Nelle sale dal 14 novembre
Scorrendo la filmografia di Roman Polanski, si
sarebbe tentati di stabilire un nesso tra la sua attuale condizione
di esule o "prigioniero" e le ultime storie che ha scelto
di raccontare, tutte confinate in uno spazio limitato ma non
limitante, che si tratti di un'isola inospitale o delle quattro mura
di un appartamento newyorkese. Eppure, andando ancora più indietro,
ci si rende conto che questo suo gusto per il claustrofobico si è
manifestato anche in tempi non sospetti, basti pensare a film come
Repulsion (bellissimo, anche se lui lo ha quasi disconosciuto) e
L'inquilino del terzo piano o ancora al più celebre Rosemary's Baby.
Ciò nonostante non si può negare che l'interesse del regista sia
ormai interamente rivolto al teatro, lo avevamo intuito con Carnage e
ora Venere in Pelliccia ha spazzato via ogni dubbio. La fonte è
l'omonima pièce teatrale di David Ives (di origini polacche, come
Polanski) ispirata a sua volta al celebre romanzo di Leopold von
Sacher-Masoch, un esperimento metateatrale che permette a Polanski
di eliminare qualsiasi tipo di surrogato per portarci direttamente
sul palcoscenico. Non più teatro che contamina il cinema quindi, ma
cinema che entra (letteralmente) nel teatro.
Il promettente Thomas (Mathieu Amalric, non a caso
identico al giovane Polanski) si prepara a dirigere il suo
adattamento teatrale del romanzo di von Sacher-Masoch. Dopo una serie
di orribili provini per il ruolo della protagonista, nel teatro
irrompe Vanda (Emmanuelle Seigner, non a caso la moglie del regista),
disordinata, volgare e terribilmente in ritardo, un disastro insomma,
ma quando sale sul palco e inizia a recitare Thomas rimane folgorato.
Vanda, che si chiama proprio come la protagonista, sembra nata per
interpretare quel ruolo.
Un romanzo che diventa un'opera teatrale che diventa
un film. Venere in Pelliccia nasce già stratificato, la rilettura di
una rilettura, un gioco delle parti che nella sceneggiatura di David
Ives si complica ulteriormente e che nell'adattamento cinematografico
di Polanski assume un significato ancora più ampio, trasformando il
discorso metateatrale in una riflessione metacinematografica
altrettanto potente.
Sul piano più superficiale c'è la storia d'amore
raccontata da von Sacher-Masoch, attrice e regista la ricostruiscono
insieme recitando l'intero copione sul palcoscenico, ma, tra una
battuta e l'altra, l'ingenua Vanda interrompe continuamente
l'illusione per chiedere delucidazioni sul suo personaggio, una sorta
di interrogazione socratica che porta alla luce "ambivalenze"
e anacronismi del romanzo. Allo stesso tempo la relazione tra Severin
e Wanda, trasportata sul palcoscenico, si trasforma in una metafora
capovolta del rapporto tra i registi e le loro attrici, che, un po'
come Severin, si fanno schiave con la firma di un contratto. O almeno
così dovrebbe essere, perché Vanda (quella vera) in realtà tiene
in pugno sia l'opera che il suo autore, gioca, inganna, riscrive le
battute e capovolge i ruoli (diventa persino una conturbante
psicologa), insomma ne fa quello che vuole, trasformandosi in una dea
del teatro terribile e seducente quanto la Venere che tormenta
Severin. La sua vendetta tutta al femminile si abbatte su Thomas, ma
insieme a lui finisce inevitabilmente per colpire Severin, von Sacher-Masov e lo stesso
Polanski (a proposito di masochismo!), portando ad una conclusione assolutamente meravigliosa.
Venere in Pelliccia è un balletto divertentissimo,
due attori che si impadroniscono completamente della scena e si
scambiano battute ad un ritmo forsennato. Litigano furiosamente, si
corteggiano, entrano ed escono dai personaggi... tutto sotto l'occhio
divertito di Polanski, che orchestra il duetto alla perfezione con
una regia intelligente ma misurata. La sceneggiatura non è originale
ma sembra scritta apposta per lui, che riesce a renderla ancora più
personale affidando il difficile ruolo della protagonista alla sua
metà. E naturalmente il palcoscenico è tutto per lei, Emmanuelle
Seigner, simpaticissima e ancora stupenda, completamente a suo agio
nei panni di un personaggio sopra le righe che nelle mani sbagliate
sarebbe diventato grottesco.
Un po' come Friedkin, e casualmente l'età è quasi
la stessa, Polanski trova nel teatro una nuova preziosissima linfa per
continuare a realizzare (grande) cinema. Il risultato è fantastico, Venere
in Pelliccia è uno dei suoi migliori film e una delle cose migliori
che ho visto in sala ultimamente. Mi ha divertito ed emozionato come
non capitava da tempo, ma l'impressione è che Polanski si sia
divertito ancora di più ad immortalare la sua musa in un ruolo tanto eslposivo, e la cosa rende la visione ancora più gustosa.
Come promesso, dico due paroline. Come previsto, l'ho adorato in tutto e per tutto, e sono totalmente d'accordo con le tue parole. Ciò che ho apprezzato di più nello scambio continuo di ruoli (la maestria nel passare da personaggio della pièce a personaggio del film poi è clamorosa, ancor più plauso agli attori) è il fatto che Thomas, in un modo o nell'altro, finisce sempre per essere la figura debole del romanzo, sia inizialmente quando Severin si mostra servo, sia alla fine quando invece è Wanda a "crollare".
RispondiEliminaComunque, ho trovato fantastico pure il lavoro di fotografia (tra luci, leggeri viraggi e posizioni degli oggetti di scena non sembra d'esser sempre sullo stesso palco, complice la regia) e quello di Desplat, soprattutto quest'ultimo considerato anche che in Carnage l'OST era praticamente assente - armonie "ambivalenti" inserite nei momenti giusti.
Dimenticavo, credo di amare Emmanuelle Seigner.
E' vero, non ho parlato della colonna sonora di Desplat. Come la regia, bella e funzionale ma per niente invedente.
EliminaGià, è curatissima e ordinata, rimarca ancor più le relazioni che si instaurano tra i personaggi di volta in volta, però non è artificiosa, sembra quasi non esserci.
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