amato. E' l'ultima volta che la vedremmo sotto questa buona luce.
Dalla scena successiva, quando è già sbarcata a San Francisco, (inizia) continua a blaterare, questa volta senza ordine, senza tatto, di argomenti personali a caso, dal sesso, alle pillole che le hanno somministrato i medici, e diventa di colpo insopportabile. L'inizio è anche la scena ponte tra i flashback newyorkesi e il presente californiano.
Jasmine è una donna delusa e tradita, portata tanto in alto da un uomo, che le ha regalato tutto, ricchezza, benessere, case per qualsiasi stagione. Un giorno è stata rapita dalla realtà, dai suoi studi di antropologia, ed è stata messa in una gabbia d'oro dove non doveva e poteva interessarsi più a nulla. Si è fidata, ha firmato carte, ha lasciato fare, pur comunque sapendo e capendo che qualcosa non andava. E l'ha preso in quel posto.
Dalla vittima della quinta avenue alla snob nevrotica che arriva a incasinare la vita -già incasinata- della sorella stravagante, racchiusa non in una gabbia dorata bensì in una gabbia-appartamento di 4 stanze minuscole (secondo gli standard di Jasmine) con i soffitti dove non si respira. E' difficile compatirla ed è difficile capirla. E' una vera vittima del sistema? Dovremmo preoccuparci di quanto sia malata o invece di quanto male possa fare a chi ha attorno (da Dwight a Ginger)? Dopotutto a lei non interessa altro che se stessa.
In una storia che richiama Un tram che si chiama desiderio, Allen traccia un'analisi approfondita del personaggio femminile principale e del suo stato mentale, sempre più alienato dal presente e dal reale ed immerso nel ricordo e nell'illusione (in un modo tale che ricrea dialoghi, continua e muta eventi già accaduti, a suo piacere, nei suoi monologhi in pubblico). Più tenta di dimenticare il passato, che inesorabilmente rimane li, più lo rielabora, crede di non aver colpe, di non "aver potuto", fino a quando questa articolata scenografia non crolla e così crolla, nuovamente, anche lei. Quando tutto le si dipana davanti agli occhi, vede l'abisso in cui è caduta.
Era dai tempi di Hanna e le sue sorelle, Interiors o Un'altra donna che Allen non sondava così accuratamente l'animo di un personaggio femminile, in questo che più che un suo film ricorda il cinema di Cassavetes, diapositive lucide di donne sull'orlo di una crisi di nervi.
Ed è anche uno dei suoi film più scuri e deprimenti. Nonostante una prima parte allegra, il tono diventa sempre più pesante e claustrofobico. Sembra paradossale ma sono proprio due comici (Andrew Dice Clay e Louis C.K.) che affossano l'allegria del film e delle due principali interpreti. I momenti comici, anche molto alleniani, ci sono e alleggeriscono molto l'ambiente, ma ci si rende conto che tutto sta per finire molto male.
Allen giunto alla soglia degli 80, diversifica ancora il suo cinema, torna quello di una volta, diventa un nuovo Allen, continua a scrivere e a dirigere con una eleganza e una velocità (il tempo vola, ma come fa ancora a essere così lucido nei tempi?) insospettabili.
E dopo tutto questo, c'è anche una seconda chiave di lettura evidente, contemporanea e molto interessante.
Blue Jasmine è la risposta di Woody Allen al crollo economico negli Stati Uniti: il senso di tradimento che ha lasciato, il senso di colpa dell'essere stati complici, e il ricordo della bella vita vissuta non molto tempo fa. La fiducia mal riposta nel ricco -come quando Ginger e Augie ciecamente si fidano di Hal- che ha portato tutti alla rovina finanziaria. Allen vuole, sia l'America che Jasmine, accettino che quei giorni felici non possono mai più tornare.
E' uno sguardo lacerante del sogno americano, un mondo dove è sempre più difficile fidarci degli altri, parlare con gli altri -per non finire a parlare da soli-, dove alcune persone trovano così difficile mettere le cose alle spalle e andare avanti. Il film ci pone essenzialmente davanti allo specchio, ci sfida a vedere chi sono i vincitori e i perdenti reali.
Jasmine è l'esponente di quel 1% possidente della ricchezza globale che non sa andare oltre. La sorella Ginger e i suoi amanti e amici, la classe lavoratrice americana, il 99%, sono quelli che vanno avanti sempre e comunque. E' divorziata, ha perso tutti i soldi che aveva vinto alla lotteria, ha dovuto riniziare da zero, si è vista respinta di colpo in amore, ma, alla fine sorride, forse un po' malinconica o obbligata, ma è una vincente, o per lo meno non pensa di essere lei la perdente.
Oscar alert per Cate Blanchett, per la quale non ci sono più parole per descriverla, alle prese con un personaggio a lei già ben noto (aveva già recitato a teatro il ruolo di Blanche Dubois), donatole con amore da Allen. Una performance senza il minimo errore o calo di intensità, con gli occhi sempre gonfi e sporchi di mascara colante, l'aria stressata e stropicciata, senza trucco e parrucco mentre si barcamena tra gli appuntamenti dei clienti del dentista o ancora coi capelli bagnati mentre parla da sola su una panchina. Ricorda la Gena Rowlands di Cassavetes, come già detto, e rimane impressa come una delle figure femminili più imponenti e importanti dell'ultimo decennio cinematografico.
Cast, come al solito nei film di Woody, impeccabile. Meno star del solito ma attori semplicemente perfetti per i loro ruoli. Chi meglio di Baldwin poteva fare il Bernie Madoff della situazione, filibustiere e cornificatore? Chi la sorella hippy dal cuore grande se non Sally Hawkins? Chi il playboy diplomatico se non Peter Sarsgaard? Chi il macho grezzo -Stanley Kovalsky- se non Bobby Cannavale?
Insomma Allen è tornato, con un dramma amaro e cupo, intervallato da brevi sprazzi di umorismo. Un ritratto lucido di una donna sull'orlo, e forse oltre, di una crisi di nervi, e della situazione economica americana attuale. Un altro grandissimo film nella sua sterminata carriera, e forse, già due ulteriori Oscar in mano.
Nessun commento:
Posta un commento