Vincitore del Marc'Aurelio d'Oro al Festival di Roma 2013.
La versione di Intrinseco
Tir è prima di tutto un film sulle (e ambientato nelle) distanze, quelle che separano il punto di partenza dalla destinazione, il luogo in cui le merci vengono caricate da quello in cui vengono scaricate, ma anche delle distanze dalla propria casa e i propri affetti, non a caso il protagonista -se così si può definire- è Branko, un insegnate sloveno che ha abbandonato il suo lavoro (di nuovo un allontanamento) per un altro più remunerativo, un eterno migrante che lascia moglie e figli e si reinventa camionista (un po' come l'attore, che ha preso la patente ed è letteralmente diventato il personaggio). Così il Tir che dà il titolo al film diventa la sua casa, un'unica claustrofobica location che però è in continuo movimento tra tanti non-luoghi, prima condivisa con un altro -il connazionale Maki- e poi vissuta in solitudine, per dormire, cucinare o lavarsi, un rifugio perennemente instabile che di punto in bianco potrebbe essere scambiato con un altro. Le cose importanti, quelle che in un film convenzionale sarebbero centro e motore della narrazione, sono lontane, chiuse fuori dalla cabina del camion. I rapporti umani, la famiglia e i soldi li intravediamo soltanto, o meglio, li sentiamo attraverso il viva voce del cellulare di Branko, l'unico filo che tiene ancorato quest'uomo alla deriva.