Nelle sale dal 28 novembre
All'apice della sua carriera di attore, il
fidanzatino d'America Joseph Gordon-Levitt si sposta dall'altro lato
della macchina da presa per scrivere, dirigere ed interpretate il suo
primo film, Don Jon, una rom com in odor di indie che sta mettendo
d'accordo praticamente tutti.
Jon Martello, in arte Don Jon, è il tipico ragazzo
del New Jersey: origini italo-americane, capelli perennemente
impomatati, canottiera bianca e un bolide appariscente quanto
rumoroso. La sua esistenza ruota intorno a pochi fondamentali punti
fermi: il sesso, consumato meccanicamente una sera dopo l'altra, e
la pornografia, in cui Jon cerca disperatamente quella perfezione che
non riesce a trovare nella realtà. A rompere il cerchio di quello
che è un vero e proprio rito arriva Barbara (Scarlett Johansson),
una ragazza da 10, fantastica quanto le attrici dei porno. Con lei
Jon costruisce un nuovo rito, ma nella sua vita compare un'altra
donna.
Dopo le prime sequenze che mostrano l'assurda
routine di Jon Martello, mi è venuto subito in mente Shame di Steve
McQueen, un accostamento azzardato ma neanche troppo visto che i due
film raccontano due storie e due personaggi più simili di quanto si
potrebbe pensare. Dopotutto il Don Jon di Joseph Gordon Levitt non è
altro che la versione cafona e proletaria del Brandon di Michael
Fassbender, ad essere diversa è la realtà che ruota intorno ai
protagonisti, in Shame trovavamo una Manhattan fredda e scintillante,
qui il chiasso del New Jersey più caciarone. Consapevole di queste
differenze abissali, Levitt sceglie di raccontarle con l'arma
dell'ironia, accatastando in modo intelligente realtà e stereotipi.
Assistiamo così al classico pranzo domenicale in famiglia, con il
patriarca in canottiera (uno spassoso Tony Danza) che sbraita contro
la televisione e la madre che ammucchia cibo nei piatti mentre
ammorba i figli con domande sui nipotini. Poi per strada, nei locali,
dove riconosciamo lo stile di vita raccontato da programmi educativi
come Jersey Shore, con rapporti usa e getta che si consumano tra
discoteca, taxi e appartamento, ogni sera di ogni settimana, fino
alla domenica, quando si corre in chiesa per confessare i propri
peccati prima di ricominciare tutto da capo. Una ritualità che
Levitt racconta con un montaggio sempre più veloce di spezzoni
sempre più brevi, fino a quando la vita di Don Jon non diventa una
sequenza di immagini accompagnate da una sola parola: casa, macchina,
palestra, ragazze, porno, chiesa. La scelta stilistica è piuttosto
ovvia ma il regista esordiente la gestisce molto bene, sottolineando
l'idea di ripetitività con l'uso di inquadrature sempre uguali,
arricchite di tanto in tanto da qualche transizione particolarmente
ispirata (il letto inquadrato dall'alto).
Si ride e si sghignazza insomma, almeno fino a
quando entra in gioco il personaggio di Esther (Julianne Moore), da
quel momento in poi la commedia cede spazio all'elemento romantico
con una spruzzatina di dramma, e il graffiante affresco generazionale
si trasforma in un bel racconto di formazione. Senza abbandonare
quella leggerezza che è vero punto di forza del film, Levitt ci
mostra finalmente il sesso (quello vero, non a senso unico) come un
bellissimo strumento di rinascita e maturazione, portando il suo
bizzarro alter ego nella migliore e più coraggiosa delle direzioni.
Tutto il cast è in splendida forma. Scarlett
Johansson in particolare è una bravissima cafona (pare che il film
sia stato scritto apposta per lei), e Joseph Gordon Levitt se la
sbriga bene nonostante il viso da bravo ragazzo (per questo ruolo
aveva pensato a Channing Tatum che effettivamente ha il perfetto
physique du role. L'attore comunque compare in un divertente cameo).
Ma il lavoro migliore lo fa nelle vesti di regista e sceneggiatore,
e considerando che si tratta del suo primo lungometraggio, bisognerà
tenerlo d'occhio.
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