venerdì 21 giugno 2013

Stoker di Park Chan-wook

In sala dal 20 giugno.
Sembra una tappa obbligatoria per tutti i grandi registi international (come li chiamano gli americani) quella di andare a Hollywood a fare uno o più film, prima o poi nella propria carriera. Nonostante tutto il mondo li conosca e li adori, sentono che manca questo ultimo passaggio, quasi di rito, per essere finalmente arrivati e Grandi con la g maiuscola. E soprattutto l'Asia negli ultimi anni, dopo essere stata saccheggiata dagli Stati Uniti con remake sul versante horror, è stata la più colpita da questa "campagna acquisti" o "scouting talents". Tra i primi ci fu John Woo, che è quello rimasto di più (ben 6 film), poi Kitano (il fallimentare Brothers) fino addirittura a Wong Kar-wai (Un bacio romantico, amato o odiato dai suoi fans senza mezze misure). Recentemente è diventata la Korea la cinematografia più interessante del continente, grazie a un'industria in grado di sfornare centinaia di film all'anno, moltissimi buoni e soprattutto di tutti i generi, dal dramma alle commedie, dai film di guerra agli horror. Il primo a fare il salto, non molto tempo fa, è stato Kim Ji-woon (I Saw The Devil, Il buono, il matto e il cattivo) con l'action The last stand. Adesso tocca a Park Chan-wook regista di culto con la sua celeberrima Trilogia della Vendetta (Mr. Vendetta, Lady Vendetta e Old Boy, remake di Spike Lee in arrivo) a tentare la fortuna -o a farsi una vacanza- con Stoker.
Il giorno del suo 18esimo compleanno, India Stoker, perde il padre Richard per un tragico quanto strano incidente mentre era lontano da casa. Il giorno del funerale si presenta Charlie, lo zio giovincello, di ritorno dall'Europa, mai conosciuto ne visto dalla ragazza. Rimane in casa per un pò, in modo da consolare la vedova affranta Evelyn e conoscere la famiglia. Se India è strana -non parla quasi mai, non si trucca ne si veste come una ragazza della sua età, non ha amici e non vuole essere toccata, Charlie lo è ancora di più. Nessuno sa nulla su di lui ma lui sembra sapere tutto di tutti. Nasconde un segreto, anzi, più di uno.
Stoker non mi ha convinto, non molto per lo meno. Durante la bellissima scena nello scantinato, la prima volta che India porta il gelato nel congelatore per capirci, mi è anche uscito un "esercizio di stile" così, di botto. Perchè è verissimo che Park Chan-wook ha diretto film migliori, ma nessuno dei suoi precedenti aveva una regia di tale livello. E' tutto meraviglioso, dalle scenografie, questa casa che sembra di epoca vittoriana, con pavimenti a scacchi, scale a chiocciola, tavoloni in legno e con tanto di governante e servette maliziose, ai costumi, il bianco-blu impera, dalla fotografia del connazionale e fedelissimo Chung-hoon Chung ai movimenti di macchina, di luce, al gioco di colori.
Come capita spesso, più soldi ti danno, e gli americani ne hanno eccome, più ti puoi sbizzarrire e fare quel tipo di cose che per mancanza di mezzi prima avevi solo ipotizzato. Quindi si, visivamente è molto buono ma al pari di una vecchia macchina, fa molta fatica a accendersi. Per questo che mi è uscita quell'espressione. Dov'è la ciccia?
Tutta la vicenda della criptica famiglia Stoker sembra strana per voler essere strana, è weirdo ma in maniera costruita, un pò come l'immagine di India stesa sul letto e circondata dalle sue vecchie scatole di scarpe.  Effetto clip musicale, ci cadono in molti.

Quando poi il film si risveglia da tanta bellezza e decide di macinare strada, si rivela nella sua pochezza perchè, impressione mia, ci si aspetta che prenda le pieghe più improbabili, anche surreali. Non tanto perchè c'è questo regista dietro -che di surreale ha nulla- ma perchè il giovane zio Charlie, con le sue previsioni, la sua furtività, da l'idea di qualcosa di anormale ma ben oltre di quanto poi si scopre. 
Insomma, finisce per essere un buon thriller, anche più che buono, ma finisce in maniera insoddisfacente. Tutto quello visto fino al finale porta a un certo tipo di conclusione, mentre il vero finale è abbastanza "già visto" (assomiglia molto a L'ombra del dubbio di Hitchcock, il suo preferito), mollo, per alcuni magari prevedibile. Scopro ora che è stato scritto il Michael Scofiled di Prison Break, aiuto, al suo primo tentativo. La sceneggiatura è sottile, quasi si vede da parte a parte, e ottiene il suo meglio quando prova a essere maliziosa e "scabrosa", come quando India è sotto la doccia o nel duetto immaginario al piano, ma altre volte si perde e perde anche un personaggio interessante come Evelyn, la madre-vedova in competizione con la figlia per un pò di affetto.
In definitiva quindi sembra che Park sia consapevole di avere un materiale buono ma incapace di svettare dal mucchio, e cerca perciò in tutti i modi di renderlo sfizioso, almeno fin che può, ovvero fino a quando deve tirare le file e chiudere bottega, quando il contenuto deve prendere il sopravvento sulla forma.
Se gli altri suoi lavori erano pregevoli per il Cosa, questo lo è per il Come, ma non è abbastanza.

Ad aggiungere bellezza al film ci pensa Mia Wasikowska. Si, in questo film dovrebbe essere una bruttona ma io ne sono perdutamente innamorato. Tutto il cast è comunque di livello ormonale-fotogenico altissimo, come da tradizione del cinema koreano, grazie ai belli Mattew Goode, freddo e spaventoso, e Alden Ehrenreich, poco spazio ma un futuro radioso, ed infine a Nicole Kidman, con brevi apparizioni.
Se l'occhio a quel che si merita, anche l'orecchio può definirsi felice grazie alle splendide musiche al piano, una scritta apposta da Philip Glass e a Summer Wine con Nancy Sinatra.

E intanto, in America ha fatto flop. Prenda le sue valigie signor Park, back to Korea.

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