1999. Abbas Kiarostami è in vacanza a Tokyo. Una sera mentre sta tornando in albergo in taxi, a colpire la sua attenzione guardando fuori dal finestrino, non sono le mille insegne luminose della capitale nipponica, ne i localetti pieni di vita, ma una giovane ragazza, seduta sul ciglio della strada, su un marciapiede. Indossa un tradizionale abito da sposa. E' rapito da quella immagine ma il taxi continua la sua corsa e vede la sposa piano piano scemare in lontananza dentro lo specchietto retrovisore.
Anni dopo Kiarostami tornerà a Tokyo per la premiere di alcuni suoi film e ogni volta tenterà di ritrovare quella ragazza, ritornando in quella strada. Ovviamente non la vedrà mai più. Da quel dì gli è rimasto un vuoto dentro, il senso di un incontro avvenuto ma mai proseguito o completato. Da qui, diciamo, nasce l'idea del suo nuovo film.
Diciamo, perchè dietro c'è in realtà un bell'assegnone con tanti yen e tanti zero. Secondo film di fila in trasferta per l'esiliato regista iraniano (prima era in Toscana per Copia conforme) per la prima volta in estremo oriente. La trama si riassume in due righe. Akiko è una giovane ragazza che si prosituisce per guadagnare qualche soldo. Una sera deve andare a casa di Watanabe, un simpatico vecchietto, con cui alla fine non combina niente. Nasce però tra i due un rapporto di amicizia e di reciproco aiuto nel nascondere e nel perpetrare alcune bugie. Come quella di nascondere a Noriaki, il fidanzato di Akiko, il vero lavoro della ragazza. Quando però la verità viene a galla, le cose volgono al peggio.
Kiarostami vende un film di maniera, ma privo di contenuto al suo fedele pubblico, che platealmente abbocca e ringrazia. Allo spettatore senza paraocchi, o senza un debito di eterna gratitudine verso il regista per i precedenti ottimi lavori, però Qualcuno da amare si rivela in tutta la sua pochezza.
Registicamente è senza dubbio interessante, dato che i 100 minuti e rotti del film di esauriscono in circa 6 macrosequenze dense di dialoghi, dove i movimenti della macchina da presa sono limitati al minimo come il dinamismo dei personaggi o l'evolversi della trama o gli ambienti. Mattone? Niente affatto, il tempo vola e in men che non si dica siamo già alla parte finale (che è stata scritta dal regista per prima. Il film si sarebbe dovuto chiamare The end). Un immersione totale nelle vicende dei protagonisti, nelle loro chiacchiere senza contenuto, talvolta, che fa perdere totalmente il senso del tempo e dello spazio. Ma c'è chi ha spento Somewhere, molto simile, dopo 10 minuti, quindi parlo a titolo personale.
I personaggi non sono approfonditi più di tanto ma non si sente il bisogno, e non dovrebbe essere così, di un'ulteriore scavo nella loro personalità o psiche. D'altronde stiamo parlando di una storia senza una logica (per stessa ammissione del regista), stiamo guardando un tranche de vie, e noi arriviamo a opera-vita già iniziata e ce ne andiamo quando chiaramente una fine ancora non c'è. Inoltre i 3 personaggi principali sono chiusi, bugiardi e malfidenti, impossibile cavare qualcosa dal buco e uscire dallo stato perenne di dubbio (Akiko ha davvero la nonna in città o è una scusa (inizialmente viene il dubbio)? Watanabe voleva solo compagnia o è il classico nonno arrapato e i cuscini profumano davvero di ragazzine? Il fidanzato sa o non sa la verità?). E sono proprie le loro balle a renderli complici.
Il tempo vola e siamo già alla fine ma la vicenda si interrompe di colpo. Non c'è nessuna conclusione vera e propria. Classico finale che lascia l'amaro in bocca, che punisce lo spettatore, un pò à la Haneke. Si? No, l'amaro in bocca lo lascia sicuro ma lascia anche una sensazione di presa per i fondelli. Sembra in verità una storia, sì senza capo ne coda, ma non certo per volontà artistiche. E' una robetta scritta forse in un pomeriggio, di fretta, su dei fogli stropicciati. L'assegno fa troppo gola e il pubblico e la critica non si permetterebbero mai di criticare uno come Kiarostami. Vero Abbas?
In definitiva è un coito interrotto, affascinante, coinvolgente, fino a quando il nastro salta e iniziano i titoli di coda lasciando interdetti e anche un pò incazzati. Personalmente adoro l'impostazione registica data all'opera, ma non posso soprassedere davanti al nulla che c'è dentro. C'è chi glielo perdonerà e troverà significati nascosti, ma questa accondiscendenza verso i grandi autori è ingiusta e mal riposta.
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