Congiura e tradimento , amore e sesso, omicidio e delitto perfetto -sono i punti cardine del noir e gli elementi della trama de La fiamma del peccato. Di certo il delitto passionale o quello per interesse sono concetti che vantano origini ben più antiche del noir, ma la loro simultanea presenza in questa pellicola ha indotto molti a considerarla la perfetta quintessenza del genere. Che tuttavia assai di rado ritrae la perfezione; si assiste molto più spesso al fallimento di aspiranti criminali.
Speciale La fiamma del peccato, spoiler free ma magari è meglio se l'avete visto.
Lo squallore de La fiamma del peccato attinge a varie fonti ispiratrici: a una prima impressione il film sembra riconducibile all'omonimo racconto di James M. Cain, apparso per la prima volta a episodi sul periodico Liberty tra il '35 e il '36. Ma non bisogna dimenticare il primo romanzo di Cain, Il postino suona sempre due volte del 1934, un racconto di morte e delitti che somiglia molto al successivo. Ma prima ancora di pubblicare il libro d'esordio -un trattato dal titolo Our governement- lo scrittore lavorava come reporter per il New York World, ed era uno dei tanti a seguire il sensazionale processo a carico di una coppia, Ruth Snyder e Judd Grey, due criminali falliti che si accusarono a vicenda e finirono sulla sedia elettrica.
Partendo dal fatto di cronaca, Cain scrisse due storie che Hollywood si accaparrò immediatamente. Tuttavia
nè la Paramount, proprietaria del racconto, nè la M.G.M., che si era assicurata i diritti de Il postino suona sempre due volte, riuscirono a ottenere per le rispettive sceneggiature il visto di John Breen, il capo dell'Hays Office preposto all'applicazione del codice di regolamentazione dell'industria cinematografica statunitense.
Almeno non fino a quando gli orrori della seconda guerra mondiale non ridimensionarono l'impatto emotivo delle scene violente. Ma anche allora La fiamma del peccato incorse in rischi di altro genere che avrebbero potuto comprometterne l'esistenza: se Charles Brackett, affezionato collaboratore di Wilder, non avesse disdegnato il materiale, il regista non avrebbe cercato un altro sceneggiatore; se Cain non fosse stato sotto contratto con uno studio rivale, il collaboratore assunto da Wilder non sarebbe stato Raymond Chandler; e se Chandler, in una delle tante occasioni in cui veniva schernito dal regista, avesse perso la testa conficcandogli un tagliacarte nella schiena...
Dopo il rifiuto di George Raft e Alan Ladd, l'ingaggio di Fred McMurray e Barbara Stanwyck -con una parrucca bionda dismessa da Marlene Dietrich- e i tagli e le enfasi imposte alla Paramount dall'Hays Office, Wilder e i suoi collaboratori, partendo da una trama su un delitto imperfetto, crearono un film con le carte in regola per meritare il titolo di noir perfetto. Oltre alla mano di un romanziere del calibro di Cain, di un dialoghista del rango di Chandler, e di Wilder, il film si avvalse della superba fotografia di John F. Seitz, della colonna sonora di Miklòs Ròzsa e, naturalmente, di star come Barbara Stanwyck e Edward G. Robinson.
A tutto questo si aggiungono i contenuti densi di ironia, la narrazione in prima persona, gli ampi flashback costruiti intorno a quest'ultima, la femme fatale, l'avidità che porta al crimine, un ritratto dell'adulterio tanto fedele quanto era consentito e varie "accoppiate" significative come Neff e Lola o Phyllis, Zachetti, tradimento e morte. Per inciso, il film collezionò più candidature all'Oscar di qualunque altro film noir - e naturalmente non se ne aggiudicò neanche uno.
Già nel 1945 l'articolo di Lloyd Schearer sul New York Times riconobbe in questo film il capostipite di una una "nuova moda hollywoodiana di produrre storie criminali scottanti e truculente, imperniate su un soggetto in cui un omicidio dal movente plausibile si combina a implicazioni freudiane di grande effetto".
Jean-Pierre Chartier, il critico francese che per primo nel '46 dichiarò "Anche gli americani fanno i noir" scrisse "non c'è neanche un buono e tutti i personaggi sono più o meno veniali" Chartier definì la vedova nera Phyllis Dietrichson "particolarmente mostruosa [...] Quando le cose si complicano cerca di uccidere il suo compice e quando la storia non ha raggiunto ancora il suo climax si viene a sapere che ha una relazione con il fidanzato della figliastra". Sono infatti pochissime le donne noir che potrebbero competere con Phyllis.
Nino Frank, l'altro critico francese cui viene attribuita la prima definizione di noir restò "colpito dalla durezza, dalla misoginia. Non c'è nessun mistero, sappiamo tutto dal principio; seguiamo la preparazione del crimine, l'esecuzione, le conseguenze... Naturalmente l'interesse è catalizzato dai personaggi, e la storia si dipana con una chiarezza disarmante, intatta fino alla fine".
Il film si apre con una singolare sequenza di titoli di testa; gli stentorei accordi minori di Rozas, presagio di un oscuro destino, accompagnano la sagoma di un uomo che avanza verso la cinepresa, reggendosi sulle stampelle (ancora una volta l'handicap fisico maschile fa capolino, qui fin da subito).
Nonostante la pessima fama, il racconto di Cain era piuttosto innocuo. La vivacità linguistica di Walter Huff (il Neff del film) si limita a qualche espressione gergale e qualche mancata mancata concordanza verbale. Il finale del romanzo (non del film, ok?), dove i due amanti si suicidano in mare aperto è più da soap opera che da noir. Wilder e Chandler non si limitarono a cambiare qualche nome ma si avvalsero di una narrazione fuori campo assai più agghiacciante di quella del libro. Pur conservandone la trama di base, la pellicola lascia maggiore spazio al rapporto tra Neff e Keys, suo mentore. Per Neff, molto più che per Huff, la brama di denaro e di una donna si confonde con il desiderio di battere Keys, sconfiggendo così una potente figura paterna. Il manoscritto di Huff, invece, non è indirizzato a Keys. Huff auspica che a leggerlo sia Lola, la figlia della vittima. Abbandonandosi all'illusione, scrive: "Forse un giorno lei lo leggerà e quando saprà la verità su tutto quanto non penserà tanto male di me".
Nel film al contrario, Neff sa bene come stanno le cose. Pensa forse di poterla scampare dopo aver registrato la storia al magnetofono? E poi, gli interessa davvero? Come dice in un voice off una volta compiuto il piano "Sapevo che tutto sarebbe andato storto [...] Ma non sentivo più i miei passi. Erano quelli di un morto".
Il tono fatalistico de La fiamma del peccato, il tenue senso di malessere che colpì la critica francese nel 1946, è sostenuto sia dalla recitazione serrata e naturalistica che dallo stile visivo. Seitz ricorda "Quando arrivavamo a girare avevamo un'idea piuttosto chiara dell'atmosfera che volevamo. Per Il fuorilegge ci furono tante riprese notturne ma mantenemmo quello stile per tutta la pellicola. Sa l'altra sera ho rivisto La fiamma del peccato, è un opera quasi perfetta".
-------------------------------------------------------------------
Nelle prossime cinque puntate, alcuni speciali-approfondimenti su cinque noir atipici, tra i miei preferiti.
Nessun commento:
Posta un commento