UPDATE: nelle sale italiane dal 5 dicembre.
In concorso a Cannes 2013.
"Un film troppo gay!". Non è un mio giudizio, ma quello di tutti i produttori americani in qualche modo contattati dal regista Steven Soderbergh. Un'opera dalla gestazione infinita, iniziata addirittura nel 2008 -anzi, a dir la verità a inizio millennio con Philip Kaufman alla regia e Robin Williams come Liberace- e interrotta ufficialmente nel 2010, quando Michael Douglas, il protagonista, iniziò i trattamenti per curare il suo cancro alla gola giunto al quarto stadio. E poi la riluttanza dei boss di Hollywood a portare sul grande schermo un film simile. "Ero stranito. Tutto questo accadeva poco dopo Brockeback Mountain -ricorda Soderbergh- e questo film è molto più divertente di quello. Non capivo, non aveva alcun senso".
Questa è l'America, quella dei matrimoni gay -sulle coste- e quella omofoba più che mai -quella tra le coste. D'altronde una pellicola del genere, non poteva che suscitare scalpore.
E' un partial biopic di una delle icone gay più famose del 20esimo secolo e uno degli showman, pianisti più talentuosi di sempre. Wladziu Valentino Liberace in scena solo Liberace, per gli amici Lee. Era un artista fuori dal comune, un talento esorbitante e una presenza scenica insuperabile. Vestiva con abiti tutti intarsiati di diamanti, con lunghi strascichi, anche di 5 metri, saliva sul palco con una Rolls Royce bianca tutta ingioiellata e alle dita portava anelli grossi quanto la testa di un bambino. Poi si metteva a suonare, -un piano molto più simile a una gioielleria che a uno strumento, con un grosso candelabro di cristallo sopra- e il divertimento e la magia iniziavano.
Liberace era omosessuale ma lo aveva sempre negato. Tutto il suo entourage fece di tutto per nascondere i suoi amanti occasionali, le sue scorribande nei negozi porno e le sue vivaci tendenze. Addirittura si inventarono una donna della sua vita, che lui in realtà odiava. Era palesemente gay, anche solo per come vestiva, ma l'America gli credeva "Liberace dice di non essere gay, eh!".
Intorno al 1977 conobbe Scott Thorson, veterinario/addestratore per animali per il cinema, di 23 anni. Da principio divenne una delle sue cotte e uno dei suoi amanti stagionali, in seguito divenne una figura centrale per lui, il vero amore. Fino a quando, circa 7 anni dopo, tutto finì e si lasciarono bruscamente. Nonostante tutto quello che successe, Scott e Lee, rimasero estremamente legati, fino alla morte del pianista, nel 1987 a 68 anni (si, Liberace aveva circa 40 anni in più del suo bambolo).
Behind the candelabra avrebbe tutte le carte in regola per essere uno dei film dell'anno. Scandaloso, maledetto da Hollywood, diretto da un bravo regista -fin troppo prolifico-, con scene così cult da rimanere impresse nella mente a lungo e con un duo di attori superbi. Peccato che dopo un buon inizio vada a perdersi e anneghi nella noia più totale. Ma andiamo con ordine.
L'inizio è proprio come dicevano i fortunati critici e giornalisti presenti a Cannes in maggio. Divertente, ritmato, molto kitsch. C'è un Michael Douglas che mai ti aspetteresti, lui il duro e il macho, che interpreta con garbo e umorismo una checcona sulla sessantina, tutto sbrillocchi, mossettine e bagni nella jacuzzi. Poi subentrano le scene kult, con una trombata sudaticcia tra Douglas e Matt Damon, seguita da una bellissima sequenza, un flashback, dove Liberace ricorda quando andò vicino a tirare le cuoia -centrano dei solventi chimici per lavare i suoi vestiti-, poco dopo l'assassinio di JFK. Bianco e nero, rallenty, musica al piano. Tutto molto bello.
Quando iniziano i litigi tra Scott e Lee arriva anche la noia. Inizia la parabola discendente della loro relazione e del film stesso. Perchè dopo aver sottolineato -molto bene- un paio di volte quanto fosse fragile, combattuto internamente e solo quell'uomo che si trova dietro il candelabro, dietro allo showman, Soderbergh e la sceneggiatura di Richard LaGravenese (ispirata al libro di Thorson) hanno poco altro da dire. E purtroppo siamo solo a metà film, di due ore di durata.
Sappiamo molto bene, perchè di biopic ne abbiamo visti troppi, come andrà a finire, persino che dopo la rottura ci sarà la classica scena sul letto di morte e il riappacificamento, inutile tirarla per le lungh(issim)e e nuotare nel nulla.
Non c'è neanche un guizzo registico tale da giustificare questi ulteriori 60 minuti. Non c'è nulla. Sembra che, dopo aver detto quelle due cose, aver shockato, Behind the Candelabra si senta sazio e quindi si siede. Colpa involontaria di Liberace, reo di essere uno di quei tanti non meritevoli di un biopic? O le colpe vanno cercate nel manico?
Rimane guardabile per la performance di Douglas, immenso, anche quando si toglie la parrucca e sembra Gargamella -l'attore ha pianto a Cannes, Liberace l'ha riportato alla vita- e per il buon inizio. Oh si e per un Rob Lowe dalle facce divertentissime. Nel cast anche Dan Aykroyd, sempre più grasso.
Vien voglia di ascoltare qualcosa di Liberace, le cui scorrazzate sui tasti bianco e neri sono sparse per tutto il film, ma poco altro. D'altronde un vecchiaccio rifatto, showman, ninfomane (ma lui con le femmine) e a cui piace la carne giovane, ce lo abbiamo avuto per anni come Presidente del Consiglio, Soderbergh -al suo ultimo film...per un pò- non ci frega.
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